Cuneo e la finestra a scacchi (2)
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(Riccardo M.)
Oggi percorriamo di nuovo le orme dei nostri amici della Scacchistica Cuneese, per presentare, in continuità con la precedente puntata e con il loro bel post “la finestra a scacchi”, alcuni nomi di carcerati/scacchisti dei quali le cronache hanno parlato nel tempo.
Iniziamo con l’ergastolano Claude Bloodgood, statunitense di origine messicana, divenuto famoso per la sua bravura nel gioco per corrispondenza, dal momento che pare abbia giocato e terminato ben 250 partite. Condannato alla sedia elettrica dal Tribunale di Norfolk nel 1970 per uxoricidio, la data della sua esecuzione fu rimandata per ben sei volte prima che la condanna fosse commutata in ergastolo. Bloodgood già prima del carcere era stato un assiduo giocatore di scacchi, addirittura si vantava di aver giocato con Humphrey Bogart. In un’intervista al “British Chess Magazine” confessò: “senza gli scacchi, in galera sarei impazzito del tutto”. Personaggio collerico e malvagio, Bloodgood scrisse alcuni articoli e libri, fra i quali “I gambetti Norfolk”. Alla sua morte, nel 2001, lasciò un grande archivio scacchistico, che poi fu donato alla Cleveland Public Library, una biblioteca che possiede le più grandi collezioni di scacchi del mondo.
Altra vicenda importante è quella del pregiudicato statunitense Norman Tweed Whitaker (1890-1975), avvocato, il quale sembra abbia partecipato, sia pur marginalmente, al celeberrimo rapimento del figlio di Lindbergh, il trasvolatore atlantico. Condannato per diversi crimini, fu più di una volta nel carcere di Alcatraz. Era un gran fan del suo connazionale Harry Nelson Pillsbury, del quale seguiva da ragazzo tutte le partite. La FIDE nel 1965 gli riconobbe il titolo di Maestro Internazionale, e questo basta a capire che non abbiamo a che fare con un semi-sconosciuto. Di lui e della sua vita avventurosa occorrerà parlare in un articolo dedicato.

(foto da “Shady Side” di John Hilbert, Fair use)
Negli anni duemila la BBC affidò un documentario a Mark Rylance sulla vita di John Healy, un etilista irlandese nato nel 1943 e finito in prigione, ove ebbe l’opportunità di apprendere il gioco degli scacchi dal compagno di stanza, tale Harry “the Fox”. Si appassionò agli scacchi e, abbandonato l’alcool, divenne perfino un buon giocatore. Nel 2010 un suo libretto, “Coffeehouse chess tactics“, è stato pubblicato dalla famosa casa editrice “New in Chess”.
Donald Gittin, che da adolescente giocava sporadicamente ma senza passione, nel 1987 venne recluso nell’istituto correzionale californiano di Tehachapi. Qui si ritrovò per compagno di cella Walter Lewis, un esperto di gioco per corrispondenza (2100 era il suo Elo). Donald finì per prestare sempre più attenzione alle complesse analisi del Lewis. Questi invece finì per annoiarsi terribilmente a giocare con l’inesperto compagno e decise quindi di toglierselo dai piedi prestandogli una copia de “Il Mio sistema” di Aron Nimzowitsch. Dopo una lettura vorace del corposo libro, Gittin fece passi da gigante, divenne maestro e poi corrispondente scacchistico del “The Chess Correspondent” di Los Angeles.
Lo scrittore e dissidente russo Natan Sharansky fu negli scacchi un bambino prodigio e vinse a 15 anni, nel 1963, il campionato della sua città natale, Donetsk. Prima di emigrare in Israele, ove divenne un noto uomo politico, fu per nove lunghi anni detenuto in prigioni dell’Unione Sovietica, spesso in isolamento. Dichiarò che la sua grande passione per gli scacchi lo aveva salvato nel periodo di detenzione, quando ogni giorno riusciva a giocare a mente intere partite contro se stesso. Sharansky, tra l’altro, sconfisse Kasparov in simultanea nel 1996.
Invece Oscar Tenner, un maestro di scacchi tedesco/americano (1880-1948) finito in un campo di prigionia tedesco, non giocava “alla cieca” ma con pezzi modellati con mollica di pane, pratica molto diffusa tra i detenuti di tutti i tempi. Più volte, fra il 1922 e il 1926, Tenner si era classificato fra i primi 6 o 7 nei tornei internazionali di New York.
