Il Fato negli Scacchi
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Le tre Moire, scultura di Johann Gottfried Schadow, Berlino
(Antonio M.)
Il Fato. Una parola che trae origine dalla latina fatum (participio passato del verbo fari, in italiano dire), che significa “ciò che è stato detto”, e che a me rimanda la mente agli antichi greci ed ai poemi di Omero, dove tutto quello che accade è già deciso da una forza cosmica superiore, anche agli stessi dei e a Zeus, ed alla quale non ci si può opporre.
Parola oggi desueta e sostituita nel parlare comune da Destino che alla fine, pur avendo un significato simile, ha delle decise differenze perché in quest’ultimo si può incontrare una componente umana che a volte con le proprie azioni può influenzare il corso degli eventi, financo a raggiungere situazioni positive.
Il Fato, invece, di solito viene accomunato a degli eventi negativi, che influenzano la vita dell’uomo senza uno scopo preciso, che si susseguono in un ordine stabilito e in maniera inesorabile. E nella mitologia greca era impersonato dalle Tre Moire, tre anziane dee tessitrici del filo della vita di ogni persona, che stabilivano dalla nascita la sorte di ognuno e con la più anziana di loro che recideva nel momento stabilito detto filo. Che simpatiche vecchiette!
E che ci sia qualcosa di sovrannaturale che guida le tue azioni, comincia a balenarti nella mente quando accadimenti di ben altra portata, sicuramente più leggeri, ma per te in quel momento importanti, ti appaiono inspiegabili.
È stata questa la mia netta sensazione dopo quanto mi è successo in una partita del Campionato Italiano a Squadre di Serie A giocata a Roma lo scorso anno.
Il Nero ha appena giocato 38… Cf4 ed il Bianco ha pianificato già da diverse mosse che avrebbe preso il Cavallo non appena questi si fosse posato su detta casa. In fin dei conti rimarrebbe con un pezzo in più per un pedone e si è arrivati praticamente al controllo della quarantesima mossa.
Mentre pensa la mossa (ma cosa pensa? Era già decisa da tempo!) arriva la voce del suo avversario che dice: “Caduta!”. Ma come caduta? Ma avevo almeno una decina di secondi, più i trenta di abbuono per la mossa fatta! Ma non è possibile che abbia consumato tutto questo tempo! Ma cosa è successo? Hanno manomesso l’orologio? Sono stato ipnotizzato? Hanno indirizzato verso di me del gas soporifero?
Ho solo avuto la forza di sospirare “…Nooo…”, dare la mano all’avversario, alzarmi e camminare come un automa avanti e indietro, passando continuamente la mano dietro la nuca e sentendo un torpore che mi attanagliava nella consapevolezza di aver compromesso le sorti dell’incontro per la mia squadra.
La tragedia sportiva si è consumata in pochi attimi, dopo ore di fatica, ma questa è una storia penso nota a praticamente tutti gli scacchisti.
Dopo aver avuto la conferma da parte del mio Capitano che i secondi erano in realtà passati uno dopo l’altro, con lui che friggeva sulla graticola non potendomi avvertire, ed avendo sperimentato quindi dal vivo la Teoria della Relatività, essendone per me passati solo una manciata, mentre in realtà ne erano passati quasi quaranta, ecco per me prefigurarsi quello che viene definito “l’inspiegabile”.
Ed a questo punto, come in una visione non ben definita mi appare lui: il Fato, che interviene a modificare la vita degli uomini senza alcun motivo, chissà, forse solo per divertimento. Sì, deve essere stato lui, non c’è altra spiegazione. E come la dea Atena ingannò Ettore per favorire Achille, il suo protetto, io devo aver subito l’influsso di Morfeo, il dio dei sogni, che mi deve aver fatto cadere in uno stato catatonico per il compiersi del volere supremo.
Eh sì, perché a volte il dubbio ti viene che “lassù” ci sia qualcuno che si diverta a costringerti a fare, o a farti capitare, le cose più incredibili e assurde per poi vedere le tue reazioni e ridere della tua delusione e della tua disperazione. E mi sarebbe andato bene, per modo di dire naturalmente, anche aver lasciato un pezzo in presa, ma così no, così no dannazione!
Poi, come una sorta di miracolo, nelle due partite rimanenti i miei compagni di squadra riuscirono a totalizzare due vittorie insperate assicurando quella dell’incontro e alleviando un poco l’amarezza per quella sconfitta. Perché il Fato agisce così, senza una motivazione e dà e toglie a suo piacimento.
Nelle recenti Olimpiadi di Chennai in India, si è assistito ad un grande festa degli scacchi, dove si è visto un po’ di tutto, con al via ben 183 Nazioni e squadre dalle più forti a quelle per le quali era già un successo essere lì.
Partite avvincenti, grandi complicazioni, mosse spettacolari e grandi tragedie. Si sa, gli errori fanno parte del gioco e la componente umana con le sue emozioni, le sue sviste, l’adrenalina che sale, le improvvise paure non motivate dalla posizione, perché spesso si vedono i “mostri” dove non ci sono, rendono il tutto avvincente fino all’ultima mossa.
Ma due partite in particolare, su cui si sono già scritti fiumi di parole, si sono analizzati i video dei momenti cruciali e sentiti i pareri più disparati, mi hanno riproposto con forza lo spettro del Fato.
Il Nero ha appena giocato 90… Dg2, dopo una sfibrante partita nella quale al Bianco è sufficiente la patta per garantire la vittoria alla squadra statunitense che sta rincorrendo le prime posizioni in classifica con proprio l’Armenia in testa.
