La figuraccia dei maestri italiani al Congresso di Londra del 1922
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(Riccardo M.)
Dal 31 luglio al 19 agosto del 1922 si disputò il grande “Congresso di Londra”, che fece seguito alla precedente edizione svoltasi 23 anni prima, nel 1899. Oggi (e per le prossime due “puntate” di questa rievocazione) facciamo un salto all’indietro esattamente di 100 anni, 100 estati fa.
I partecipanti a Londra 1922, primo grande torneo del primo dopoguerra, erano 16 e solo uno di loro, l’ungherese Geza Maroczy, aveva preso parte anche all’edizione precedente, giungendo 2°-4° alla pari di Pillsbury e Janowski, ma staccato di ben 4,5 punti dal dominatore Emanuel Lasker. Fra gli invitati del 1922 si dovette notare la mancanza di giocatori statunitensi, dovuta ad impegni di lavoro di Edward Lasker e all’invito giunto tardivamente a Frank Marshall.
E’ curioso invece sottolineare due aspetti di quel torneo: il primo fu la rilevante presenza di spettatori, particolare che avrebbe accompagnato quasi sempre le grandi manifestazioni almeno fin verso gli inizi del nostro secolo, quando l’affermarsi di internet rese più facile seguire i tornei da ogni luogo del mondo; il secondo è come anche 100 anni fa ci s’iniziasse a lamentare delle “patte d’accordo”. Leggiamo quanto, a proposito di questi due aspetti, si scrisse sul nostro “L’Alfiere di Re”, numero di agosto 1922:
“Il successo del Congresso trova la sua più esatta misura nella straordinaria affluenza di pubblico che seguì le vicende dei Tornei. La ressa degli spettatori fu infatti tale da rendere difficile l’avvicinarsi ai tavoli di gioco e suggerì al maggiore Barnett, nella seduta di premiazione, un rilievo che non è privo di significato”.
Leggiamo cosa disse il Burnett:
“E’ la prima volta che gli scacchi assicurano un ingresso gratuito in un locale interdetto al pubblico, e ciò in marcato contrasto con quanto avvenne da noi in altro torneo di maestri, tenuto anni fa in una piccola sala del vecchio “Aquarium”, dove i pochi che s’interessavano alle partite, per assistervi, dovevano sborsare uno o due scellini. Di contro a tanto interessamento, non difettarono per altro le delusioni nel vedere i più forti giocatori, timorosi uno dell’altro, giocare esclusivamente per il punto, e contentarsi perciò della patta. E’ così che Capablanca e Alekhine fanno gioco uguale dopo 17 mosse, ed il primo impatta con Maroczy dopo la ventunesima!”.
Il Torneo magistrale vide un nuovo successo di Josè Raul Capablanca, con 13 punti in 15 partite: 11 vittorie e 4 patte. Mancò soltanto il confronto con Emanuel Lasker, che il cubano aveva battuto l’anno precedente a L’Avana nella sfida mondiale. Tuttavia qui a Londra il suo non fu un trionfo facile, nonostante il punteggio lo faccia sembrare tale, in quanto per tutto il torneo ebbe alle costole due inseguitori terribili: Alekhine (anche lui imbattuto) e Vidmar, che giunsero rispettivamente secondo e terzo (p. 11,5 e 11). Rubinstein arrivò 4° e dietro di lui il vuoto. Più vuoto ancora davanti all’ultima piazza, alla quale fu relegato il nostro Davide Marotti (p. 1,5), professore di lettere e filosofia a Napoli, distaccato di ben 3 punti dai penultimi.
In contemporanea si svolsero altri tornei.
Il Torneo Maggiore fu vinto dal londinese Reginald Pryce Michell (p. 8/11), sul concittadino J.H. Blake e sul tedesco di Baviera A. Seitz, staccati di mezzo punto. Stefano Rosselli del Turco giunse appena 8° a pari merito con E.G. Sergeant e R.H.V. Scott (4,5/11), mentre Leone Singer si classificò ultimo con 2 punti.
Il Torneo Minore fu appannaggio dell’ungherese Levente Vajda (p. 9/11), uno che in seguito seppe dimostrare che tanto “minore” non era, e con gli stessi punti Miss Edith Charlotte Price, giocatrice inglese, portò a casa il primo premio nel Torneo Femminile.
Completarono la grande manifestazione i tornei di “prima classe” (vinse il francese Muffang), di “seconda classe” e di “terza classe”, per un totale di 88 giocatori, un bel record per l’epoca!
Ma è il momento di passare al tema del titolo, ovvero il risultato complessivamente assai negativo dei tre italiani: due ultimi posti e un terz’ultimo, appena 8 punti in 37 partite!
