Uno Scacchista

Annotazioni, Spigolature, Punti di vista e altro da un appassionato di cose scacchistiche

La genialità immortale di Pillsbury

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(Riccardo M.)
E’ stato scritto che lo stile dell’americano Harry Nelson Pillsbury (3.12.1872-17.6.1906) mescolava e assommava in sé quelli di Paul Morphy e di Wilhelm Steinitz. Un’esagerazione? No.

Nella mia lista de “i 160 giocatori più bravi degli ultimi 160 anni”, pubblicata lo scorso anno, l’avevo inserito alla piazza numero 16. Un’esagerazione? No. Anzi, Pillsbury meritava forse di stare qualche gradino più in alto. Il destino purtroppo si mostrò con lui tutt’altro che generoso, ma per alcuni anni, fra il 1895 e il 1902, seppe far vedere qualità straordinarie, tanto da essere considerato il numero 1 al mondo, superiore persino al campione in carica Lasker.

Morphy-Pillsbury-Fischer. Questa è la triade dei giocatori statunitensi più bravi e più famosi di sempre. Tutti e tre erano persone, prim’ancora che giocatori di scacchi, eccezionali, con delle doti eccezionali, ma per certi versi Pillsbury fu il numero uno, in primo luogo per la sua stupefacente memoria.

Provate voi a leggere qui e subito dopo a ripetere (senza guardare!): antiflogistico, periostio, takadiastasi, plasmon, threlkeld, streptococco, stafilococco, mirococco, plasmodio, Mississippi, Freiheit, Filadelfia, Cincinnati, atletica, pacifista, Etchenerg, americano, russo, filosofia, Piet Potgleter’s Rost, Salamagundi, Oomisellicootsi, Bangmamvate, collo di Schlechter, Manzinyama, teosofia, catechismo, Madjesoomalops.

Pensate: questa lista di nomi fu sottoposta un giorno da due professori, scritta su un foglio, a Pillsbury. Lui la guardò, restituì il foglio e la ripeté senza errori! Non solo, ma la ripeté all’inverso e il giorno dopo la ripeté di nuovo esattamente. L’aveva ormai imparata a memoria!

Nel gioco non temeva nessuno. D’altra parte, che Pillsbury fosse all’altezza del campione del mondo Emanuel Lasker (che era di 4 anni meno giovane di lui) stanno a testimoniarlo chiaramente i risultati dei loro scontri diretti: compreso un “Rapid”, si conteggiano 5 vittorie per parte e 4 patte. 7 pari!

Lasker – Pillsbury a New York nel 1893: vinse Lasker in 55 mosse

Harry Nelson Pillsbury era nato il 5 dicembre 1872 a Somerville, nel Massachusetts, nei pressi di Boston. Suo padre, Luther Batchelder Pillsbury (1832-1905), era un insegnante di scuola superiore e poi divenne un imprenditore nel settore immobiliare; sua madre, Mary A. Leathe, (1838-1888), pure era insegnante e scrittrice. Harry Nelson era il quarto figlio dei due (una sorella e tre fratelli).

Pillsbury con l’amato sigaro al Chess Manhattan Club nel 1893

Pillsbury partì con un handicap nei confronti di molti suoi contemporanei: conobbe il gioco degli scacchi soltanto a 16 anni, nel 1888. S’iscrisse al Brooklyn Chess Club e, di vittoria in vittoria, divenne in breve il miglior giocatore americano, tanto che decise per la carriera professionistica. Nel 1893 vinse un match con il tedesco Carl Walbrodt (+2 , =1, -0), nel 1894 vinse il torneo del Manhattan Chess Club.

Pillsbury mise piede per la prima volta in Europa nel 1895 per partecipare al torneo di Hastings, che riuniva tutti i più forti giocatori di scacchi del mondo. Erano presenti l’ex campione mondiale Steinitz, il campione in carica Lasker, il celebre teorico rumeno Adolf Albin, il trentenne tedesco in grande ascesa Jacques Mieses, il maestro della patta Carl Schlechter, il britannico “The Black Death” Joseph Blackburne, l’emergente della Turingia Richard Teichmann, il “Preceptor Germaniae” Siegbert Tarrasch, dalla Russia venivano Emanuel Schiffers e uno dei favoriti Mikhail Chigorin, da Parigi David Janowski e poi altri notissimi giocatori. C’era pure in verità un italiano, Beniamino Vergani, che giunse ultimo con appena 3 punti su 21 partite ma che batté l’ottavo classificato Curt Von Bardeleben.

I protagonisti di Hastings 1895

Insomma c’erano ad Hastings davvero quasi tutti i migliori (Vergani a parte) della fine del secolo XIX° e Pillsbury, semisconosciuto in Europa, era poco più di un simpatico outsider.

