Uno Scacchista

Annotazioni, Spigolature, Punti di vista e altro da un appassionato di cose scacchistiche

Vogliamo dare 0,25 punti alla patta anziché 0,50?

7 min read

(Riccardo M.)
Consigli di uno spettatore dopo l’ultimo grande torneo di scacchi. (*)

“E’ permesso ad uno spettatore di esprimere la sua disillusione sulla qualità delle partite giocate?
Questa disillusione ha dei precedenti, e i maestri, nel difendere la loro tattica, hanno perduto di vista l’oggetto vero della mia critica. Essi hanno creduto che le mie osservazioni tradissero l’inclinazione per le combinazioni brillanti e superficiali, mentre la mia critica è diretta contro il convenzionalismo troppo spinto nella partita, che rende il gioco scialbo e insipido. Essi temono troppo di uscire dal loro campo, e non creano posizioni che sviluppino tutte le possibilità che la scacchiera offre al genio del giocatore.

Essi sostengono che la loro partita scialba ed insipida rappresenta uno sviluppo più scientifico della strategia scacchistica; ma la verità è che la scacchiera è uno specchio, in cui il temperamento, l’immaginativa, l’iniziativa si riflettono immediatamente in modi stranamente sottili che non è possibile analizzare.

La partita a scacchi, come l’opera d’arte, ha o non ha il soffio dell’ispirazione. Sta in questo la magica qualità del suo contenuto.

Ora, per lo più, le partite di torneo non sono ispirate. Sorge, quindi, il quesito se sia possibile un rimedio. Da un articolista fu proposto un cambiamento della posizione dei Cavalli e degli Alfieri. Un primo tentativo del genere risale a circa il 1870.

Ma io intendo offrire oggi un rimedio più semplice e che non svisa la fisionomia del gioco: stabilire che le patte non valgano più mezzo punto, ma un quarto di punto.

Oggetto della partita è vincere, e il vincitore guadagna un punto. Vincitore è chi ottiene il maggior numero di veri punti. Mi è sempre parso discutibile che per il solo pattare si potesse guadagnare ben mezzo punto. E’ stato deplorato da molti, durante il recente torneo, che due giocatori avessero lasciata d’accordo la partita patta dopo 13 mosse. Ora è difficile che avrebbero fatto altrettanto se con la patta avessero guadagnato un quarto di punto anziché mezzo!

Con l’innovazione da me proposta, i maestri sarebbero obbligati a giocare per vincere, e quindi a sviluppare la loro immaginativa e lo spirito d’iniziativa e a non lasciare intentata nessuna risorsa per raggiungere il vero obiettivo della partita”.


(*) “l’ultimo grande torneo” di cui sta parlando l’estensore delle righe qui sopra riportate è nientemeno che il grande torneo di Londra 1922, che ebbe questa classifica finale:

1.Capablanca p.13 su 15, 2.Alekhine p. 11,5, 3.Vidmar p. 11, 4.Rubinstein p.10,5, 5.Bogoljubov p. 9, 6.Reti e Tartakower p.8,5. Fra gli altri classificati c’erano nomi celebri quali Maroczy, Yates, Euwe e Snosko Borovsky, e c’era pure il nostro campione nazionale, Marotti, che giunse ultimo e staccato con appena 1,5 punti.

L’estensore di quelle righe (che fa riferimento ad alcune sue precedenti, ed evidentemente note, esternazioni della medesima specie) così concludeva la sua lettera, che ebbe una certa risonanza in quanto fu pubblicata per intero, alla fine del torneo, addirittura sul “Times” di Londra:

“Le partite dell’ultimo torneo sono state anche infiorate da errori evidenti e rimangono di certo molto inferiori per qualità e carattere a quelle delle generazioni precedenti. Il gioco, per esempio, di Zukertort del 1889 sarà sempre visto come interessante per gli studiosi, mentre l’insipidità delle partite del 1922 non attrarrà di certo, in futuro, l’interesse di alcuno”.