Non occorre molta fantasia per intuire che gli scacchi possono offrire una via di fuga dalla realtà, rappresentando un “non luogo” e “un non tempo” nel quale rifugiarsi per dimenticare i dolori fisici e morali dell’esistenza. In particolare per chi è in galera, gli scacchi possono essere molto di più, anche una opportunità. Parliamo di seguito di personaggi assolutamente minori.
Russ Lee Davis, carcerato al “Howard County Detention Center” in conseguenza di rapina a mano armata, ha imparato a giocare a scacchi in prigione. Lui pensa che un giorno gli scacchi lo aiuteranno a non ricadere nell’errore, perché “questo gioco riflette la vita: se impari a superare gli ostacoli su una scacchiera, puoi allora superare anche gli ostacoli nella vita”. Adesso, bloccato nella sua cella, Davis gioca a scacchi tutti i giorni con altri suoi compagni: “Ci si sente obbligati a pensare e a risolvere situazioni difficili, capisci che non puoi sempre e solo ribellarti”.
Jack Kavanagh, direttore dello “Howard County Detention Center”, ove l’insegnamento degli scacchi è stato esteso anche nell’ala di massima sicurezza, è convinto che gli scacchi siano importanti per i carcerati: “Insegnano a concentrarsi, ragionare e pianificare, inoltre alcune persone che generalmente non parlano mai con altri, quando invece giocano a scacchi, parlano”. L’insegnante di scacchi dello Howard County è Ken Clayton, un settantenne di Columbia che fu giocatore di ottimo livello: “Questi ragazzi hanno fatto un errore e adesso lo stanno pagando, ma si meritano una possibilità di conoscere e fare qualcosa di diverso”. Jeremiah Lewis, che a 21 anni finì lì recluso, afferma di aver appreso gli scacchi a scuola, ma di averli apprezzati solo in prigione grazie ad un istruttore come Clayton. “Mi hanno aiutato ad usare meglio il mio cervello”, diceva Lewis, il quale, quando nel 2013 fu di nuovo libero, promise che non avrebbe più abbandonato gli scacchi.
Insomma, il gioco degli scacchi per un carcerato in molti casi diventa una forma di riscatto morale, una sfida intellettuale, una vera e propria àncora con il mondo esterno, un antidoto all’alienazione e non semplicemente una fuga da noia e monotonia come può accadere nella vita di tutti i giorni di un uomo libero.
Non abbiamo certamente esaurito qui la lista, interminabile, di persone che in carcere hanno scoperto e poi abbracciato gli scacchi. Ce ne sono stati ovunque nel mondo, in ogni tempo ed anche in Italia. Ad esempio, nel libro “Cavalieri erranti: fortuna e declino degli scacchi in Calabria (XVI-XVIII secolo)” (ed. Rubbettino, 2014) si legge la storia dell’arcivescovo di Cosenza Bartolomeo Florido, che “accusato di aver falsificato alcuni brevi papali nel 1497, mentre languiva in prigione passava il tempo con gli scacchi”.
E qui ci fermiamo per il momento. Ma sul tema “scacchi e carceri” promettiamo di ritornare presto, presentandovi, tra l’altro, la vita di un grande maestro che fu senza dubbio il carcerato/scacchista più importante della storia.

Ringraziamo la “Scacchistica Cuneese”, che ci ha consentito di realizzare ampiamente questi due articoli, in particolare il suo presidente Enzo Medaglia e il suo vicepresidente Antonio Ciaramella. Vi invitiamo a visitare anche il loro blog e ricordiamo (se passate da Cuneo) che la sede di gioco dell’associazione è in Via F.lli Vaschetto nr.10, ingresso presso il “Centro incontri” nella Piazzetta Santa Croce/angolo Viale Kennedy. Gioco libero dalle 21,00 di tutti i martedì e giovedì della settimana.
Per contatti: scacchicuneo@gmail.com
Grazie a Riccardo per questi due interessanti articoli sugli scacchi in prigione. In effetti gli scacchi sono la dimostrazione che libertà e regole possono (o, meglio, debbono) andare perfettamente d’accordo (contrariamente a quello che pensano tanti pseudo “ribelli”).