Non sorprese quindi la sua sconfitta contro Chigorin al primo turno (“ero un po’ nervoso, ma il risultato negativo mi servì da stimolo per le partite successive” disse Pillsbury), ma al secondo si prese il lusso di dare matto a Tarrasch e da lì prese il via una sbalorditiva serie di vittorie, contro Schiffers, Mason, Janowski e Teichmann.

Perse poi con Lasker, ma soltanto a causa di una svista in posizione vinta, e subito dopo seguirono due patte con Blackburne e Walbrodt. Riprese a macinare punti pieni travolgendo Bird, Burn e Von Bardeleben, fino a raggiungere al primo posto, con 13,5 punti, Lasker e Chigorin.

La giornata di riposo, arricchita da uno spettacolo teatrale e da un rinfresco, non fece evidentemente bene a Pillsbury, che il giorno dopo subì una sconfitta per mano di Schlechter.

Non erano però finiti i colpi di scena, in quanto negli ultimi tre turni Lasker fu battuto sia da Tarrasch sia da Blackburne, mentre il provvisorio capo-classifica Chigorin ebbe un imprevisto stop in sole 16 mosse contro Janowski. Pillsbury si presentò all’ultimo turno con mezzo punto di vantaggio e lo mantenne superando Gunsberg in una partita in cui seppe dimostrare anche un’ottima tecnica nel finale.

Alla fine precedette pertanto Chigorin, Lasker, Steinitz e Tarrasch, conquistando con punti 16,5 su 21 il primo premio di 150 sterline, gli applausi del pubblico e della stampa, i complimenti sinceri dei suoi avversari.

Questa è la tabella di quel celebre torneo:

Scrisse così un ammirato Tarrasch: “Il successo di Pillsbury è sorprendente, soprattutto perché ha preso parte per la prima volta a un grande torneo. Pillsbury è un geniale giocatore di scacchi, e il suo gioco è pieno di idee profonde”.

A 23 anni, con uno stile fantasioso e audace ed una tecnica superba, nessun traguardo pareva precluso a questo straordinario giocatore. Dalla parte sua aveva anche un bel carattere, una bella ed espressiva presenza, un aspetto quasi nobile, un atteggiamento positivo e propositivo e mai borioso. Anche lui era comunque ben consapevole del suo valore. Dopo Hastings dichiarò: “non sarei preoccupato se dovessi affrontare in un match Steinitz, Lasker o Tarrasch, perché penso di giocare bene quanto loro”.

Tutto troppo bello perché potesse durare a lungo …. Come diceva il Petrarca “cosa bella e mortal passa e non dura” ….

Sul finire dello stesso anno (13.12.1895-2.1.1896) venne organizzato a San Pietroburgo un quadrangolare con i 4 giocatori che in quel momento venivano considerati i più forti al mondo: Chigorin, Lasker, Pillsbury e Steinitz. Se non era quello un Campionato del mondo, che cosa era? Ciascuno doveva affrontare gli altri campioni per 6 volte.

Pillsbury sembrò all’inizio quello inarrestabile di Hastings e a metà torneo, cioè dopo tre gironi, conduceva con 6,5 su 9 con un punto di vantaggio su Lasker e due su Steinitz, con il padrone di casa Chigorin malinconicamente ultimo a 1,5.

Qui accadde improvvisamente qualcosa, e il bel giocattolo si ruppe per sempre: Pillsbury perse una drammatica partita con Lasker e apparve subito dopo irriconoscibile. Crollò e perse altre 5 partite. Perseguitato da una forte emicrania, ottenne appena 1,5 punti nella seconda parte del torneo, senza più vincere alcuna partita.

Si scrisse che prima dell’inizio del torneo Pillsbury avesse contratto la sifilide e che l’avesse saputo durante il torneo stesso. Da quel momento la sua vita mutò irrimediabilmente, quasi precipitando. A San Pietroburgo vinse infine Lasker, davanti al veterano Steinitz, a Pillsbury e a Chigorin.

Chigorin, Lasker, Pillsbury e Steinitz a San Pietroburgo a fine 1895

Pillsbury in verità ebbe ancora dei momenti di splendore scacchistico, ma non riuscì mai a tornare, nella sua breve vita, il fantastico e travolgente giocatore della prima parte di quel magico 1895. Intanto il male avanzava inesorabile. Tuttavia nella sua carriera non perse mai un match e si classificò sempre fra i primi 3 in ogni torneo disputato (a parte l’ultimo), tra l’altro giocando tutti tornei di spessore dal momento che trascurava di partecipare a manifestazioni di secondo piano.

