Uno Scacchista

Annotazioni, Spigolature, Punti di vista e altro da un appassionato di cose scacchistiche

Le mogli di. Da Lionora Parisio a Crystal Fischetti – Donne che si mettono in gioco

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Dorothea Tanning: End Game, olio su tela, 1944

(Claudio Mori)
Il secondo fine settimana di settembre a Marostica, a partire dalla sera di venerdì 9, si celebrerà il 99° anniversario della partita a scacchi viventi per raccontare la passione per una donna. Una passione così comune, prosaica. Il fatto è che l’anno prossimo, quello del centenario dell’evento, 1923-2023, pare la partita non avrà luogo, come prevedeva il primo bando (cada septiembre, en los años impares, se juega en la plaza prioncipal de Maròstica una partida de ajedrez viviente...).

Cartolina pubblicitaria del 60° anniversario della 1ª edizione moderna della partita a scacchi viventi di Marostica, 1954

Lo spettacolo fu ripreso nel 1954 e, alla morra, il pari vinse. Tant’è. Come un treno che si ferma alla stazione prima del capolinea. Come un compleanno senza il festeggiato o uno spettacolo senza vedette. Premio di consolazione, l’inaugurazione del primo Museo degli Scacchi pubblico italiano. E che consolazione.

Tradizione vuole che Lionora venga messa in palio dal padre Taddeo Parisio, il quale come premio accessorio darà al perdente anche l’altra figlia, Oldrada. Due piccioni con una fava. Nessun duello cavalleresco. E a un colpo di dadi, più sbrigativo ma sicuramente inviso al prevosto per secolare avversità ecclesiale all’azzardo fin dai tempi del cardinale Pietro Damiani (1007-1072, Epistola X, libro I), preferisce una partita a scacchi viventi, fastosa e godereccia. In fin dei conti l’epilogo è il talamo. Con entusiasmo collettivo. Anno 1454.

Tra le maschere di quella partita serpeggiava comunque già il malcontento. Deflagrerà qualche anno dopo, nel 1475, in Spagna, quando sarà la regina a dare scacco matto al re: “Io dico che la regina deve avere le mosse di tutti i pezzi tranne il cavaliere. Ma il nostro gioco vuole ancora adornarsi di uno stile nuovo e sorprendente, perché soprattutto la dignità della regina viene esaltata, in quanto le vengono dati la spada, lo scettro e il trono. Pertanto, poiché si dice che sia la più degna e la più brava, che possa passeggiare con disinvoltura per tutto il campo, anche se senza fermarsi, per paura o per rabbia. Quanto più grande è la sua libertà, tanto più dovrebbe temere di essere fatta prigioniera.” (Bernat Fenollar, Narcís Vinyoles e Françí Castellví, Schacs d’amor, stanza 54).

Infatti è Isabella I di Castiglia a suggerire al consorte Ferdinando II la combinazione per sconfiggere in una partita a scacchi Juan Rodriguez de Fonseca, il cappellano reale, e a spedire Cristoforo Colombo in America.

La forza delle eredi di Eleonora d’Aquitania (1122-1204) andò consolidandosi, la guerra più accanita il re deve subirla dalla regina (Cammino alla perfezione, Santa Teresa d’Avila). Basti pensare a Maria de Medici, a Lucrezia Borgia, alla zarina Caterina II (1729-1796).  Lady Howe sfidò a Londra Benjamin Franklin, e Madame Brillon fece lo stesso a Parigi nel 1779.

Nei singhiozzi di questa storia c’è spazio per una narrazione sghemba, come l’audace movimento del Vescovo sulla scacchiera. A dispetto del sofisma del vescovo inglese William Beveridge (1638-1708): “O gli scacchi sono una lotteria o no. Se è una lotteria non è lecito… se non è una lotteria, allora non è una pura ricreazione; poiché dipende dall’ingegno e dallo studio dell’uomo ed esercita il suo cervello e il suo spirito, come se si trattasse di altre cose, così essendo da una parte non lecito e dall’altro di nessuna ricreazione, non può essere da nessuna parte una ricreazione lecita.”

Da una erotomachia a un’altra gli affamati d’amore arrivano al 1923, ancora a Marostica, dove il giovane Francesco Pozza riesuma il tableau vivant locale con bandiere danzanti al vento. Dopo un’estate straziante settembre è una buona stagione per godersi al tramonto un aperitivo all’aperto, davanti ai portici della piazza antistante il Castello inferiore. Ricorda i primi giorni di primavera quando le ragazze si affrettano a indossare abiti estivi.

