A Marostica il Museo degli Scacchi
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Gli scacchi di Baj, 1988
(Claudio Mori)
Il Paese che ha dato giocatori di scacchi di grande fama come Leonardo da Cutro e Paolo Boi il Siracusano nel XVI secolo, come Gioachino Greco nel XVII, che in quello successivo ha espresso formidabili giocatori come Domenico Ponziani, Ercole del Rio e Giambattista Lolli, il Paese delle Accademie non aveva mai avvertito la necessità di dotarsi di un grande museo degli scacchi.
Una lacuna davvero inspiegabile. Non c’è arte o mestiere o tradizione che non abbia trovato adeguata rappresentazione in un museo promosso da un ente pubblico. Tranne gli scacchi, intesi come gioco, storia, arte, letteratura, cinema e 15 secoli di storia alle spalle.
Lo scandalo, e l’attesa, sono finiti. Grazie alla donazione della collezione di Giovanni Longo il Museo degli Scacchi vedrà la luce la prossima primavera in un luogo simbolo, nel gioiello medievale di Marostica, in quella città del vicentino diventata famosa in tutto il mondo per la sua partita a scacchi viventi e che proprio nel 2023 celebrerà il centenario.

Il sindaco Matteo Mozzo e l’assessora alla cultura Ylenia Bianchin hanno fatto proprie le indicazioni venute da uno studio commissionato all’Università di Bologna: gli scacchi sono la vocazione della città, l’occasione per una ulteriore promozione turistica e culturale.
Le sale del Museo saranno allestite all’interno del Castello inferiore costruito nel 1312 da Cangrande della Scala, dove sono anche custoditi gli sfarzosi costumi veneziani rinascimentali disegnati nel 1954 dall’artista Mario MirKo Vucetich (1898 – 1975) per rinnovare la sfida a scacchi con personaggi viventi tra Vieri da Vallonara e Rinaldo d’Angarano desiderosi entrambi d’impalmare la bella Lionora Parisio, figlia del Castellano. Era l’anno 1454, lo stesso del Tractatus partitorum Scachorum, Tabularum et Merelorum, di anonimo bolognese, contenente 533 problemi.
Se la partita sulla grande scacchiera in marmo bianco e rosa antistante il Castello inferiore è frutto dell’amore, la raccolta che compone il museo è frutto del tradimento. Di un particolare tipo di tradimento. Perché proviene dalla rinuncia di un collezionista allo scopo compulsivo della sua vita. Proust scriveva che per un collezionista c’è sempre posto nella sua bacheca per un pezzo più originale e più raro. Potere cioè contemplare il trascorrere del tempo cristallizzato negli oggetti esposti nelle teche, ammirarne la bellezza in un solitario compiacimento. Tutt’al più esibiti con parsimonia a una piccola confraternita. Dominano riserbo e segretezza. Il tesoro rimane ben custodito, inaccessibile.
Giovanni Longo ha tradito sé stesso e i confratelli. Da giocatore esperto, Maestro ad honorem, ha fatto una mossa imprevista, uno di quei colpi destinati a lasciare il segno, ha spiazzato tutti donando al nuovo museo il suo universo scacchistico, spogliandosi di anni e anni di pazienti acquisizioni solo per i propri occhi, di spazi sempre rinnovati per nuovi oggetti del proprio desiderio. Si potrebbe dire una conversione. O un sacrificio alla Paul Morphy, se si preferisce, per ottenere una sorprendente vittoria.
A Longo Marostica calza come un guanto, e viceversa. Anche lui vanta un bel palmarès nell’organizzazione di tornei. I giocatori più attenti ricordano le diciassette edizioni di San Giorgio su Legnano Scacchi, dal 1982 al 1998. Quella del 1995 in particolare, con Anatolij Karpov, campione del mondo FIDE, che pareggiò contro l’altro russo Sergei Tiviakov, 8 ½ su 9. Disputarono lo spareggio su due partite, anche queste finite in parità. Karpov venne dichiarato vincitore per il miglior coefficiente Buchholz, mentre Ennio Arlandi, primo degli italiani, con 7 punti, divenne campione italiano semilampo. Il torneo, con 926 partecipanti, entrò nel Guinness dei primati.
Da una fruizione solitaria a una aperta al mondo. Longo aveva già dato segnali delle proprie intenzioni allo scadere del 2021 quando i chess collectors si scambiavano gli auguri di buon anno e lui, contraccambiando, annunciava l’apertura del sito web chesslongo.com: set, orologi, cartoline, oggetti, quadri con riferimenti storici e articoli. Tutto a disposizione di tutti. E da primavera 2023 questo materiale entrerà nel Museo degli scacchi di Marostica, con tutte le caratteristiche culturali, formative, aggregative tipiche di un’istituzione del genere. Il Veneto riconquista il ruolo di primo piano avuto nella diffusione del gioco fin dalla Repubblica di Venezia grazie agli scambi commerciali con il mondo islamico, poi nel Rinascimento e in epoca moderna con Carlo Salvioli, il massimo teorico italiano a cavallo tra Ottocento e Novecento (Teoria e pratica del giuoco degli scacchi, 1885), e con Eugenio Szabados, promotore negli anni Sessanta dei tornei di Venezia.
Rovistare tra le cose che per decenni sono state patrimonio di uno solo è interessante, aiuta a capire interessi, predilezioni, personalità. La collezione di Longo è vasta, non mancano certo i riferimenti più tipici all’evoluzione degli scacchi in Europa, Asia, Africa, Americhe, Oceania.

