Il metodo negli scacchi
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Jossif Dorfman
(Riccardo Bizzarri)
Aleksander Grischuk è per me un giocatore molto interessante. E quando troviamo interessanti, stimolanti dei giocatori, credo sia inevitabile che si presti maggiore attenzione non solo al loro gioco, ma anche alle loro parole nelle interviste, perché è naturale conseguenza dell’interesse, e perché così, più razionalmente, raccogliamo molte informazioni utili.
L’utilità di queste informazioni riguarda da una parte certamente il possedere maggiori strumenti per avvicinarsi ancor di più al gioco del beniamino – una conoscenza più completa, insomma – ma dall’altra anche il carpire informazioni relativamente alle modalità con le quali il giocatore in questione si allena, si prepara, in generale si approccia al gioco a lato della prestazione specifica alla scacchiera.
Nel 2018 si è disputato il Match valido per il titolo mondiale tra Magnus Carlsen e Fabiano Caruana; sulla piattaforma on-line Chess24 la trasmissione live delle partite era accompagnata dal commento della WMI Sopiko e dal GM Svidler, ma l’ospite speciale di ognuna delle trasmissioni dal vivo era proprio Aleksander Grischuk. In una delle sue apparizioni in questo contesto gli venne chiesto di rispondere a una domanda rivoltagli da uno spettatore tramite la chat: quali fossero secondo la sua opinione i migliori 5 libri di scacchi.
Innanzitutto Grischuk si è preoccupato di distinguere se si intendesse libri che fossero piacevoli da leggere in termini di letteratura, per quanto scacchistica, o se si dovesse intendere testi per imparare il gioco, o considerare entrambi gli aspetti. Chiarito che l’interesse era rivolto a testi per imparare, Grischuk rispose senza esitazioni che l’unico testo che davvero sia da studiare per “imparare a pensare gli scacchi ad alto livello” fossero i due volumi pubblicati da Iossif Dorfman agli inizi degli anni 2000, e cioè “Il metodo negli scacchi” e “Il momento critico”.

In questi ultimi mesi, non smentendo quanto ho affermato nelle prime righe di questo testo, mi sto dedicando allo studio del primo dei titoli sopra citati, e per meglio comprenderlo, e insieme mantenendo vivo un altro mio interesse personale, sto tentando di applicare quanto man mano comprendo del metodo illustrato da Dorfman a partite non recenti, e nello specifico alle partite giocate da Emanuel Lasker.
Reti – Lasker
Mährisch Ostrau 1923
(posizione dopo il tratto n. 23 del Nero … Cd5-c3)
Qui, sempre che non abbia capito troppo male il testo di Dorfman, siamo di fronte a una posizione critica: indubbiamente, con la dichiarazione del suo stesso titolo, il secondo dei volumi pubblicati da Dorfman approfondirà di molto il concetto di posizione critica, ma anche nel primo l’autore non può sottrarsi al tentativo di darne una definizione, o quantomeno, come vedremo, di fornire parametri per poter riconoscere il presentarsi di una posizione critica.
Tra questi, ed è qui il motivo che mi fa sostenere che la posizione riportata più sopra sia una posizione critica, vi è quello della presenza nella posizione di una “possibilità di cambio” – e il termine possibilità è qui fondamentale, perché Dorfman nel testo specifica chiaramente che per aversi una posizione critica il cambio non deve essere forzato.
Credo che nella posizione uno degli aspetti più significativi sia proprio la possibilità della presa in e5 cambiando Alfiere per Cavallo; oppure no.
Dorfman sostiene che, riconosciuto l’apparire di una posizione critica, sia necessario per entrambi i giocatori procedere a una valutazione della posizione che permetta quindi di individuare le mosse candidate e tra queste quale giocare. La valutazione deve sempre avere carattere statico: chi risulterà in svantaggio da questa valutazione dovrà immediatamente dedicarsi alla ricerca di mosse che abbiano carattere dinamico, pena il deterioramento irreversibile della posizione e quindi la sconfitta.
Quattro sono i criteri che Dorfman sostiene debbano guidare il giocatore nella valutazione. Li presento nell’ordine in cui l’autore ritiene debbano essere considerati, in un ordine che lui stesso definisce regressivo:
- Posizione del Re (quale Re è più al sicuro da un punto di vista statico, e cioè permanente?)