Oramai il risultato sembra scritto, ed una volta cambiato l’ultimo pedone del Nero, che ha un Alfiere in più, questi non potrà più vincere. All’improvviso, però, inspiegabilmente Shankland abbandona. Perché, cosa è successo? Eppure, sembra proprio che il Bianco abbia il perpetuo ed il Nero non possa evitarlo. La cosa è sfuggita in diretta video anche ai due illustri commentatori di Chess24, Leko e Svidler, che mentre discutevano sulla posizione non si sono accorti di quanto accaduto e addirittura avevano ipotizzato che la partita fosse terminata patta.

Ed invece no, perché il Fato era lì pronto ad entrare in azione sotto forma di Apate, la dea dell’inganno, che ha avvolto Shankland nelle sue spire facendogli vedere la Donna Nera posizionata nella casa in “h1”, prendere in mano il Re per posizionarlo in “c2” e cercare di schiacciare l’orologio per aver effettuato la mossa. E solo in quel momento Apate si è dissolta, restituendo la vista a Shankland che si è accorto immediatamente del ferale errore, riprendendo in mano il Re che non poteva essere posizionato in quella casa, per poi riporlo in quella di partenza ma oramai con l’obbligo di muoverlo nell’unica casa possibile, con la sua faccia che era tutto un punto interrogativo, come a chiedersi cosa fosse successo e con la presa di coscienza alla fine che quell’obbligo lo avrebbe portato verso una posizione irrimediabilmente persa.
Eppure, Shankland aveva due minuti più i trenta secondi di abbuono a mossa e senza quasi pensare, convinto dello scacco in “h1”, forse ingannato dal gesto ampio del suo avversario nel muovere la Donna lungo la grande diagonale delle case chiare e non accorgendosi della “frenata” in quella precedente, ha effettuato una sorta di “premove” che si utilizza nelle partite bullet online, muovendo quasi istantaneamente all’avversario. Incredibile, mai visto a questi livelli, inspiegabile, o forse no, la spiegazione è che il Fato si è compiuto!
La seconda partita è, forse, ancora più amara per la parte soccombente perché è risultata decisiva per l’esito finale delle intere Olimpiadi.
Davanti si trovano due Golden Boys emergenti dello scacchismo mondiale: il sedicenne talento indiano Gukesh autore, fino a quel momento, di uno spettacolare 8½ su 9, e il diciassettenne uzbeko Abdusattorov, attuale Campione del Mondo Rapid.
Ora, in questa posizione emerge un poco l’inesperienza e la giovanissima età dell’indiano. Qui avrebbe semplicemente dovuto prendere tempo e vedere la conclusione della partita del Praggna, impegnato in un non semplice finale con la qualità in più. In caso di vittoria, che poi c’è stata, la squadra di India 2 sarebbe andata in vantaggio e a lui sarebbe bastato pareggiare la partita per dare la vittoria alla squadra che sarebbe andata in testa al torneo, ipotecando quella finale. Invece, in una posizione imperdibile, cerca di forzare sacrificando l’intera Ala di Re, entrando in un finale dove l’Alfiere avversario può però dire la sua e raggiungendo la posizione del diagramma:

Questa è proprio una tragedia greca! Avete visto nel video del finale di partita un’ombra appena accennata dietro a Gukesh? No? Sappiate che era Ares, il dio della guerra violenta e delle stragi sanguinarie, che ha spinto il povero ragazzo indiano a continuare la lotta anche se esausto, ed alla fine ha guidato la sua mano dirigendo la sua cavalleria verso il massacro, per poi lasciargliela e scomparire, abbandonandolo alla sua disperazione.
E vederlo così, immobile, con la mano sinistra sulla fronte a sorreggere il capo rivolto verso il basso e con gli occhi chiusi come a non voler guardare la scacchiera e chi gli stava attorno, mi ha immedesimato completamente nella situazione, quasi facendomi percepire il malessere che in quel momento lo stava attanagliando e i pensieri che gli devono essere passati rapidamente per la testa in un vorticoso flusso da fargli quasi perdere la lucidità e l’equilibrio, sia interiore che fisico.
Qui sono partite grandi discussioni: “Doveva cercare le patta per la squadra e rinunciare alla testarda ricerca della vittoria”, “Dopo i risultati che ha ottenuto fino ad oggi, non si può colpevolizzarlo per questa sconfitta!”, “Ha fatto bene a continuare, dimostrando forte personalità e determinazione”, “Ha sbagliato a continuare, perché doveva pensare alla squadra e al risultato più grande e non solo alla sua voglia di successo personale.” E chi più ne ha più ne metta.
Cosa ne penso io? Tutte sciocchezze! Il Fato era già deciso, così, senza una vera motivazione: l’India, che giocava in casa, e gli Stati Uniti non avrebbero vinto le Olimpiadi a favore dell’Uzbekistan nell’Open e dell’Ucraina nel Torneo Femminile. Tutto già scritto, senza che nessuno si potesse sottrarre alla sua sorte, nel bene e nel male.
Quindi, alla prossima tragedia sulla scacchiera di cui saremo protagonisti o spettatori, non preoccupiamoci più di tanto, magari auto offendendoci con epiteti oltraggiosi nel primo caso, ma respiriamo profondamente, guardiamo verso l’alto e sorridiamo facendogli intendere che abbiamo capito: il Fato si è compiuto ancora una volta e ci sta a sua volta osservando divertito e, come si direbbe oggi, rappresentando il classico Destino beffardo.