Giunse di nuovo 3° a Norimberga nel 1896, ex aequo con Tarrasch e dietro a Lasker e Maroczy, 1°-2° a Vienna 1898 (perse lo spareggio con Tarrasch), dove batté Janowski, Steinitz, Schlechter e Chigorin, 1° ex aequo con Schlechter e Maroczy a Monaco 1900, 2° a Parigi nel 1900 dietro Lasker, 1° a Buffalo nel 1901. A Montecarlo fu 2° nel 1902 e 3° nel 1903 alle spalle di Tarrasch e Maroczy, nel 1902 2° ad Hannover dietro Janowski. Fu una serie di risultati positivi, anche se non più eccezionali, certamente notevole, che avrebbe avuto pochi uguali nelle carriere di altri grandi giocatori.

Tra i suoi matches bisogna ricordare quello pattato contro English a Vienna nel 1896 e quelli vinti contro Showalter a New York nel 1897 e poi 1898, contro Judd a New York nel 1899.

Pillsbury era anche uno straordinario giocatore “alla cieca”: nel 1899 al “Ladies Chess Club” giocò otto partite a scacchi e due a dama, sempre alla cieca, e contemporaneamente era impegnato in una partita a “whist”; l’anno successivo ne giocò a febbraio 16 “alla cieca” a Chicago (+11, =4, -1), eguagliando il precedente record di Zukertort, poi superato con le 20 partite di Philadelphia (+14 vinte, =5, -1).

Nel 1901 si sposò con Mary Ellen Bush, una bellissima donna di Brooklyn, figlia di un giudice. Nel 1902 batté il suo precedente record “alla cieca” ad Hannover, nel giorno di riposo del torneo cui partecipava: 21 avversari, quasi tutti giocatori di gran rispetto (come Bernstein, Kagan, Fahrni, Dyckoff), ed infatti ne risentì il risultato: +3,=11, -7

Sempre nel 1902 fece un tour in Russia, dove tenne una sessione “alla cieca” contro 22 (nuovo record) forti giocatori di Mosca. Vinse 17 partite, contro 4 patte e una sola perduta. Sapete chi era presente a quell’esibizione? Nientemeno che un ragazzino di 9 anni, un certo Alekhine. In seguito Alekhine avrebbe ricordato quella giornata: “Il successo di Pillsbury ebbe un effetto straordinario su di me, così come del resto sull’intero mondo degli scacchi russi”. Alekhine scrisse inoltre che “Pillsbury è stato, dopo Morphy, senza dubbio il più grande talento scacchistico d’America”.

Lasker lo definì senza mezzi termini “un genio”, e ancora Tarrasch, che pure di elogi era piuttosto avaro, così si espresse: “il brillante Pillsbury è come una meteora nel cielo degli scacchi: le sue migliori partite sono caratterizzate da un’incredibile freschezza e da una potente bellezza. Non solo i suoi contemporanei lo ammirano, ma tutti gli intenditori di scacchi, e sarà altrettanto almeno per tutto il prossimo secolo”.

Una curiosità, ancora. Fra il 1898 e il 1902 Pillsbury fu colui che manovrava l’automa-scacchista Ajeeb, che era stato costruito in Inghilterra e che purtroppo sarebbe andato distrutto in un incendio a Coney Island nel 1929. Ad aprile del 1904 si iscrisse al suo ultimo torneo, a Cambridge Springs, ma, sofferente e provato, non andò oltre il nono posto, pur riuscendo a battere ancora una volta Lasker.

Dopo il 1904 al mondo scacchistico non restò che assistere impotente alla lenta fine di Harry Nelson Pillsbury, che a marzo del 1905 fu ricoverato, dopo un ictus, al “Presbyterian Hospital” di Philadelphia, dove doveva subire un intervento e dove invece a marzo tentò di gettarsi dalla finestra della sua stanza al quarto piano, rompendo con i pugni i vetri della stessa. A fatica fu trattenuto da medici ed infermiere.

La sua mente e il suo fisico provato dalla malattia non erano ormai più in grado di assisterlo e venne poi colpito da una paralisi progressiva che lo portò a morire alla giovane età di 33 anni, il 18 giugno del 1906. Fu sepolto nel cimitero di Laurel Hill, a Reading.

Lasker ne scrisse un necrologio sulle pagine del “New York Times”, attribuendo la fine di Pillsbury “all’eccessivo sforzo delle sue cellule mnemoniche nelle partite alla cieca”. Successivamente pubblicò un articolo su di lui, ricordando “quell’uomo amabile e giovanile” e sottolineando “le novità delle sue ricerche, il fine senso della combinazione e il solido giudizio delle posizioni”, con un grande rimpianto: “il vincitore di Hastings, colui che ci ha indicato la strada nel folto groviglio della teoria, l’uomo dal tratto simpatico e cordiale, fonte di gioia e di insegnamenti per migliaia di giocatori, avrebbe dovuto vivere negli agi, che rendono il lavoro facile e intatta la salute. Invece lui era costretto a lavorare sodo e a sprecare la sua preziosa materia grigia in numerosi trattenimenti, che duravano da 6 a 10 ore, per guadagnarsi la vita”.