Càspita! In Londra 1922 fu davvero così insipido il gioco dei migliori campioni? Possibile?

Lo spettatore tanto deluso da quel torneo e da quel gioco si chiamava Louis Zangwill, e le partite che più non sopportò furono probabilmente soprattutto le due patte, in meno di venti mosse, concordate dal vincitore e campione del mondo in carica Josè Capablanca con due dei suoi più temibili rivali, Alekhine e Maroczy. In realtà le patte furono soltanto 32 in quel torneo di Londra, uno dei più celebri del XX secolo, 32 su 120 partite, corrispondenti ad appena il 26,5%. Ma a Zangwill non andava giù ugualmente.

Dovete sapere che Zangwill (1869-1938, in arte “Z.Z.”) era un nome assai noto e ascoltato a Londra: giornalista egli stesso, filosofo, scrittore (nell’immagine di testa uno dei suoi lavori), viaggiatore, collezionista di mobili antichi e di scacchi (e anche giocatore di scacchi piuttosto quotato).

La sua lettera seguiva di pochi giorni proprio quella pubblicata sullo stesso Times a Capablanca, il quale dipingeva invece le meraviglie del torneo, il contegno cavalleresco dei giocatori, il lavoro del comitato organizzatore, l’energico gioco dei suoi tre principali rivali (Alekhine, Vidmar e Rubinstein), le sue stesse partite  fra le quali in particolare quella contro Vidmar, vincitrice del premio di bellezza, quella contro Morrison, nella quale per due volte offrì un sacrificio d’Alfiere che sarebbe stato fatale accettare, quelle contro Bogoljubov e Tartakower dove riuscì a ribaltare posizioni in cui ogni spettatore lo aveva visto prossimo alla sconfitta.

Il torneo magistrale di Londra 31 luglio – 19 agosto 1922

Significativo è il raffronto che lo Zangwill faceva con un precedente grande torneo di Londra, che però doveva essere quello del 1883 (e non del 1889 come lui erroneamente scriveva o come da altri mal trascritto), torneo vinto nettamente da Zukertort con p. 22 su 26 davanti a Steinitz, Blackburne e Chigorin.

Erano altri tempi, quelli del 1883, tempi evidentemente molto rimpianti da un “laudator temporis acti” quale doveva essere il nostro super-critico spettatore e collezionista/giocatore londinese. Basti pensare che il torneo del 1883 presentò la miseria di appena 7 patte! Ma c’era un segreto: il torneo fu una maratona durata due mesi in quanto il regolamento obbligava i giocatori a rigiocare tutte le partite patte e a rigiocarle per la terza volta in caso di ulteriore parità! Mackenzie ed Englisch, ad esempio, per arrivare a segnare due volte sul loro tabellino il reciproco risultato di 0,5-0,5, dovettero giocare fra di loro ben 6 partite, in pratica un match!

Un raffronto fra il torneo del 1883 (o quello del 1899) e quello del 1922 porta del resto a mettere in luce non soltanto differenze di regolamento e quindi di gioco, ma anche degli aspetti totalmente diversi nell’approccio degli scacchi verso il grande pubblico.

La nostra rivista “L’Alfiere di Re”, nel dedicare ampio risalto al “Congresso di Londra” svoltosi fra il 31 luglio ed il 19 di agosto 1922, metteva ad esempio a confronto quest’ultimo torneo con un altro precedente londinese, quello del 1899 quando trionfò Lasker con ben 4,5 punti di vantaggio su Maroczy, Pillsbury e Janowski. E il confronto non si limitava agli aspetti tecnici e sportivi.

