Uno Scacchista

Annotazioni, Spigolature, Punti di vista e altro da un appassionato di cose scacchistiche

I Tornei Internazionali di Scacchi del Banco di Roma

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Bollettini del torneo

(Antonio M.)
C’era una volta, tanto ma tanto tempo fa, un torneo di scacchi che si giocava a Roma quasi ogni anno, organizzato proprio dalla banca omonima e chiamato “Torneo Internazionale Di Scacchi (F.I.D.E.) Banco di Roma”.
Sembra l’inizio di una favola e per noi giovani scacchisti romani quasi lo era. Un torneo internazionale con dei forti GM e IM da poter vedere dal vivo e poter respirare quell’aria dei grandi eventi che avevamo visto e immaginato solo sulle foto dei grandi tornei sovietici, che trovavamo sulle riviste o sui libri, dove potevamo vedere le scacchiere murali, i forti giocatori affrontarsi in partite di alto livello ed il tutto seguito da tanta, tantissima gente.

Il Centro Sportivo del Banco di Roma (tratto dalla copertina del libro “C’era una volta… “di Gianni Patrizi)

Questa volta, però, il torneo internazionale lo si poteva vedere dal vivo a Roma nel Centro Sportivo della Banca, sito sulla via Salaria nel quartiere periferico di Settebagni e adagiato su un’ansa del Tevere, subito dopo il Raccordo Anulare: quasi un sogno.

Il primo problema era come fare ad arrivare lì, soprattutto per chi non era automunito, come all’epoca il sottoscritto. Io, una volta venuto a conoscenza del torneo grazie ai soliti ben informati del circolo, dovetti pensare a come conciliare l’andare a vedere il torneo con la scuola ed alla fine mi dovetti accontentare di fare un salto il sabato e la domenica più una, massimo due puntate infrasettimanali. All’epoca non c’erano gli smartphone e le varie App che in un attimo ti fanno vedere i percorsi migliori e le fermate degli autobus con i tempi di attesa, e le informazioni erano un poco più difficili da avere e spesso bisognava andare a fare dei sopralluoghi “sul campo”.

Alla fine, scoprii che dovevo fare un settecento metri a piedi, prendere due autobus per arrivare sulla via Salaria e lì prenderne un altro, il numero “135”, che mi avrebbe portato a destinazione. Il fatto è che i tempi di attesa spesso erano biblici, soprattutto per l’autobus che portava fuori città, che potevi aspettare fin oltre la mezz’ora alla fermata.

Il vecchio sottopassaggio della stazione Nuovo Salario oggi in disuso

Dopo varie ricerche e ulteriori verifiche trovai un percorso più veloce, almeno così credevo. Continuare a piedi per altri settecento metri verso la Stazione del Nuovo Salario e prendere il sottopassaggio che allora portava ai treni. Insomma, alla fine circa un chilometro e mezzo totali a piedi da fare in una ventina di minuti!

Ora non ricordo se allora fosse già attiva la tratta cittadina del treno che portava alla stazione di Settebagni, ma all’epoca neanche mi posi la questione per la non conoscenza di questa eventuale possibilità. So solo che per parecchio tempo entrai “nell’antro del terrore”, da fare con il cuore in gola tutto d’un fiato fino a giungere all’altro capo che usciva direttamente sulla via Salaria, con l’entrata dell’Aeroporto dell’Urbe davanti e la fermata dell’autobus sulla destra.

L’uscita dal sottopassaggio oggi su via Salaria con alla sua destra la fermata ATAC degli Autobus 135 e 235

Certo, a ripensarci oggi, quei quattro – cinquecento metri da fare in quel cunicolo basso e stretto e scarsamente illuminato, deve aver voluto una buona dose di coraggio per un ragazzo ancora minorenne, soprattutto se fatto con la musichetta di “Profondo rosso” nella testa e lo sguardo a  cercare di vedere lontano e di tenere sotto controllo le uscite laterali che portavano ai treni, tutte accortezze che non so quanto sarebbero servite in caso di una drammatica necessità; ma la passione e la determinazione ad andare ad assistere ad un evento di simil portata, presero il sopravvento e scacciati i timori mi avventurai più volte da solo in quel sottopassaggio che, per la cronaca e come si vede dalle foto, fu prima dismesso e poi chiuso al pubblico nei primi anni Duemila dalle Ferrovie dello Stato per ragioni di sicurezza.

Dopo l’avventuroso “viaggio”, si arrivava all’enorme centro sportivo, dotato di campi di calcio, basket, tennis, pallavolo, di una piscina e dell’edificio, raggiungibile dopo una bella passeggiata, in cui al piano superiore era stata allestita la grande sala del torneo.

Una volta arrivati in sala, subito si entrava nel clima del torneo, con l’accesso rigorosamente in silenzio, con qualche cenno alle persone che si conosceva e agli amici del circolo e subito poi a vedere le scacchiere murali con le posizioni raggiunte e cercare di riconoscere i giocatori alle scacchiere reali, quando magari si era arrivati a turno iniziato.