Lasker accennava al contributo di Pillsbury nelle aperture (“novità delle sue ricerche”), ed infatti a lui si fa riferimento per alcune linee di gioco della difesa Russa, della Francese (col Bianco) e del Gambetto di Donna rifiutato.

Harry Nelson Pillsbury ci ha lasciato numerose notevoli partite, che ovviamente potrete trovare con facilità in rete. Tra le tante interessanti c’è la prima contro Lasker a San Pietroburgo:

Lasker – Pillsbury
San Pietroburgo 13 dicembre 1895

Ora vi mostro un’altra sua nota partita, nota soprattutto per il manifestarsi di un tema tattico contro l’arrocco (“il matto di Pillsbury”), partita nella quale lo statunitense punisce duramente una infelice scelta del Nero in apertura.

Pillsbury – Lee
Londra 1899


Molti scacchisti e autori s’interessarono al personaggio e al gioco di Pillsbury.

Nel primo volume della serie “I miei grandi predecessori” (2003, Ed. Ediscere) il campione del mondo Garry Kasparov ha dedicato ben dodici pagine a quella che chiamò “la tragedia americana“, iniziando con una descrizione del torneo di Hastings 1895, dove “il giovane americano Pillsbury, fino a quel momento sconosciuto, fece un improvviso ingresso nella battaglia delle stelle”.

Si possono trovare, interamente sulla vita e sulle partite di H.N.Pillsbury, vari libri, scritti in epoche diverse, a dimostrazione di ciò che affermava Tarrasch, ovvero che il campione americano avrebbe avuto per tantissimi anni tanti ammiratori.

Fra queste opere abbiamo scelto quella di Pablo Moràn “Pillsbury el genio del ataque” (Madrid 1973, Ed. Ricardo Agulera). Moràn ha raccolto in 147 pagine tutte le migliori partite di Pillsbury, tutte le classifiche dei tornei a cui l’americano prese parte ed anche una selezione di alcune partite da lui giocate alla cieca. 

Degli statunitensi Andrew Soltis e Ken Smith è invece questo lavoro del 1990 (“Lo straordinario Pillsbury”, Dallas, Chess Digest, pagine 148), particolarmente ricco di partite e di diagrammi, che lo rendono godibile quasi come un film.

Ancor più recente (1996) è il lavoro di E.A.Mansurov “ Il sentiero delle meteore”, sottotitolo “Vita e giochi di Harry N. Pillsbury”. L’autore si sofferma soprattutto sulla personalità e sulle vicissitudini del campione americano.

Probabilmente, però, il lavoro più importante su Pillsbury è quello che dobbiamo ad un suo contemporaneo, lo storico tedesco Ludwig Bachmann (1856-1937), soprannominato “L’Erodoto degli scacchi”, con il dodicesimo volume (192 pagine nell’ultima edizione) della sua “Storia degli scacchi”, dedicato appunto al nostro campione: “Schachmeister Pillsbury”, più volte ristampato fino in anni recenti.

Bachmann regala queste parole al giocatore statunitense: “Pillsbury è stato senza dubbio un genio, di quelli che negli scacchi escono solo di tanto in tanto. Lo stile di gioco dei suoi anni migliori emana una freschezza deliziosa e una bellezza potente, in grado di riempire di ammirazione anche i suoi avversari”.

Mi piace infine citare anche un noto romanziere del ‘900, Roger Zelazny (1937-1995), il quale nel suo racconto del 1981 “La variante dell’unicorno”, vincitore di un “Premio Hugo”, scelse come trama della sua fantastica storia proprio una partita di Pillsbury, quella giocata contro Alexander Halprin (un austriaco di origine russa) a Monaco nel 1900 e terminata in parità con uno scacco perpetuo dopo 24 mosse.

E chiudo qui. Questo mio piccolo ricordo sta a testimoniare che aveva ragione Tarrasch a dire che la genialità di Pillsbury non sarebbe stata presto dimenticata. Forse non sarà mai dimenticata perché è immortale.

Purtroppo aveva ragione anche Ralph Waldo Emerson (1803-1882), filosofo conterraneo di Pillsbury, quando ricordava che di solito “i geni hanno le biografie più brevi”.


Note (1): da “Grandmasters of Chess” di H.C.Schonberg, 1972, trad. di Maria Eugenia Zoppelli Morin

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