Scriveva così l’anonimo articolista: “Il successo del Congresso dell’estate del 1922 trova la sua più esatta misura nella straordinaria affluenza di pubblico che seguì le vicende dei tornei. La ressa degli spettatori fu infatti tale da rendere difficile l’avvicinarsi ai tavoli di gioco, e suggerì al maggiore Barnett, nella seduta di premiazione, un rilievo che non è privo di significato: ‘E’ la prima volta che gli scacchi assicurano un ingresso gratuito in un locale per solito interdetto al pubblico, e ciò in marcato contrasto con quanto avvenne da noi stessi in altro torneo di maestri’ -quello del 1899- ‘tenuto anni fa in una sala del piccolo e vecchio “Aquarium”, dove i pochi che s’interessavano alle partite, per assistervi dovevano sborsare uno scellino o due. Di contro a tanto interessamento, non difettarono peraltro le delusioni nel vedere i più forti giocatori, timorosi uno dell’altro, giocare esclusivamente per il risultato e accontentarsi perciò della patta’.

L’ungherese Geza Maroczy fu il solo giocatore che prese parte ad entrambi quei tornei londinesi, quello del 1899 (dove pure le patte furono poche, appena 43 su 182 partite) e quello del 1922, quando aveva già 52 anni. Sarebbe stato molto interessante conoscere l’opinione di Maroczy sull’evoluzione degli scacchi a cavallo dei due secoli, sull’affluenza del pubblico grazie all’ingresso gratuito, sulle patte d’accordo (ma le faceva anche lui!) e su proposte originali quali quella dello spettatore deluso Zangwill.

C’è anche da dire che lo Zangwill dev’essere stato in quegli anni soltanto la punta di un movimento che, essendo gli scacchi definitivamente usciti da quello che venne chiamato il “periodo romantico”, sentiva la necessità di qualche cambiamento che apportasse nuova linfa al gioco. A ciò divenne sensibile lo stesso Capablanca, che si sarebbe spinto, alcuni anni dopo, ad avanzare proposte di certe modifiche al gioco, persino nelle dimensioni della scacchiera (10×10).

In conclusione, è trascorso un altro secolo e constatiamo che gli scacchi, nonostante (o forse grazie a) il rivoluzionario avvento dei programmi e di internet, hanno proseguito nella loro strada senza mutamenti di sorta nelle regole e nei regolamenti, a parte la tendenza al gioco rapido un tempo quasi del tutto ignorato. Forse ci ha indovinato Isaac Asimov nel dire che fra 100.000 anni il gioco degli scacchi sarà ancora lo stesso?

Tuttavia mi chiedo ugualmente se Zangwill avesse ragione: è la vittoria il vero obiettivo della partita? E mi chiedo se c’è oggi in giro per il mondo qualche maestro o dirigente scacchistico al quale quella proposta di Zangwill non dispiace del tutto e la ripresenterebbe, semmai in forma più attenuata: che 4 patte combattute possano valere appena come una vittoria (magari fortunata) mi appare un poco eccessivo, ma qualcuno ha mai pensato a patte da 0,40 a testa?

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3 thoughts on “Vogliamo dare 0,25 punti alla patta anziché 0,50?

  1. Interessante post, Riccardo.
    Quando scrivi “Qualcuno ha mai pensato a patte da 0,40 a testa?” però, dimentichi i molti tornei giocati con il sistema di punteggio 0-1-3 (1 punto alla patta e 3 punti alla vittoria), che di fatto equivale a 0,33 punti per la patta in casi di assegnazione di 1 punto alla vittoria.
    La risposta alla tua domanda è quindi “Sì”, con una via di mezzo tra lo 0,25 di Zangwill e lo 0,40 che suggerisci tu.

    1. Effettivamente, almeno nel calcio, da quando la vittoria vale tre punti le partite sono più vivaci e i gol sono molto aumentati. È un’idea da perseguire.

      1. Vorrei ringraziare UnoScacchista e Piercarlo per queste appropriate considerazioni, che tra l’altro mi danno l’opportunità di riparlare dell’argomento in un prossimo articolo.

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