L’emozione era forte e oggi posso ben dire che uno smartphone sarebbe stato veramente utile, soprattutto per fotografare gli spettacolari tabelloni, rigorosamente fatti a mano dall’arbitro Mario Tiberti, con una scrittura che, se chiudo gli occhi, mi fa venire in mente i caratteri , e di sicuro i più originali e belli allora in circolazione.

Naturalmente noi tifavamo per i giocatori italiani ed il torneo era diviso in quello “A”, con il rating medio più alto, e quello “B” con tanti giovani e qualche giocatore straniero di buon livello e con un altrettanta buona maturità scacchistica. L’idea era quella di permettere ai giovani italiani di fare esperienza e prendere qualche norma internazionale, cosa ben più difficile nel torneo “A” dove il target era la norma di GM e dove si sono avvicendati nomi di altissimo livello quali Korchnoi, Smyslov, Sax, Andersson, Pinter, Benko per citarne solo alcuni senza voler far torto ai non menzionati.

L’indimenticato Alvise Zichichi “deus ex machina” dei Tornei del Banco di Roma

E poi, vedere da vicino anche i “nostri” con i nomi storici quali Mariotti, Tatai, Zichichi (deus ex machina del torneo e instancabile organizzatore), Toth più tanti giovani promettenti per i quali si nutriva una naturale simpatia e la speranza di vederli portare in alto le sorti dello scacchismo italiano e, per quanto mi riguarda, il sogno mai realizzato di poterli un giorno affiancare, anche se già era per me chiaro che la mia era una passione destinata solo a rimanere tale.

Il bello, anche se allora non ce ne rendevamo conto, era quello di vedere posizioni, pensare alle mosse possibili, cercare di prevederle, senza l’aiuto dell’amico elettronico. Eh sì, perché per tutto il resto c’è MasterCard, ma analizzare una partita con tutti i dubbi, con le mosse che non vedi, pronunciando le solite frasi “… questa mossa non l’ho proprio capita…”, “… ma se gioca questa? Voi che ne dite?…”, spremere le proprie meningi cercando di entrare nei segreti della posizione e, alla fine, scoprire con stupore sulla scacchiera, dopo le giocate di quelli forti, il perché di quelle mosse, non ha prezzo.

Avere lì davanti questi forti giocatori, ti dava l’opportunità di conoscerli un poco meglio: “Però, me lo immaginavo più alto”, “Dalle foto sembrava antipatico ed invece…”, “Ma dai, lo sta facendo veramente? Ma è superstizioso?”, con la risposta sottovoce un poco provocatoria “Certo! Tutti gli scacchisti sono superstiziosi!!”. L’unico rimpianto è quello di non aver avuto la faccia tosta di chiedere degli autografi, in assenza della possibilità di fare con i nostri beniamini dei selfie, ma non essendo decisamente fotogenico, di questi non avverto la mancanza!

E poi, e anche di questo non ce ne rendevamo conto, avevamo la bellezza dello “Slow Chess”. Tutto più calmo, tutto più al rallentatore rispetto ai tempi attuali, a partire dalla cadenza di gioco che prevedeva due ore e mezza per quaranta mosse (anche se qui mi sovviene il dubbio fossero due ore, ma alla fine non è così importante), e poi la sospensione che prevedeva un’ora per sedici mosse e via così fino alla fine della partita, senza tempo a finire. Ciò comportava che le sospensioni prevedevano la ripresa della partita il giorno dopo, con tutta la procedura di mettere la “mossa in busta” con l’arbitro presente e la continuazione della partita la mattina successiva, tutte sequenze che oramai sono state consegnate alla “archeologia” scacchistica. Anche se già allora, in realtà, durante la sospensione si poteva analizzare la posizione in profondità, ed agli alti livelli anche con altri giocatori parimenti forti, oggi si tende a far finire la partita entro dei termini più brevi e senza la sospensione, sia per evitare queste analisi che oggi sono supportate dallo strapotere dei programmi scacchistici che possono essere utilizzati nella calma delle mura amiche, che soprattutto per i ritmi serrati dei tornei che vengono sfornati uno dopo l’altro e che non permettono pause troppo lunghe ai professionisti.

Diciamo che per contro, questo portava alle interminabili attese delle mosse sulle scacchiere, cosa mitigata dal numero delle stesse, visto che bene o male una mossa nuova si vedeva in tempi ragionevoli in una di esse, ma di sicuro stare lì per ore e ore dimostrava grande pazienza e passione, ma era una riprova di quanto gli scacchi in quella maniera non fossero adatti a una divulgazione video, soprattutto se comparati con altri sport più popolari come, ad esempio, il calcio (anche se di partite noiose ce n’erano, e ce ne sono, tante), il rugby, la pallavolo, e la pallacanestro, sicuramente più spettacolari queste ultime con il punteggio in continuo cambiamento per tutto l’incontro.