Dal Zotto Antonio, vecchia veduta di piazza degli scacchi, Marostica (VI), scansione di cartolina anni ’50 del Novecento

Probabilmente Francesco sarà stato stimolato nell’impresa dall’opera teatrale di Giuseppe Giacosa, Una partita a scacchi, andata in scena per la prima volta a Napoli nel 1873, o dall’omonima opera lirica in un atto di Pietro Abbà Cornaglia eseguita 19 anni dopo. O forse dal successo che tali rappresentazioni a personaggi viventi avevano un po’ ovunque, in Europa e negli Stati Uniti. Nel luglio 1904, ad esempio, la stampa newyorkese aveva dato grande risalto a una fastosa partita allestita a Lakewood (New Jersey) nella tenuta del milionario americano George J. Gould organizzata dallo scacchista Charles L. Lindley a favore del Boys Glee Club.

Bisogna addentrarsi in una galleria, seguire sporadiche illuminazioni fino a quel punto dove compare imperiosa la scritta “1923”. Di lì riannodare il flusso del tempo e del gioco. Che anno era quel 1923?

L’Europa si preparava a un carnaio. Era l’anno in cui uno scrittore, Italo Svevo, triestino, dava alle stampe uno dei più bei romanzi della letteratura italiana, La coscienza di Zeno.

Il grande campione Alexander Alekhine si esibiva nel mese di marzo in simultanee a Torino e Milano e più della metà degli iscritti alla Federazione Scacchistica Italiana (FSI), costituita a Varese il 20 Settembre 1920, primo presidente Luigi Miliani e Carlo Salvioli presidente onorario, si concentrava in Lombardia, Emilia e Veneto.

Il grande artista Marcel Duchamp, trasferitosi a Parigi, decideva di dedicare la maggior parte delle sue energie agli scacchi.

In particolare era l’anno in cui Josef Hartwig, artigiano-artista di uno dei più importanti movimenti artistici del XX secolo, il Bauhaus, produceva un set di scacchi che segnava una cesura netta tra il prima e il dopo nella storia moderna dei pezzi del gioco. Scacchi sottratti a qualunque rappresentazione e astrazione. Diventati, secondo il dogma della scuola di Weimar, “la forma che segue la funzione”.

Campione del mondo di scacchi da due anni era il cubano José Raùl Capablanca e Stefano Rosselli Del Turco campione italiano.

Natalya Yakovlevna Danko, set in ceramica

Nello stesso momento dalla Manifattura di porcellana di stato di Leningrado, USSR, la scultrice – ceramista Natalya Yakovlevna Danko e sua sorella Ylena disegnavano un’altra idea di futuro, cruda, feroce. Scacchi dove lavoratori e mietitrici si opponevano al mortale capitalismo e al dio denaro.

Si chiamava Ilyn-Genevsky l’uomo che dedicava tutte le sue energie alla diffusione degli scacchi nell’Unione sovietica post rivoluzionaria per esibirne la superiorità nei confronti dell’Occidente.

Ma né lui, né gli altri dopo di lui avevano compreso che “niente può togliere al gioco il suo vero fine: giocare, e pertanto sovvertire l’ordine delle cose”, come scrive Giorgio Fontana nel suo Il Mago di Riga (Sellerio, 2022). Parla di Michail Tal (1936-1992), ma nulla cambia, la dittatura è sempre la stessa.

L’anno dopo Marostica, 20 luglio 1924, si tenne un’altra straordinaria partita vivente sulla Piazza Uritskij a Leningrado. Sulla scacchiera gigante si fronteggiarono Ilja Rabinovich (pezzi neri) e Pjotr Romanovskij (pezzi bianchi). I soldati dell’Armata Rossa erano i bianchi e la Flotta Rossa i neri. Ottomila gli spettatori. La partita durò 5 ore e si concluse con un pareggio alla mossa 67.

Quel giorno, a Parigi, fu ufficialmente fondata anche la Federazione Mondiale degli Scacchi, FIDE.

Ed ecco che, prestando attenzione, scorre un’altra vena scacchistica, una corrente diversa, una sorgente fresca. Donne che producono scacchi, che sanno il fatto loro.

