Memorie di cent’anni fa: come festeggiavano gli scacchisti di Palermo
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(Riccardo M.)
Cent’anni fa esatti, 24 luglio 1922. “Alle ore 18,00 chi si fosse fermato all’angolo di via Cavour e via Maqueda, sotto l’abitazione del nostro Presidente, avrebbe notato un insolito tramestio”.
Così iniziava un articolo (non firmato) pubblicato sul numero del 20 agosto 1922 de “L’Alfiere di Re”, rivista mensile di scacchi edita a Palermo, rivista dal simpatico sottotitolo “rassegna mensile di scacchi per i principianti ed i provetti del gioco”, insomma per tutti. E così continuava:
“Erano una quindicina di giovani, che si facevano subito notare per un uguale distintivo attaccato all’occhiello della loro giacca. Una spedizione fascista? … Neanche per sogno: erano invece quindici “Caissini” che aspettavano il loro duce per andare a festeggiare l’anniversario della loro costituzione in gruppo ufficiale. La squadra, difatti, s’inquadrò poco dopo e prese la via … della Libertà”.
Per i non palermitani che leggono questo post precisiamo che Via della Libertà (o più semplicemente “Via Libertà”) è la strada più bella e più importante di Palermo, un lungo viale, di circa due chilometri e mezzo, accompagnato da due file di platani, costruito nel lontano 1848 e così chiamato per festeggiare la cacciata dei Borboni.
E’ quel viale che Gabriele Bonafede, in un post del 2016, menzionava come “il salotto all’aperto di Palermo, uno dei posti più belli al mondo per passeggiare”, rigorosamente però “a passo palermitano, quel passo lento e spensierato che anche i più rudi turisti nordici imparano presto ad ancheggiare, tralasciando precisione in appuntamenti di lavoro o di divertimento”.
Quello di quei quindici ragazzi era, appunto, un ‘appuntamento di divertimento’ e diede lo spunto, a chi poi lo avrebbe narrato, di divertirsi a mescolare il menu del banchetto con gli scacchi. Come? In questo modo:
“La sede del banchetto (ché di questo, nientemeno, si trattava), era alla trattoria omonima: una specie di capanna di frasche arrampicata su dei pali come le abitazioni di certe tribù africane, ma in compenso poetica quanto mai. L’appetito, da fare veramente onore a tanti mangiatori di … pezzi, suppliva del resto alla ineleganza della tavola, che rammentava un desco patriarcale. A questo desco sedettero i quindici Caissini, che, fedeli alla loro tattica preferita, attaccarono subito … il primo piatto. Passiamoli in rassegna: quattro Lanza, due Trapani, due Aprile, due Parlapiano, un Bellavia, un Pianelli, un Albeggiani, uno Scafidi e un (una) Bottiglia”.
Una donna? Ecco, purtroppo le donne, anche allora come oggi, sono sempre in minoranza in certe attività sportive: poco ci è mancato che non abbiamo avuto nel 2022 una Presidente della Repubblica donna in Italia, anziché Mattarella, ma negli scacchi mi sembra che il gentil sesso remi sempre a distanza, nel 1922 come nel 2022. Piuttosto, chissà se qualcuno degli eredi dei nominativi sopra riportati ci leggerà e ricorderà qualche suo lontano avo fra quelli citati! Tra l’altro uno di quelli è stato davvero ‘un pezzo da novanta’ nella storia degli scacchi italiani: Anton Mario Lanza (1889-1964), che fu uno dei fondatori della FSI, un formidabile collezionista di libri e soprattutto un maestro per un povero scribacchino come me dal momento che ha scritto articoli di scacchi per oltre un quarantennio e per quattro riviste scacchistiche diverse e collaborato con almeno altrettante pubblicazioni o quotidiani, fra i quali “Il Tempo”. Di lui abbiamo parlato in altro articolo espressamente dedicato.
