(3/4) Sam Loyd ne inventava una più del diavolo: questa è un’altra ancora
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(Topatsius)
Il mio concittadino Horstas mi scrive rimproverandomi di non essere troppo preciso. Hai ragione, Horstas e provvedo a recuperare. Dunque, io ho sempre scritto “Sam” Loyd, mentre il suo vero nome era Samuel, quindi Samuel Loyd.
Poi ho citato nella puntata (2/4) il figlio, ed il nome del figlio era “Sam Loyd Junior”. Accontentato Horstas, ora vado ad accontentare i palati problemistici meno accaniti e conservatori, ovvero quelli degli amici dei puzzles.
Questa è la terza puntata ed è la terza volta consecutiva che la posizione è sempre la stessa:
Anche qui i due giocatori fanno le stesse, identiche, speculari mosse fino al settimo tratto compiuto, finché il Bianco all’ottava mossa forza il Nero a dargli scacco matto.
Ci vogliamo provare anche noi ad avere l’ebbrezza di farci dare ‘matto in 8’? Dai … tanto alla fine ci salverà, se disperati, la casella nascosta con la soluzione:
Il genio di Loyd si è un pochino offuscato nel secolo in corso, che ha visto mettere in discussione sempre di più alcune credenze, fra le quali quella che Sam Loyd sia stato l’inventore anche del celeberrimo “Gioco del 15”.
E’ stato lo stesso Martin Gardner, citato nella precedente puntata, a scrivere queste parole: “Sam Loyd, il più grande creatore di puzzle d’America, ha inventato il famigerato puzzle a blocchi scorrevoli “15”? Ha affermato di averlo fatto, ma l’affermazione era una bugia totale”.
E nel 2006 uscì un libro, a firma di Jerry Slocum e Dic Sonneveld (del quale vedete qui sopra la copertina), che sostiene come a cavallo del secolo XIX e XX, Sam Loyd, come si legge nella prefazione, “il grande genio dei puzzle americano, usava liberamente i puzzle di altri spacciandoli per suoi“.
Insomma, Loyd avrebbe approfittato della sua notorietà e personalità per affermare di aver inventato il “gioco del 15”, che in realtà avrebbe visto la luce dall’intuizione di un postino del comune di Lenox, nello stato di New York, un certo Noyes Palmer Chapman.