Uno Scacchista

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Nel centenario di Carl Schlechter

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(Riccardo M.)
Rieccoci con Schlechter. Parliamone ancora un po’, anche oggi, di questo personaggio unico nel panorama internazionale degli scacchi.
Unico perché forse mai è accaduto nella storia (a parte il Bronstejn del 1951) che un giocatore sia arrivato ad un piccolo passo dal titolo mondiale senza poter mettere sul piatto della bilancia quelle necessarie caratteristiche di “killer instint”, cioè di cattiveria, di estrema volontà di piegare l’avversario, di ergersi un palmo sopra tutti gli altri.

Era troppo un buon uomo, Carl, accettava troppe patte e troppe imposizioni, e gli altri ne approfittarono sempre. Nel 1910 solo un regolamento balordo si frappose fra lui e il titolo mondiale. E noi gli rendiamo il giusto merito, a 100 anni dalla morte, sulle nostre pagine.

Leggiamo cosa scrisse di lui Richard Reti in “Nuove idee negli scacchi”:

Steinitz uscì dalla scuola di scacchi di Vienna, ma per diventare campione del mondo andò all’estero e si liberò di ciò che era viennese in lui. Schlechter era il viennese più forte negli scacchi, forte quasi come Lasker, ma era troppo viennese per conquistare il titolo di campione del mondo. La gente immagina di solito un maestro di scacchi come un cittadino che passa la sua vita in un’atmosfera di fumo a giocare nei caffè e nei club: un individuo nevrastenico, continuamente nella tensione del gioco, una persona che concede la sua anima agli scacchi.

Schlechter era l’antitesi esatta di quell’idea. Si teneva in disparte dai club e dai caffè, nel suo tempo libero si interessava di arte e di scienza. Schlechter era innamorato della natura, ed è proprio questo amore per la natura che ha conferito al suo gioco un fascino particolare. Le sue partite si distinguono per l’ampiezza e il respiro dello schema. Proprio come nella foresta i tronchi degli alberi e i loro rami si estendono da tutte le parti ovunque ci siano spazi aperti, così Schlechter sviluppa le sue forze, con naturalezza. Non ci sono nel suo gioco luoghi nascosti e trappole, ma solo uno sviluppo sano, non affrettato, non legato a una sola idea, come un’evoluzione armoniosa. 

Le combinazioni di Schlechter non sono rose artificiali che stupiscono tutti con la loro bellezza e il loro eccesso; anzi, sono piuttosto i fiori umili e nascosti della foresta che devono essere cercati e il cui amore aumenta incontrandoli. E così nel suo gioco, insieme al respiro immenso e semplice della natura, si riflette anche l’ariosità dell’arte e della musica viennese. E quando noi saremo stanchi delle accattivanti combinazioni dei vecchi maestri o dei sottili piani posizionali dei nuovi maestri, ci divertiremo sempre immergendoci nel gioco di Schlechter, nelle sue note naturali e musicali, nella sua Vienna.

Ma focalizziamoci un momento sul suo sfortunato match mondiale del 1910 con Emmanuel Lasker. Ecco cosa in proposito nel 1973 scriveva Harold C. Schonberg nel suo “Grandmaster of chess”:

“Schlechter veniva chiamato “il maestro della patta”, ma poteva battere chiunque quando era provocato. Era un uomo mite, senza ambizione, uno che sapeva giocare splendidamente a scacchi (possedeva la tecnica e la conoscenza teorica necessarie), ma non aveva l’istinto omicida. Lasker, nella sua rivista, affondò gli artigli anche nell’inoffensivo Schlechter. Scrisse un articolo nel 1906 Schlechter avrebbe l’abilità per competere con buone possibilità di successo, ma soltanto l’abilità e nient’altro. E’ un uomo amante della natura e della vita semplice, così poco diabolico che non si lascerebbe mai indurre a prendere una cosa desiderata da altri”.

Ed ecco che Lasker, approfittando della mitezza di Schlechter, elaborò un regolamento di campionato (non c’era mica la FIDE allora! -nda) tutto a suo favore. L’incontro sarebbe stato dichiarato pari, e così Lasker avrebbe conservato il titolo, a meno che Schlechter non avesse avuto due punti interi di vantaggio. E perfino in questo caso, se l’austriaco fosse riuscito a superare il difficile handicap, Lasker sarebbe stato ancora da considerare campione del mondo, finché non fosse stato concluso un match di rivincita”.