Cosa scrisse L’Alfiere di Re sulla deludente prova (“figuraccia” abbiamo titolato e si può ben dire) dei tre (Marotti, Rosselli del Turco e Singer)? Vediamo:
“Nei nostri ambienti desterà una dolorosa sorpresa il constatare come i tre rappresentanti dell’Italia al grandioso Congresso siano rimasti in coda ai rispettivi tornei cui presero parte. Non si può negare che siamo di fronte ad un insuccesso; ma si può, d’altro canto, arguire da ciò una manifesta inferiorità del nostro gioco e dei nostri giocatori? Riteniamo di no, poiché troppi elementi militavano a sfavore dei nostri campioni, nel duro cimento al quale si accinsero forse un po’ troppo leggermente. Privi infatti di preparazione e non temprati a lotte di siffatta importanza, essi si trovarono subito a disagio dinnanzi a giocatori che alla perizia accoppiavano un allenamento recente e continuato, che conoscevano già gli avversari e che giocavano in condizioni di spirito e di ambiente privilegiate!
A ciò si aggiunga, per quanto riguarda il Marotti, la naturale impressionabilità (il pericolo maggiore da lui temuto), la nervosità che ha sempre nociuto al Rosselli e che stavolta ha dovuto tenerlo in continua tensione … ed infine le condizioni fisiche del Singer, che è andato a Londra non ancora perfettamente rimesso da una sua recente malattia”.
Diavolo! Sapete che non ci avevo mai pensato? Ecco perché io non ho fatto carriera pur sentendomi un quasi-campione! Anch’io (ora che mi ricordo) ero vittima di impressionabilità e nervosità e anch’io sempre mi recavo ai tornei “non perfettamente rimesso” dai miei perduranti mal di schiena e raffreddori…
Beh, scherzi a parte, è meglio se andiamo avanti a leggere che cosa consigliava il redattore de L’Alfiere di Re per lo scacchismo italiano in crisi negli anni Venti:
“Comunque, la prova odierna sarà per noi salutare, poiché ci ha dimostrato che non è soltanto giocando tornei in casa che si possono preparare i campioni da mandare all’estero, ma occorre la pratica coi grandi scacchisti internazionali, occorre lo studio e la preparazione indefessa, ed occorre soprattutto temprare il fisico e lo spirito al grave surmenage che un torneo magistrale comporta. Il monito ci è stato dato: alla nostra benemerita Federazione, il compito di avviare i mezzi più atti per giungere allo scopo, se vogliamo d’ora in avanti intervenire ai cimenti internazionali”.
Insomma, il principale concreto suggerimento della bella rivista italica era questo qua: o si va per vincere, o si resta a casa. Senza ascoltare, pertanto, il pensiero di un grande loro contemporaneo non (purtroppo) scacchista: Pierre De Coubertin.
La fallimentare spedizione fu naturalmente oggetto di lunghe discussioni anche sulle pagine de “L’Italia Scacchistica”. Non dimentichiamo nemmeno che (così mi pare di aver inteso) i tre non andarono a Londra a loro spese, al contrario di ciò che aveva fatto nel 1895 il buon Beniamino Vergani ad Hastings, quindi le discussioni, le analisi e le critiche erano più che prevedibili.
L’Italia Scacchistica, a firma del suo direttore Alberto Batori, scriveva che “la causa quasi essenziale dei rovesci subiti dai nostri connazionali si deve al tempo ristretto concesso per pensare. Non vale obiettare che tale restrizione era reciproca, poiché il danno che essa può recare è ben più lieve verso chi vi è abituato che verso chi non vi è familiare”.
E il Batori si spingeva a criticare tali nuove regole, in verità con argomentazioni che appaiono poco solide: “Seguendo le consuetudini internazionali, dettate dalla lunga pratica del gioco, in Italia abbiamo adottato ormai il tempo di 15 mosse l’ora per i tornei d’importanza, applicando anche il principio del tempo cumulativo per ogni ripresa. Ora, essendosi costituita una Federazione Scacchistica Internazionale, non riteniamo giusto che, proprio dal cuore di essa, sorgano innovazioni contrarie a quanto si è sin qui universalmente sancito, tanto più quando esse rechino danno al buon progresso tecnico degli Scacchi”.
Chissà il Batori come si esprimerebbe se potesse assistere ai tornei di oggi! Però il direttore allargava le sue considerazioni ad altri fattori: “Altre cause hanno però contribuito alla sconfitta dei nostri connazionali e dobbiamo esaminarle spassionatamente per far sì che non abbiano a ripetersi. L’insufficienza di allenamento, specialmente del Marotti … poteva essere in gran parte evitata … ci attendevamo di vederlo spesso alle prese coi maestri toscani, romani e palermitani, scambiarsi con essi visite, ingaggiare sfide; ma la nostra attesa fu vana, poiché la sua attività scacchistica si ridusse ad una gita a Roma e alla consueta vita napoletana ravvivata da qualche partita col maestro Canal”. E Batori vedeva pertanto in lui “… una leggerezza nell’affrontare una tanto seria tenzone …”.
Per fortuna una critica era diretta anche alla nostra da poco nata Federazione: “… perché fu proprio presagendo la catastrofe per un insufficiente allenamento, che noi suggerimmo di far giocare il match Marotti-Rosselli prima del Torneo di Londra. Sarebbe stato un ottimo allenamento per ambedue i nostri campioni, ma nemmeno questo fu fatto …”
La Federazione Scacchistica Italiana era nel 1922 da poco tempo costituita e il 1° Campionato nazionale era stato vinto a Viareggio nell’agosto del 1921 proprio da Davide Marotti, che per questa ragione venne invitato a partecipare al Congresso londinese.