L’articolista de “L’Alfiere di Re” (che a questo punto immaginiamo sia stato lo stesso Lanza) proseguiva il suo racconto divertendosi con giochi di parole intorno al menu, ovviamente ricco di “Vermicelli alla Siciliana”, di “Fianchetti di vitella in Caisseruola”, di “Insalata Regina”, il tutto innaffiato col formidabile “Caffè della Régence”!.
Prosegue il quasi-anonimo narratore: “Ma il menu è presto esaurito. Tra una mangiata e l’altra, fra una botta e una risposta (ché i frizzi volano e le freddure s’incrociano en passant), siamo arrivati al … finale, e allora il Re della mensa, il Lanza padre, prende (op)posizione per il brindisi. Ognuno ha il suo da snocciolare: o preparato o improvvisato, in versi o in prosa, serio o umoristico. Vorrei riportarne parecchi, ché alla fine son venuti a cadere tutti nella tasca dello scrivente, ma lo spazio è tiranno e mi limito a due soli:
‘Porgete, o genti, al detto mio gli orecchi. Io parlo a tutti voi, poveri e ricchi; Giovani e vecchi, scaltri o mammalucchi; Venite, e il nappo mio col vostro tocchi, a Caissa libando ed agli scacchi’. (G.Aprile)
‘Alziamoci e brindiamo tutti in massa, Ispiri il nostro cuor la fede istessa; Fede sincera, ferma ed inconcussa; Giuriam che d’oggi in poi fino alla fossa, Sarem fedeli alla gentil Caissa’. (F.Aprile)”
Beh, non mi pare che i giocatori di scacchi, grandi maestri o terze (esistono ancora?) categorie sociali siano mai stati grandi poeti (a parte, forse, Alexander Herbstman), e i due signori Aprile ce lo hanno qui confermato. Comunque …
E’ ora di vedere ormai come si chiuse questa divertente giornata dei “Quindici Caissini”. Qualcuno di voi sento che ha già indovinato: sì, si chiuse con uno “Scacco matto”, che però non fu lo “scacco matto del barbiere” né “lo scaccomatto del cameriere”, bensì …:
“E qui bisognerebbe dire che si levarono le mense e che la comitiva, soddisfatta e quanto mai in grazia di Caissa, prese la via del ritorno; ma, come ogni nostra manifestazione si chiude con uno “scacco matto” alla cassa sotto forma di un telegramma, così anche stavolta il matto non mancò. L’annunziò, il telegramma, il segretario Bellavia in 20 mosse (o meglio: parole), parole che durante il simposio avevano già preso la via di Milano. Eccole, per la storia:
‘Professor-Orlandi, Amici-Caissa-riuniti-banchetto-per-festeggiare-anniversario -fondazione-Gruppo-inviano-Segretario-Federazione-saluto-entusiasta-confermando attaccamento-causa-scacchistica’.”
Ma il vero e imprevedibile “scaccomatto”, quel pomeriggio del 24 luglio 1922, lo avrebbe potuto dare un attimo dopo il compagno Pianelli, che bruciò il telegramma del segretario Bellavia, tolse dal suo borsello lo smartphone e trasmise a Milano, al professor Giuseppe Orlandi, Segretario generale della FSI, gli auguri della Palermo scacchistica tramite un messaggio WhatsApp…
Ma Pianelli, dopo una giornata del genere, era leggermente brillo e dimenticò alla fine di premere il tasto “INVIO”. Così, per una sciocca dimenticanza, il messaggio non giunse purtroppo mai a destinazione … e fummo costretti ad attendere, per il primo messaggio WhatsApp, il 24 febbraio del 2009 e l’aiuto di uno sconosciuto ragazzo di Kiev, che non si chiamava Ivanchuk né Ponomariev ma Jan Koum, emigrato negli Stati Uniti.
Eh, sì, è sempre il caso (il fato, la dea Ἀνάγκη) a muovere il mondo … e questo è di certo anche uno dei motivi per i quali io non sono mai diventato campione del mondo di scacchi…