Uno Scacchista

Annotazioni, Spigolature, Punti di vista e altro da un appassionato di cose scacchistiche

Binomio scacchi ed arte: Mikhail Tal

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(Antonio M.)
A qualcuno l’accostamento potrà sembrare azzardato, visto che quando si parla di arte vengono in mente grandi nomi del passato come Raffaello, Michelangelo, Leonardo e grandi opere quali dipinti e sculture come se ne trovano tante sparse per i vari musei del mondo. E si può diventare quasi irriverenti quando ci si chiede in fin dei conti cosa sia l’arte ed accostarla agli scacchi.

Ma se si va su alcune definizioni che si trovano sulle enciclopedie, ed anche sul web, leggiamo: “L’arte, nel suo significato più ampio, comprende ogni attività umana – svolta singolarmente o collettivamente – che porta a forme di creatività e di espressione estetica, poggiando su accorgimenti tecnici, abilità innate o acquisite e norme comportamentali derivanti dallo studio e dall’esperienza”, “Pertanto l’arte è un linguaggio, ossia la capacità di trasmettere emozioni e messaggi”.  Ecco, “… Che porta a forme di creatività e di espressione estetica …” e “la capacità di trasmettere emozioni” sono queste forse più di altre cose l’indizio che mi porta a pensare che Mikhail Tal riproducesse sulla scacchiera delle vere e proprie opere d’arte; magari imperfette, magari destinate a provocare commenti critici ed a sollevare dubbi e discussioni, ma di sicuro capaci di smuovere dal profondo i punti più sensibili dell’animo umano, letteralmente stravolgendo gli spettatori che rimanevano ipnotizzati a vedere quel via vai di pezzi in un turbinio che li lasciava senza fiato e spesso increduli nel vedere l’esito finale delle partite.

D’altronde, oggi come ieri, se si chiede agli appassionati chi per loro fosse stato il più grande giocatore di attacco negli scacchi, sicuramente non uscirebbero fuori i nomi quali quello di un formidabile attaccante come Alekhine, oppure, in tempi più recenti, di chi idealmente prese la sua eredità: Kasparov, che venne soprannominato l’Orco di Baku e questo spiega tutto, o di Shirov altro grande attaccante, il “Fire on the board” dell’omonimo libro di sue brillantezze, ma il suo: Mikhail Tal. Il Re dell’attacco, il genio delle combinazioni, l’attaccante per antonomasia, il giocatore dagli occhi magnetici che quando ti si posavano addosso ti lasciavano quel senso d’inquietudine di un qualcosa che stava lì lì per accadere e che non sapevi come e quando sarebbe accaduto.

E poi ci sono i pareri di altri illustri giocatori di scacchi, tra l’altro che hanno raggiunto il massimo titolo e che hanno dominato le scene scacchistiche nel periodo del loro regno: Il gioco degli scacchi è tutto: arte, scienza e sport” (Anatolij Karpov); Il gioco degli scacchi è un’arte” e Gli scacchi sono un unico nesso cognitivo, una circostanza in cui arte e scienza si uniscono nella mente umana e vengono poi raffinate e potenziate dall’esperienza.” (Garry Kasparov)

“Sì”, direte Voi, “ma questi sono giudizi un po’ di parte”: è vero ma sono pur pareri di autorevoli personaggi; ma se la risposta non vi soddisfa, eccone un altro di un personaggio famoso: Sono giunto alla conclusione che non tutti gli artisti sono giocatori di scacchi, ma che tutti i giocatori di scacchi sono artisti” (Marcel Duchamp). Esatto, Marcel Duchamp, uno dei più importanti artisti del XX secolo, che si occupò di pittura, e non solo, seguendo la corrente del cubismo e che si prese dieci anni di pausa per dedicarsi anima e corpo alla sua altra passione artistica, raggiungendo anche alti livelli: gli scacchi, appunto.

Non ci rimane altro, a questo punto, che vederle queste opere d’arte, con l’unico imbarazzo di cercare di evitare il più possibile di contaminarle con commenti banali ed inopportuni, perché l’Arte si apprezza così com’è, nel bene e nel male, la si osserva e la si ammira e se qualcosa non piace, lo si tiene per sé perché sicuramente siamo noi che non riusciamo a capirla ed a valutarla appieno nella sua interezza.

Che dire? Il più forte giocatore dell’epoca che è cascato sotto i colpi del più giovane ed aggressivo avversario che ha all’improvviso impresso alla posizione un’accelerazione che l’ha trasformata da una puramente posizionale in una estremamente tattica, con “the Iron Logician” incapace di orientarsi nel mare aperto delle complicazioni in cui era stato portato da Tal. Il sacrificio di Cavallo, che è uno dei più famosi di Tal, era corretto, non era corretto? Ma cosa importa? Cosa può appagare di più un appassionato di un sacrificio in primis, e poi del posizionamento armonico dei pezzi sulla scacchiera, quasi simmetrico, equamente distribuiti nei due quadranti della scacchiera? Sei, tra pezzi e pedoni, per il Nero nel quadrante Ovest, fronteggiati da altrettanti pezzi Bianchi e sette in quello Est, sempre fronteggiati da quelli Bianchi in egual numero. E cosa dire di quel Cavallo che si posiziona in una casa “proibita” in una maniera un po’ folle, andando oltre la cosiddetta metà campo, e che in parallelo con la Torre e la Donna del Nero sull’ala di Donna, dà la sensazione di un’iniziativa che comincia a schiacciare l’avversario?