Negli scacchi e nella vita la ribellione a un ordine precostituito

Blomberg: disegno e prototipo del set in avorio e ebano, Parigi 1925

Nel 1925, due anni dopo il set sovietico delle sorelle Danko, un’altra donna, la designer d’interni svedese Marie Louise Idestam-Blomberg (1898-1988), ricevette una medaglia d’oro all’Exposition Internationale des Arts Décoratifs et Industriels Modernes di Parigi per un set realizzato in avorio ed ebano. Dove i pezzi hanno la forza degli eroi delle antiche saghe, dove la lingua suona altre musiche e sulla scacchiera batte la luce pura del Nord. “Due donne (Idestam-Blomberg e la socia Margareta Köhler, ndr) che rifiutano educatamente i collaboratori maschili. Donne moderne, in altre parole. Hanno fatto un tuffo nelle sfere maschili, ma non pare vogliano essere ospiti temporanei. Ecco perché per questo il loro negozio si chiama “Futurum“, scriverà un giornale nel 1934.

Il set della Idestam-Blomberg è meno rassicurante di quello in ceramica Art Déco creato nel 1924 e 1926, in Austria, da Mathilde Jaksch in Szendro. Mathilde Jaksch disegnò non meno di 65 modelli di statuette per la manifattura di porcellana Augarten dopo la sua formazione a Gmunden e alla famosa Scuola di Arti Applicate di Vienna. Nata nel 1899, fu una delle più importanti artiste della piccola scultura in porcellana fino al 1963.

Nel 1932 la ceramista californiana Claire Everett, nata Jones, Stewart creò con il marchio di produzione Sorcha Boru la prima versione in terracotta di Alice nel Paese delle Meraviglie, alla quale seguiranno infinite altre.

E mentre in Europa i nazisti tentavano un’ultima offensiva sul fronte occidentale, all’esposizione di New York di fine ‘44-inizio ‘45, The Imagery of chess, tra espatriati e mostri sacri come Duchamp, Calder, Man Ray parteciparono anche otto donne intrappolate tra arte e matrimoni a volte imprudenti. Sotto ombre troppo ingombranti. Mogli di, madri di, amanti di, e la dissipazione della gioventù. Libere, artiste, in buona parte aderenti al movimento surrealista.

Xenia Andreyevna Kashevaroff: scacchiera da lei progettata con un set di scacchi di Max Ernst

Xenia Andreyevna Kashevaroff (1913-1955), nata in Alaska da discendenza russa, sposata dal ‘35 al ‘45 con John Cage, espose un tavolo in legno da scacchi su cui poggiava un set di Max Ernst, insuperabile.

Muriel Streeter: The chess queens, 1944

Muriel Streeter (1913-1995) propose il dipinto The Chess Queens in cui lei, in abito nero, e Dorothea Tanning, in bianco, sono raffigurate come regine su una scacchiera onirica. Nessun re ma due donne che si sfidano e sovvertono un gioco di potere maschile. Dal loro parlottare sembra uscire solo un “Oh!” doloroso. Muriel era di una bellezza calda, non priva di malizia, amava i cocktail, profumava di colonia. Era moglie del gallerista Julian Levy, ideatore dell’esposizione. Da una radio, lo swing di Artie Shaw.

Dorothea Tanning: End Game, olio su tela, 1944

Dorothea Tanning (1910-2012), quarta moglie di Max Ernst dal ‘46 al ‘76, presentò End game, olio su tela. Il gioco è finito, e la scarpa bianca della Regina dà il colpo di grazia al Vescovo nero e ai castelli in aria. In una intervista con Roland Hagenberg (Art of Russia and the West, n. 1, marzo 1989) a una domanda sull’ossessione per gli scacchi degli artisti Dorothea rispose: È più di un gioco. È un modo di pensare. Devi essere intelligente in modo bellicoso. Sei un buon giocatore di scacchi se hai una serie negativa in te. Penso che le persone cattive siano dei buoni giocatori di scacchi […] le persone troppo dolci non possono imparare a giocare a scacchi”.

Steffi Kiesler (Chess Village, fotomontaggio, e Is Chess a Martial Game?, fotomontaggio) austriaca nata Frischen nel 1897, emigrò a New York nel 1926. In Chess village riporta la storia di Ströbeck “un villaggio vicino a Magdehurg in cui tutti i 1252 abitanti (censimento 1933) giocano a scacchi”. Morì nel 1963.

Kay Sage: Near The Five Corner, olio su tela

Kay Sage (1898-1963), pittrice e poetessa espose Near the five corners, olio su tela, una scacchiera di una solitudine opprimente. Era diventata moglie del pittore francese Yves Tanguy nel 1940, dopo un disastroso matrimonio in Italia con il Principe Ranieri di San Faustino.