Di sicuro oggi i video sul Web dell’ormai imperante “Fast Chess”, YouTube in primis, soprattutto di partite lampo e rapid, riscuotono un ottimo interesse dimostrando come, nonostante il parere della “Vecchia guardia”, queste da vedere siano decisamente più spettacolari quando le mosse cominciano a susseguirsi con rapidità ed i pezzi a roteare sulla scacchiera, con belle mosse, piani profondi nonostante la ristrettezza di tempo e, per contro, con veri e propri drammi alla scacchiera. Ed è quello che attira di più i non addetti ai lavori, che pur magari non conoscendo bene le regole, vengono attratti da quei vorticosi movimenti, un poco come visto nella famosa serie “La regina degli scacchi”, che tanta attenzione ed interesse ha destato sul nostro gioco. Nella serie, quello che mi ha colpito è stata proprio la rappresentazione delle partite, sicuramente dettata da esigenza sceniche. Quando uno dei due giocatori muoveva un pezzo, l’altro quasi senza riflettere faceva la sua giocata subito, senza neanche attendere qualche secondo, ma forse questo è quello che in realtà si aspetta il grande pubblico ed è quello che più piace.

Dopo aver visto diversi turni, venimmo a conoscenza che le partite venivano raccolte e stampate su dei fogli A4 spillati turno per turno e potevano essere ritirati il giorno dopo, quando si svolgeva il turno successivo. È inutile dire che allora le informazioni non viaggiavano in tempo reale come oggi, e che al massimo alcune partite potevano essere guardate sulle riviste italiane almeno il mese dopo, se non due mesi dopo, con il resoconto del torneo. Quindi avere una copia di quei bollettini era quasi “oro colato”, e facevamo di tutto per averli, dal classico “domani non vengo, se ci vai me ne prendi una copia?” al pratico “oggi pomeriggio vediamo di andare prima dell’inizio del turno per prenderne una copia ciascuno e, se ci sono, quelle dei turni precedenti”, anche perché le copie non erano poi tantissime e di appassionati, per contro, ce ne erano sempre di più rispetto ai bollettini messi a disposizione dall’organizzazione del torneo.

A sinistra una caricatura di Korchnoi firmata da Sylvain Zinser, a destra Sergio Mariotti

E finisco questo post con uno dei momenti più alti, belli ed emozionanti vissuti in diretta e già descritto da Pierluigi Passerotti, quando il nostro GM Nazionale fronteggiò l’allora secondo al mondo, il “Terribile Victor”, con la partita che stava prendendo una piega inaspettata, con Korchnoi in difficoltà dopo aver sacrificato una qualità e per di più in Zeitnot. Dal canto suo Mariotti lo ricordo con la pipa in mano che tranquillamente guardava la scacchiera, e tutti gli spettatori in fibrillazione, come se avessero capito che qualcosa di straordinario stava per accadere. Sergio mi ha detto che all’epoca lui fumava regolarmente durante le partite (allora non c’era ancora il divieto di fumo nelle sale aperte al pubblico), con l’accortezza di non indirizzare il fumo verso l’avversario, anche se io non ricordo bene se lui in quella partita stesse veramente fumando o tenendo semplicemente la pipa in bocca per il puro piacere, rilassante, di farlo.

Quando mi fui, per un attimo, distratto su un’altra scacchiera, all’improvviso e sommessamente ma in maniera concitata sentii mormorare “… ha sacrificato, ha sacrificato…” con il classico brusio di chi vuole fare tutto sottovoce e che però genera un rumore di fondo abbastanza accentuato.



E neanche fece in tempo a stringere la mano a Mariotti, che nella sala esplose un fragoroso applauso, con gli arbitri che invocavano la calma. “Silenzio, silenzio! Ci sono ancora delle partite in corso!” era l’invito, o forse più un ordine, di Tiberti che risuonava con vigore nella sala, ma è pur vero che anche quasi tutti i giocatori presenti si erano alzati dalla loro scacchiera per andare a vedere cosa fosse successo. Il coinvolgimento fu totale ed entusiastico da parte di tutti gli spettatori, che dovettero frenare e trattenere la loro spontanea foga, per ricondurre il tutto ad un comportamento consono ad un ambiente che fa del silenzio e del contenimento dei rumori la sua caratteristica distintiva.

Per la cronaca, il Centro Sportivo è stato lasciato dal Banco di Roma e dopo l’ultimo torneo del 1988, non ne sono stati più organizzati, concludendo una delle più fulgide epoche dello scacchismo romano in particolare ed italiano in genere.

Ricordi indelebili e oramai lontani, che vorrei provare a condividere parlando in futuro dei vari giocatori che hanno calcato le scene di questi tornei, dai più famosi ai meno noti, con alcune storie particolari, alcuni atteggiamenti originali che potrebbero farceli apprezzare e conoscere meglio.

Non resta quindi che un saluto con un bel: “Arrivederci”!

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