Chi avrebbe accettato simili assurde condizioni capestro? Nessuno. Ma Schlechter le accettò e il match di 10 partite venne così giocato, dal 5 al 22 gennaio del 1910 a Vienna. Lasker aveva già 42 anni, il suo sfidante sei di meno.

Alla fine della nona partita la situazione era la seguente: una vittoria per Schlechter (nella quinta, col bianco) e 8 patte. Lasker pareva sconcertato e “quasi disperato” (scriveva Schonberg) per il gioco imperturbabile del maestro viennese: “come si fa a battere un uomo che reagisce con la stessa calma alle offerte di patta e alla minacce di attacco palese?” si chiedeva.

Questa la posizione conclusiva della partita numero 5. Al tratto n. 58.Da6-a3 del bianco, Lasker aveva replicato con Rd8-c8, ma abbandonò senza attendere l’evidente continuazione dell’avversario. Questa la posizione finale:

Nella decima e ultima partita Lasker giocò 1.d4 (mentre tutte le precedenti nove partite avevano avuto inizio con 1.e4).

Fu una slava, molto bella e combattuta. Schlechter aveva in mano una facile patta, ma il balordo regolamento da lui accettato lo costringeva ad arrivare a tutti i costi ai due punti di vantaggio. Di tutte le partite della sua carriera, egli fu costretto a scegliere proprio questa per mirare alla vittoria! E con i colori neri.

Capablanca, commentandola, scrisse che il punto cruciale si ebbe al tratto n.35 quando il nero tentò l’inutile sacrificio 35. … Txf4?, in luogo di 35. … e5!. Ecco la posizione incriminata:

La decima partita durò tre giorni, due aggiornamenti, 71 mosse. Schlechter, come abbiamo visto, rischiò il tutto per tutto e la perse.

Lasker naturalmente si rifiutò di giocare con lui un nuovo match, pur essendosi palesato niente affatto superiore. E si tenne ben stretto il titolo fino al 1921, anno del match perduto contro Capablanca.

Carl Schlechter, gran giocatore e nobile campione di umanità, morì di fame a Vienna il 27 dicembre del 1918, cento anni fa, poco dopo la fine della prima guerra mondiale.

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6 thoughts on “Nel centenario di Carl Schlechter

  1. Bell’articolo, storia appassionante come sempre ma… sarebbe giusto nei confronti di Lasker aggiungere che l’esistenza della clausola capestro non è mai stata definitivamente dimostrata. Sulla Wikipedia inglese sono raccolti vari indizi sia a favore che contro questa tesi.

    1. Grazie dell’intervento, Tristano.
      Che Schlechter sia morto di fame lo scriveva ad esempio H.C. Schonberg nel suo “Grandmasters of chess”, probabilmente riprendendo pari-pari una nota di A.Nimzowitsch nella “Pratica del Mio Sistema”.
      Ma anche Richard Reti aveva scritto di Schlechter che “morì vittima della scarsità di cibo in Europa centrale durante e dopo la guerra mondiale”.
      In una sua biografia (di J.Hannak e B.Kagan per il “Chess Club Hietzing Vienna”) è detto che i medici dell’Ospedale, in cui fu ricoverato negli ultimi giorni, avevano riferito, come causa ultima, del riacutizzarsi di una “vecchia malattia polmonare”. I due aggiungevano anche che il povero Carl il giorno 23, cioè appena quattro prima di morire, si stava apprestando (già “pallido e sofferente”) a salire sul treno per far ritorno a Vienna dalla vecchia madre, quando nella calca fu derubato della sua borsa da viaggio e dei pochi denari.

  2. Grazie. E complimenti per questi splendidi articoli. Di Schlechter conoscevo una ‘immortale’ (non ricordo chi fosse l’avversario), quasi più bella di quella di Anderssen. In questa suggestiva e meritoria commemorazione di un campione così grande, potrebbe essere un’idea riproporla e farla conoscere a chi non l’avesse mai vista?

    1. La sua immortale fu la Bernhard Fleissig-Schlechter, Vienna 1893: ne parleremo certamente.

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