- Correlazione materiale (presenza di quali pezzi sulla scacchiera: ad esempio l’autore sostiene che A e T siano più forti di C e T, e che D e C siano più dominanti che D e A)
- Chi avrebbe la migliore posizione dopo il cambio delle Donne?
- Struttura pedonale
Ora, tentando di seguire questa regressione sulla posizione riportata più sopra, credo che Lasker sia in svantaggio statico, e che debba quindi procedere dinamicamente.
E Lasker non delude Dorfman: infatti dopo 24. Td6 Db7 25.Te1 il Nero cambia: 25… Axe5 26.Cxe5 Dc7.
Qui è necessario che io citi un altro autore: in questo studio che prevede la comparazione tra gli insegnamenti di Dorfman e le mosse di Lasker non sto certo procedendo da solo, ma mi faccio sostenere dalle analisi e dai commenti di Boris Vajnstejn, autore della monografia su Lasker pubblicata in Italia da Prisma editori nel 1994 con il titolo “Lasker, Filosofia della lotta”.
Vajnstejn alla mossa 26… Dc7 segna un punto esclamativo; prosegue infatti l’autore: “Profilassi contro 27. Td7 cui seguirebbe molto tranquillamente 27… Dxe5 28.Dxf7+ Rh8 29.f4 Df6 e l’attacco del Bianco svanisce.”[1]
Il talento tattico di Emanuel Lasker è noto a tutti, ma qui credo che la bellezza di 26 …Dc7 sia da individuare anche e soprattutto nella capacità di mettere pressione al B in vantaggio sottolineando come nella sua posizione il tono complessivo sia certo aggressivo ma allo stesso tempo non presenti una buona disposizione dei pezzi, che nel caso specifico di T e C si ritrovano sulla stessa diagonale senza essere difesi; insomma la bellezza di questa mossa è da gustare anche nell’espressione da parte di Lasker di una fine sensibilità.
Vi confesso che inizialmente, nell’analizzare questa fase della partita tra Reti e Lasker, mi parve di assistere a una contraddizione a quanto sostenuto da Dorfman – e qui sarà bene sottolineare come Dorfman abbia chiaramente espresso nell’introduzione che il suo testo sia il risultato di una carriera decennale come giocatore ma soprattutto come allenatore, e non posso non ricordare che il nostro è stato secondo di Kasparov in tutti i suoi match mondiali contro Karpov, e allenatore dall’infanzia di Bacrot, che diventò ai suoi tempi il più giovane GM di sempre – una contraddizione, dicevo: una mossa così fine che nei commenti di Vajnstejn è forte perché brillante risorsa profilattica/difensiva, proprio non riuscivo a vederla come dinamica.
Poi, insistendo, a partire soprattutto dal pensiero che doveva sfuggirmi qualcosa perché non so nemmeno se gli anni luce possano essere una misura accettabile per quantificare la mia distanza da giocatori quali Dorfman e Lasker, ho risfogliato ancora il testo e fu durante questa nuova lettura che ritrovai un grassetto dove Dorfman afferma: “In the given specific example the dynamics involve exchanging the opponent’s attacking pieces.”[2]

25… Axe5.
Qui mi resi conto che pregiudizialmente sovrapponevo il termine dinamico a spettacolare, e presa coscienza di questo mi fu chiaro che sulla scacchiera le trasformazioni possono essere radicali senza che si avverta il minimo rumore.
E se mai ve ne fosse stato bisogno mi sono meravigliato ancora una volta di più della ricchezza e del mistero delle 64 caselle.
[1] Boris Vajnstejn, Lasker. Filosofia della lotta, Prisma editori, Roma, 1994, p.199
[2] Iossif Dorfman, The Method in Chess, Sarl Game Mind, Montpellier – Francia, 2001, p.15
Nato nel 1981, Riccardo Bizzarri ha riportato da qualche anno gli scacchi nella sua vita dopo averli amati per tutta l’adolescenza, compiendo anche i primi passi nella dimensione dell’agonismo. Interessato tanto alla comprensione del gioco quanto all’approfondimento dei suoi aspetti storici, ha per le figure di Emanuel Lasker e Mikhail Tal’ un’attrazione tutta particolare.