Ma colpisce l’attenzione alle espressioni moderne.
Non a caso tra gli oggetti d’arte figurano tre lavori di Marcel Duchamp (1887 – 1968), del 1965 Joueur d’échec, del 1967 Les joueurs d’échecs, del 1991 Chess case. “Man Ray e Duchamp furono tra i primi a comprendere che le possibilità e le tipologie di design legate alle creazioni dei giochi di scacchi di tipo decorativo erano infinite”, ricorda Gareth Williams nel suo Scacchi (IdeaLibri 2001).
E Longo tasta con mano sicura diverse di queste possibilità.

Come ad esempio Scaccomatto, una scultura, un puzzle e un set di scacchi, ideato e realizzato dall’architetto, designer e scultore Franco Rocco: due cubi di ottone – uno cromato – formati da un complesso puzzle di elementi ad incastro che assemblano i 16 pezzi degli scacchi che l’autore definisce “La via geometrica”, in omaggio alla scuola del Bauhaus per la sua razionalità progettuale.

Oppure Scacchi segnaletici dell’artista Francesco Garbelli che, confermando la sua attenzione al contesto urbano, concentra il proprio interesse sulla toponomastica e la segnaletica stradale ideando e realizzando una grande scacchiera di enormi dimensioni (2m x 2m la scacchiera con il Re alto ben 73 cm.) utilizzando pellicole adesive rifrangenti, multistrato di betulla, mdf, smalti. Ovviamente il prototipo e la grande scacchiera sono pezzi unici.

Si regala gli Scacchi di Baj, un’enorme scacchiera di 282 x 282 cm. e splendidi pezzi in legno alti circa 75 cm., assurdi, ironici, patafisici.

E poi ancora La scacchiera Rosenthal di Marcello Morandini, Il gioco del mondo di Giò Pomodoro, Minotaurs di Paul Wunderlich, le opere di Paolo Baratella, Alik Cavaliere, Victor Vasarely, Lanier Graham e molti altri parimenti importanti.
La raccolta offre dunque differenti spunti di analisi e di riflessione. Come una prosecuzione di quella mostra di New York, The Imagery of Chess, che allo scadere del 1944 impegnò 32 grandi artisti a cimentarsi con l’inesauribile fonte creativa che sono gli scacchi, come sottolineato da Gareth Williams. Il set di Max Ernst sta ancora oggi a dimostrarlo. Perciò la collezione Longo indica anche una possibile direzione per l’arricchimento del Museo degli Scacchi di Marostica attraverso prossime acquisizioni, per le quali sarà istituito un apposito fondo, e donazioni.
Longo ha fatto la sua mossa.
Tocca ad altri, ora, rispondere.
Claudio Mori, giornalista, è stato condirettore di ItaliaOggi, Direttore dell’Unione Sarda e caporedattore centrale dell’Ansa. “Ho 73 anni e sono in pensione. Gioco a scacchi con Giovanni Longo e perdo 2 partite su 3.”