A Londra, come in Italia, si era per la verità probabilmente sopravvalutato il movimento italiano. Dalle stesse parole del Batori, quando suggeriva al Marotti l’allenamento con “maestri toscani, romani e palermitani”, riusciamo a intuire quanto il gioco degli scacchi non fosse cent’anni fa abbastanza uniformemente diffuso nella nostra penisola e come si giocassero molto raramente dei tornei. Lo conferma lo stesso Batori, fra i vari suoi “provvedimenti” da prendere, ove suggerisce di “promuovere tornei misti, invitandovi un certo numero di maestri stranieri … qualcosa di simile o di identico si è già praticato con successo in Olanda”. A proposito di Olanda, guarda caso, loro avrebbero addirittura avuto, una dozzina di anni dopo, un campione del mondo: Max Euwe.
Non fu tuttavia male l’unica vittoria londinese di Marotti, quella ottenuta contro il temibile russo Eugene Znosko-Borovsky. Le note sono di Geza Maroczy.
Come esempio della inferiorità del nostro campione si veda la successiva partita contro Alekhine (di nuovo con brevi commenti di Geza Maroczy). Basti citare i due sconfortanti immediati commenti di Amos Burn dopo il tratto n.9 del nostro “i Neri hanno già, e da parecchio, una partita inferiore” (“da parecchio” alla nona mossa??) e dopo il tratto n. 16 “attacco prematuro, ma il Nero ha una tale inferiorità che è difficile suggerire una mossa soddisfacente”.
Nella loro “La storia degli scacchi in Italia” così disquisivano in merito Adriano Chicco e Antonio Rosino, riprendendo in pratica quanto scritto dalle due sopracitate nostre riviste:
“Nocque ai nostri rappresentanti la maggior ristrettezza del tempo (20 mosse all’ora, contro le 15 concesse nei nostri tornei), ma si dovette dare atto che Marotti aveva affrontato la prova con una certa leggerezza. In quella circostanza il presidente della British Chess Federation, Leonard P. Rees, scrisse una lettera impregnata di quel tipico e finissimo umorismo inglese, che lascia spesso perplessi gli interlocutori continentali. Così si espresse, fra l’altro, l’egregio presidente:
“E’ stato per noi un grande piacere di conoscere il professor Marotti, e possiamo assicurare che tale piacere e la nostra stima si accrebbero di giorno in giorno con lo svolgimento del torneo, di fronte all’indomabile coraggio e tenacia da lui dimostrati nei rovesci, che lo portarono finalmente a registrare una buona vittoria”. “
A Viareggio 1921 alle spalle di Marotti si era classificato il funzionario di banca Leone Singer, e quel risultato aveva convinto forse gli inglesi ad accettare (e la nostra Federazione a proporre) il giocatore triestino nel “Torneo Maggiore”. Ma Singer era troppo soggetto ad alti e bassi (più bassi che alti), e quell’ultimo posto di Londra sarebbe stato poi confermato da un altro brutto ultimo posto (p. 1/11) nell’importante torneo internazionale di Trieste 1923, vinto da Paul Johner davanti a Canal, Yates, Tarrasch e Rosselli del Turco. Non a caso, inoltre, penultimo qui a Trieste 1923 fu proprio il Marotti (p. 2/11). Ogni tanto Singer ebbe qualche sussulto, come nel 1930, con il 2° posto al torneo di Firenze e con una patta strappata al campione del mondo Alekhine.
Viceversa, a Stefano Rosselli del Turco, che a Londra nel 1922 aveva già 45 anni, fece bene quella non del tutto disprezzabile esperienza londinese. Evitò infatti una debacle al fortissimo torneo di Baden Baden 1925 (16° su 21, battendo Tarrasch, Yates e Colle, e infatti Sericano scrisse “reggendo benissimo l’urto con i migliori”) e partecipò successivamente con la nazionale italiana a ben 7 olimpiadi negli anni fra il 1924 e (già sessantenne) il 1937.
In realtà il risultato ampiamente negativo dei tre rappresentanti italiani a Londra 1922 si doveva, al di là delle descritte ‘impressionabilità, nervosità e leggerezze‘, al non eccelso valore di due di loro (Marotti e Singer) e alla disorganizzazione della neonata FSI, che avrebbe portato l’anno successivo alle dimissioni (in realtà determinate da fattori economici più che tecnici) dell’intero Consiglio direttivo.
Insomma, c’era poco da fare: in patria in quegli anni i nostri sfoderavano prestazioni che parevano di classe superiore, ma poi i confronti all’estero con i migliori rappresentanti mondiali mettevano a nudo impietosamente i loro limiti. Dovemmo attendere l’arrivo di Monticelli e il torneo di Budapest 1926 per vedere un nostro giocatore sui gradini più alti dei migliori podi internazionali.
Ma restiamo a Londra 1922 e lasciamo adesso la parola nientedimeno che ad un commentatore campione del mondo: Josè Raul Capablanca!
(segue)