Nuovi scacchisti adulti
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Chess players in a park, Kiev. (foto di Robert Broadie, fonte Wikimedia Commons)
(Daniel Perone)
Quando si parla d’insegnare il gioco degli scacchi, si pensa subito ai bambini ed agli adolescenti ed è vero che la maggior parte delle volte gli allievi sono loro. Eppure ci sono gruppi di adulti, in numero ridotto certamente, che si avvicinano alla Biblioteca Popolare Manuel Belgrano per imparare il nobil gioco.
Ammetto che ho provato soddisfazione insegnando il gioco degli scacchi agli adulti e mi sono anche sorpreso in relazione ai motivi che causano l’avvicinamento. È curioso però, in generale loro non imparano il gioco per partecipare alle competizioni, non cercano grandi risultati: tutt’altro!
Alcuni si accostano al re dei giochi in un tentativo di stimolare l’apprendimento dei loro nipotini, mentre colgono l’occasione per condividere insieme a loro qualche ora pomeridiana; altri invece, talvolta consigliati dal medico, si avvicinano timorosi “dell’Alzheimer” o di qualche malattia simile: sono persone sui sessanta anni che, non sempre ben predisposte ad imparare, un poco vergognose e dubitative sull’attività che cominciano a svolgere, domandano:
“È un gioco difficile, vero?
Potrei imparare alla mia età?”.
Nonostante ciò, sanno che l’enormità del numero delle varianti nella ricerca delle “soluzioni” in qualche partita, l’elaborazione di nuove idee e la possibilità di analizzare la validità della scelta effettuata, mette in moto l’intelletto; insomma, sanno bene che tutto questo porta benefici alla salute mentale.
Comunque esiste un altro gruppo – ogni giorno sempre più numeroso – che non senza preoccupazione cerca negli scacchi un palliativo alla mancanza di concentrazione, alle loro frequenti disattenzioni. Non sono anziani, no; sono persone sui quaranta anni bisognose di avere tempo libero per sé stessi e di socializzare con i colleghi di corso.
Persone bisognose di stabilire dei limiti tra il loro lavoro, i loro impegni e la propria vita, per via dell’attuale modo di vivere superficialmente che, a causa della rivoluzione informatica, l’uso massiccio di internet e di tutta la tecnologia, ha facilitato la propagazione dell’immediatezza e, parallelamente, anche dello “stress”.
Pertanto devo stare attento alle diverse situazioni che sorgono inaspettatamente sulla scacchiera e che vanno al di là dell’insegnamento.
Cito una delle mie esperienze: avevo due alunne che, pur essendo amiche e frequentando insieme il corso avevano differenti lavori: bibliotecaria l’una, professoressa di matematica l’altra.
Ebbene, quando ho spiegato il matto del Barbiere, il punto di intersezione f7 fu facilmente riconoscibile alla professoressa mentre la bibliotecaria si innervosiva nella ricerca. Perché accade questo?
Forse perché un certo numero di elementi sempre sono collegati tra loro nelle strutture mnemoniche delle persone. Inteso così, è molto probabile che la docente avesse maggior capacità di “percepire” la posizione applicando, logicamente, le sue conoscenze della geometria.
Dunque, è comprensibile che le lezioni siano adeguate al gruppo così come alla nostra piccola realtà di ogni giorno. Non a caso, in questo particolare gruppo, mi preoccupo di allontanare dalle mie lezioni, tutta la tecnologia e qualsiasi cosa extra-scacchistica.
Sono sicuro che anni fa io stesso avrei detto: “Come mai prima non accadeva tutto ciò?”
Allora, l’assenza assoluta di internet, la scelta di non utilizzare i software dedicati, e l’utilizzo esclusivo dei pezzi e della scacchiera sono gli strumenti per ritornare piano piano, con calma, all’equilibrio emozionale che rende gradevole l’apprendimento.
Ad esempio attraverso le differenti esercitazioni ludico-ricreative non competitive, come il famoso “rompicapo delle otto regine”:
Oppure con la ricerca della soluzione (in realtà abbastanza semplice per il giocatore con un minimo di esperienza, e particolarmente difficile per i non scacchisti) della seguente posizione:
Muoveranno consecutivamente soltanto i pezzi bianchi in maniera alternata, una mossa per ciascun pezzo, catturando un pedone ad ogni mossa, fino a fare ritorno nella casa di partenza.
Dodici mosse consecutive dei pezzi bianchi, le prime nove con la cattura di un pedone nero e le ultime tre per ritornare nelle rispettive case di partenza, ma quale pezzo bianco muoverà per primo, e quale sarà la giusta sequenza delle mosse?
Oppure con la ricerca della soluzione da un tipo di esercizio ideato da me: “Il matto immaginato” (una sfida abbastanza semplice ma non così tanto per chi non è giocatore).
Vediamo un paio di esempi:
Esempio A
Queste le regole da seguire:
- il simbolo X sulla scacchiera indica la casella occupata da un pezzo bianco.
- il simbolo • sulla scacchiera indica la casella occupata da un pezzo nero.
- Tutti i pezzi inseriti nei diagrammi partecipano allo scacco matto.[1]
Di che cosa si tratta? Qual è il suo obiettivo?
La sfida consiste nello scambiare i simboli X e • con i pezzi del colore corrispondente, fino a comporre una posizione nella quale il Re nero è posto in scacco matto.
Esempio B
Entrambi gli schemi di matto sono tratti da due miei problemi pubblicati sulla rivista problemistica statunitense “Ideal Mate Review”.
[1] Matto Ideale (termine usato nel campo dei problemi) è quella posizione di scacco matto in cui tutti i pezzi, di entrambi i colori, ne prendono parte e nel quale ogni casa adiacente al Re nero viene attaccata solo una volta, oppure è occupata da un pezzo del proprio colore.