Non so a voi, ma a me sembra di osservare un quadro dove tutto sembra essere al posto giusto e l’unico pensiero che mi sovviene mentre continuo a guardarlo è: “Fantastico”!

E questo sacrificio della cavalleria Nera mi fa venire in mente una stampa di una delle ultime, e tra le più famose, cariche di cavalleria che è stata consegnata alla storia per l’audacia e drammaticità: “la carica dei seicento di Balaklava” avvenuta in Crimea il 25 ottobre 1854 ad opera della Brigata Leggera della Divisione della Cavalleria britannica. Come non rilevare la cura dell’estetica anche in un momento drammatico come questo, con l’attaccante che ha disposto la cavalleria in tanti reparti con egual numero di cavalli e cavalieri che vanno ad occupare lo spazio in maniera perfetta? Un senso dell’estetica che veniva adottato anche nell’abbigliamento dei cavalieri molto curato e sgargiante, all’epoca invero molto criticato in patria, perché spesso si abbondava in accessori e mostrine che pur belli da vedere, mal si sposavano con la praticità di chi doveva essere libero nei movimenti nei momenti concitati della lotta.

E la perfezione, in questo caso, sarebbe stata veramente tale se fosse stata applicata in una parata per una festa e non in un’azione di guerra con centinaia di cavalli e cavalieri falciati, feriti ed uccisi, che sono passati sì alla storia, ma per un’azione insensata ed alla fine … fine a sé stessa.

Balaklava: La carica dal punto di vista russo dalle alture Fediukhine

“C’est magnifique, mais ce n’est pas la guerre: c’est de la folie” questo è quanto esclamò il Generale di divisione Pierre François Joseph Bosquet, dell’esercito francese in Crimea, quando ascoltò l’ordine comunicato dal Capitano Nolan del 15° Reggimento Ussari a Lord Lucan, che guidava la Brigata Leggera della cavalleria britannica e che riportava di attaccare la batteria di cannoni russi pronti a far fuoco, posti frontalmente in fondo alla valle. Uno dei più controversi e discussi ordini che fu definito “il più grande errore, ad ora noto, di tattica militare”, dovuto ad un “misunderstanding” di fondo, visto che l’attacco doveva essere rivolto in altra direzione e contro un’altra postazione di russi che erano in ritirata con i cannoni inglesi precedentemente catturati. Nel nostro caso nessun errore di comunicazione: Tal ha sacrificato il Cavallo scientemente, forse con la “giusta” dose di follia e con una mossa decisamente controversa, ma con l’esito della battaglia che è stato diverso rispetto a quello reale di Balaklava.

E per restare sul tema della “lucida follia”, vi vorrei sottoporre una delle partite più incredibili che abbia mai avuto modo di vedere, con una ricerca spasmodica di Tal della vittoria contro un avversario che ribatteva colpo su colpo. Qui sembra proprio che sia guidato da forze soprannaturali, con la capacità d’imprimere alla partita continui cambiamenti senza curarsi del materiale. Sembra quasi di ammirare un’opera di quegli artisti “maledetti” di metà-fine Ottocento, che spesso le componevano in stato di forte ebbrezza per abuso di alcol, o sotto l’effetto di allucinogeni. Perché è questa la sensazione: che Tal “veda” qualcosa di diverso come se viaggiasse su un altro mondo.

Una partita folle, da vedere senza l’ausilio dell’”amico elettronico” che andrebbe in tilt alternando freneticamente i giudizi della posizione da vinta per il Bianco a poi pari, a poi vinta per il Nero e così via in un loop quasi infinito, e senza consultare i vari testi che hanno riportato questa partita, perché c’è un compendio di libri con commenti che riportano giudizi completamente diversi su alcune mosse chiave, a dimostrazione dell’enorme complessità della stessa, con i due giocatori che hanno avuto lo sfibrante compito di trovarle sulla scacchiera, dovendo analizzare varianti su varianti ad ogni mossa che facevano nel momento che le complicazioni avevano raggiunto il loro apice, mentre oggi ci sono ancora dei pareri discordi dopo fiumi  di analisi di forti giocatori e di forti programmi scacchistici.

Questa volta nessuna simmetria, nessuna eleganza, nessun gusto estetico, ma un vero e proprio elogio del “Caos”, con pezzi che “volano” sulla scacchiera senza dare un attimo di tregua ai giocatori ed agli spettatori, con i nostri due eroi che hanno dipinto un quadro nervoso, con vigorose pennellate con segni quasi schizofrenici, con la forza propulsiva che sembra trasbordare dalla tela e con un’esplosione di colori quasi messi a caso che alla fine ci vede stravolti e convinti di nuovo di aver visto un’opera d’arte, forse non perfetta ed allo stesso tempo perfetta …. nella sua imperfezione.

E qui più che mai Tal, che ha saputo tirare fuori conigli in quantità dal suo cilindro, ha conquistato sul campo l’appellativo di “The Magician from Riga”.

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