Carol Janeway e i suoi scacchi, 1944

La ceramista Carol Janeway (nata Imagery Rindsfoofs a Columbus, Ohio, nel 1913 e morta a Manhattan nel 1989) fu la sola che commercializzò il suo set divenuto molto popolare nei grandi magazzini di lusso.  Nel 1966 divenne la prima americana a disegnare per l’azienda britannica Josiah Wedgwood & Sons. Presenti all’esposizione anche Mary Callery (1903-1977), scultrice espressionista, con due divorzi alle spalle e una solida amicizia con l’architetto Mies van der Rohe, e Charlotta Malecká (1906 – 1977), polacca di origine, architetta e designer insieme al marito Antonin Heythum.  Charlotta il 30 gennaio 1947 scrisse al giornalista inglese Philip Morton Shand: “È davvero tragico che questa Terra dei liberi sia il paradiso delle piccole anime e dei grandi imbroglioni, ma può darsi che questo sia ciò che la libera impresa fa delle persone. Forse le generazioni successive guarderanno con grande pietà all’inopportuno, piccolo egoismo dell’essere umano medio di oggi con la testa piena di falsi ideali e di ideologie confuse.

Fantasia, creatività, lotta per l’emancipazione insieme a capacità imprenditoriali sono le caratteristiche di queste donne.  Basti pensare agli scacchi stilizzati e allegri di Jeannine Lafayette, sposata con l’incisore Rémy Hetreau, direttrice della portoghese Vista Alegre Porcelain Works dal 1957 al 1966, ai set di Anne Carlton, di Elise Berthier. Pure sorgenti dell’essere. Donne.

Il Pumpkin chess set, 2003, di Yayoi Kusama è stato venduto per 237.500 dollari a un’asta Sotheby’s.

Vere icone sono la scacchiera e gli scacchi bianchi della fluxusartista Yoko Ono che, in quanto tali, smantellano la nozione di competizione e, implicitamente, la logica di perdita e guadagno. La campionessa americana Jennifer Shahade ha commentato: “Play it By Trust di Yoko Ono è l’ultimo esempio della tensione tra estetica e competizione. È una rimozione visivamente accattivante degli scacchi come metafora di guerra, ma anche un set giocabile che enfatizza l’abilità anche più di un set bicolore. Un giocatore forte ricorderà a chi appartiene ogni pezzo bianco”.

Naked Chess, performance del 2009: Shahade e Daniel Meirom

La Shahade sarà protagonista nel 2009 di una performance, Naked Chess, con Daniel Meirom: “Abbiamo ribaltato l’iconica immagine di Marcel Duchamp che gioca a scacchi contro una donna nuda, Eva Babitz. I pezzi sono sculture di nudo e sto giocando contro un giovane tatuato. Lo spettatore osserva la scena attraverso i miei occhi, osservando l’uomo così come i nudi, capovolgendo lo sguardo maschile in un modo che sicuramente avrebbe soddisfatto l’alter ego femminile di Duchamp”.

Deborah Tan: scacchiera per non vedenti, 2005

Nel 2005, alla mostra del Nagouchi Museum di New York, Deborah Tan risultò prima in un concorso grazie alla creazione di una originalissima scacchiera per non vedenti. E nel 2008 l’artista Inge Roberts creò un set in ceramica ispirandosi a elementi della vita moderna, come le installazioni di Anselm Kiefer.

All’esposizione del 2016 per la Purling London Ladies’ Knight: A Female Perspective on Chess, parteciparono dodici artiste tra cui Crystal Fischetti (1984), Jennifer Shahade (1980), e Yuko Suga.

Nel set di Crystal Fischetti, scrive Jean Hoffman, direttore esecutivo della United States Chess Federation, “l‘energia maschile del Sole è rappresentata nelle tonalità oro e giallo su un lato dei pezzi degli scacchi, mentre l’energia femminile della Luna è illustrata attraverso le tonalità argento e blu. L’incontro dei pezzi avversari durante un gioco simboleggia la loro danza sensuale e l’unione spirituale”.

Il gioco degli scacchi delle “donne a la rabiosa”, donne pazze, è la vittoria contro la misoginia, un invito al dialogo su temi come criminalità, linguaggio, pace e a cancellare una storia di disuguaglianza e di pregiudizio.

È la messa in ridicolo della protesta di Gratien Dupont, e di tutti gli altri che fino a oggi l’hanno seguito, che nel 1534 disegnò nel libro Les Controverses des Sexes Masculin et Féminin una scacchiera con un insulto alla regina in ciascuna casella.

Come chi insulta una bella donna perché non può averla.

Piace invece stare alla fantasia di George Koltanowski (1903-2000) quando affermò:” …ho sempre pensato che gli scacchi fossero stati inventati da una dea”. Lui che nel 1937 come un dio bendato giocò a Edimburgo 34 partite alla cieca, stabilendo il record del mondo.


Claudio Mori, giornalista.

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