A lezione da Piotr Romanovsky
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(Riccardo M.)
Piotr Arsenevic Romanovsky (30.7.1892 – 1.3.1964) è stato il principale preparatore e il mèntore di quella generazione di scacchisti sovietici del secondo dopoguerra che, a partire dall’allievo Botvinnik, seppe conquistare e detenere tanto a lungo il titolo mondiale.
Maestro internazionale, si mise in luce a 22 anni col 2° posto al torneo “B” di Mannheim, poi vinse il Campionato assoluto sovietico nel 1923 e (alla pari con Bohatyrčuk) nel1927, oltre ad ottenere buoni piazzamenti in importanti tornei internazionali (nel grande torneo di Mosca 1925 fu 7° alla pari con Reti, a Leningrado 1934 fu 2° alle spalle di Botvinnik).
Dopo il 1935 una crisi cardiaca lo costrinse a rinunciare definitivamente a tornei troppo impegnativi. Divenne poi anche arbitro internazionale.
Il suo nome è soprattutto legato ad una fra le poche opere che hanno lasciato un segno perenne nella bibliografia scacchistica mondiale: il celebre “Mittelspiel”, tradotto in italiano da Giorgio Porreca e pubblicato da Mursia in diverse edizioni fra gli anni ’60 e ’70 col titolo de “il Centro di partita”.
Scriveva così il Porreca nella presentazione della sua terza edizione: “… Ebbi la fortuna di conoscerlo … mentre al Circolo Centrale di Mosca (“la Mecca scacchistica”) svolgeva una lezione su una scacchiera murale. Il tono pacato e il gesto misurato mi rivelarono lo stile e la capacità del pedagogo prima che dello scacchista. Fu allora che compresi pienamente donde provenisse la forza di persuasione del “Mitel’ spil’” e, nello stesso tempo, che decisi di mettere mano alla sua traduzione…. L’autore rivide la sua opera nel 1940, ma il manoscritto andò completamente perduto durante la guerra”. E concludeva Porreca: “Romanovsky sa cogliere del centro di partita i momenti e le caratteristiche più comuni, tracciando non certo une teoria generalizzata (dello stesso), bensì un quadro vivo di esso, tale da fornire al dilettante indicazioni utilissime per una cosciente acquisizione degli elementi tattici e dei principi strategici fondamentali”.
L’attività di propagandista, insegnante e scrittore di Romanovsky non si limitò al “Mittelspiel”, concretizzandosi in svariati altri articoli di teoria, tecnica e storia di straordinario livello, quali (da “il Dizionario Enciclopedico degli scacchi” di A.Chicco e G.Porreca, Mursia 1971): “Cosa ognuno deve sapere sull’apertura”, “Problemi di metodica scacchistica” e “il Romanticismo nell’arte scacchistica”.
Nel 1970 Romanovsky pubblicò uno di questi suoi articoli sulla nota rivista russa “64”, la cui traduzione (a cura di Riccardo Quaranta) apparve l’anno successivo su “L’Italia Scacchistica”. Il titolo dell’articolo era “Lo studio di una partita” e il tema era sempre quello che ruota intorno al “centro di partita”; in realtà lui su “64” ne presentava due: una Maroczy-Chigorin del 1899 dopo il tratto n. 15 del Nero, ed una Rubinstein-Tarrasch del 1914 dopo il tratto n. 11 del Bianco. Qui vediamo insieme alcuni momenti di questa seconda e cerchiamo di seguire il ragionamento del conduttore dei Neri attraverso le parole illuminanti di Piotr Romanovsky.
Rubinstein-Tarrasch
San Pietroburgo, 1914
Nel diagramma è riportata la posizione ottenuta dopo la mossa n. 11 del Bianco, Ab2. Si proseguì con
In seguito, con Ch5 e con alcune altre mosse il Nero costrinse i pedoni bianchi dell’arrocco ad avanzare e ad indebolire la posizione del Re, cosa che alla fine creò una situazione di pericolo (1).
Cosa aggiunge d’interessante Romanovsky? Questo:
“… non è sufficiente analizzare le partite una volta sola, ma due e anche più volte se per caso c’è ancora qualche cosa di poco chiaro. In altre parole, lo studioso deve sviscerare lo scopo e il senso di ogni mossa e, in tal modo, assimilare l’essenza di ogni manovra e quindi di tutto il piano! Supponiamo, ad esempio, che non venga ben compreso il senso di una mossa. Appare chiaro che durante l’esame delle successive mosse e dello svolgimento della partita il dubbio verrà chiarito, poiché si noterà la mancanza di un legame logico fra la mossa mal compresa ed i successivi sviluppi della partita. In tali casi si deve tornare indietro e rigiudicare la mossa critica, vale a dire correggere il proprio errore”.
E ancora, all’inizio, egli aveva così suggerito:
“Studiate i piani dei vostri avversari, sviscerate fino in fondo la loro esecuzione tecnica, rianalizzate attentamente i risultati pratici del loro impiego, comparateli fra loro e poi comparateli ai vostri piani per vedere la differenza e per scoprire l’incompletezza dei vostri rispetto a quelli degli altri. Una tale elaborazione, effettuata sistematicamente ed in seguito verificata sulla base della pratica, deve indubbiamente portare dei buoni risultati. E’ chiaro che un tale tipo di allenamento richiede un lavoro serio, da effettuarsi lentamente e con ponderatezza”.
Cosa vuol dire tutto ciò (sempre se pensate di fare degli scacchi la vostra attività professionale)? Due cose a parer mio: umiltà anzitutto, che vi porta a mettere sempre sotto il fuoco della massima indagine critica le vostre mosse e i vostri piani, e poi lavoro, lavoro, tanto lavoro. Insomma, il lavoro è sempre la chiave di ogni successo e non vi deve mai spaventare, anzi lo dovete amare. Diceva il celebre ciclista spagnolo Miguel Indurain (uno che vinceva molto spesso): “io vinco perché amo il mio lavoro”.
(1) quella “situazione di pericolo” in realtà non fu sufficiente a Tarrasch, perché Rubinstein riuscì a resistere costringendolo alla patta dopo 60 mosse.