Uno Scacchista

Annotazioni, Spigolature, Punti di vista e altro da un appassionato di cose scacchistiche

Non si vive di soli scacchi

3 min read

Oggi la notizia del giorno non è scacchistica, lo sapete tutti.
Frequento da molti anni l’ambiente cosmopolita, variegato, talvolta frustrante e comunque stimolante dell’Unione Europea e non posso non condividere qualche riflessione sulla BREXIT, ovvero sulla vittoria di coloro che hanno votato per l’uscita del Regno Unito dalla Unione Europea.

Si possono fare tante analisi sulla descrizione di chi ha scelto “Leave” (prevalenza di anziani, di cittadini con basso livello di istruzione e di residenti al di fuori delle grandi città), ma il fatto resta: la maggioranza dei cittadini del Regno Unito ha detto chiaramente di voler uscire dalla Unione Europea e di preferire un percorso pieno di incognite ma da compiere in autonomia alla partecipazione alla più grande iniziativa di unione politica su base volontaria tra Stati sovrani della storia.

Vedremo cosa succederà nei prossimi mesi e anni, ma di sicuro lo scenario che si è aperto è una novità per tutti. Il “mercato” farà quello che converrà agli investitori, quindi non voglio prendere come unico parametro per misurare gli effetti del referendum le sue reazioni, tanto meno quelle istintive di oggi.
Certamente ci sono e ci saranno scossoni, ma verso un nuovo livello stabile, non verso il caos.

Per me oggi è più importante …

… quello che può pensare il diciottenne di Edinburgh che l’anno scorso(*) ha votato no al referendum contro gli inglesi pur di rimanere in Europa e che ora quegli stessi inglesi cacciano fuori dall’Europa contro il suo volere;
… quello che può pensare un imprenditore di Belfast che già gliene fregava poco di cattolici e protestanti, figùrati adesso che, grazie a quei pecorai di inglesi, perde i finanziamenti di Bruxelles che il suo collega di Dublino invece riceverà;
… quello che può pensare il contabile londinese di una multinazionale, che perderà il lavoro perché l’azienda sposterà il settore amministrativo in Irlanda, in modo da rimanere in Europa e nella contabilità Europea;
… quello che può pensare il pensionato gallese che, credendo di aver agito per il bene dei propri soldi, si accorgerà di non potersi permettere più quei bei viaggetti al caldo del Sud Europa perché la sterlina si svaluterà e le tariffe aeree aumenteranno;
… quello che può pensare una giovane coppia inglese (lui di seconda generazione) che non sa bene cosa accadrà nei prossimi 20 anni durante i quali i loro figli cresceranno (mentre i nonni di lei, in campagna, orgogliosamente vincitori oggi, non ci saranno più);
… quello che può pensare un giovane europeo non UK-native (come mia figlia) che sta apportando con entusiasmo un contributo al “sistema” inglese (non solo economico, ma anche sociale) e che se ne sente spinto fuori;
… quello che può pensare un europeo adulto come me, che per la prima volta vede le spalle girarsi e le porte chiudersi di fronte al concetto di Europa Unita, che con tutti i suoi difetti ha garantito e sta comunque garantendo convivenza pacifica e fratellanza.

Chissà quale sarebbe il risultato se si rivotasse tra due settimane…

(*) per il referendum scozzese votarono anche i giovani di 16 e 17 anni, che non hanno avuto diritto al voto per questo referendum

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21 thoughts on “Non si vive di soli scacchi

  1. Un amico ieri mi ha scritto questo: “…… il Washington Post ospita una proposta «provocatoria» di David Harsanyi, condirettore della rivista online The Federalist, che propone un esame di educazione civica per gli elettori, perché una democrazia non informata è «il preludio a una farsa o a una tragedia» ….”.
    Condivido. E aggiungo che probabilmente servirebbero anche corsi di economia e finanza. Altrimenti, determinate future scelte di popoli poco informati, d’ Europa e d’Italia (scelte determinate in larga parte da impulsi, sentimenti e inganni), ci condurranno a irreversibili e spaventosi scenari: di recessione e disintegrazione e forse persino di guerra.

  2. Caro Riccardo, vedo che ti fai tentare da idee a prima vista corrette e motivate. Anch’io stavo per dire “giusto” all’esame di educazione civica, che sembra in effetti accettabile (resta solo l’eterno problema: chi sono gli esaminatori che decideranno l’idoneità a “cittadino”? Come e da chi saranno scelti? O sarà qualcosa del tutto automatico, basta la frequenza ad un corso o un opportuno titolo di studio?).
    Riguardo l’allargamento del discorso, però, temo che si intraprenda una strada pericolosa: economia e finanza? Seguendo quali teorie? Perchè no filosofia, sociologia o tecnologie moderne?? E qualcuno, poi, non pretenderà un esame di idoneità psichica, di etica, o addirittura di religione?
    In conclusione penso che l’unica soluzione sia che la società abbia una scuola pubblica di buon livello che formi in maniera imparziale tutti i cittadini, che tali rimangono in tutti i casi.
    La democrazia ha i suoi difetti: dobbiamo conviverci finchè non troveremo di meglio. Ciao e a presto. Fabrizio

    1. L’articolo (tradotto) a cui fa riferimento Riccardo è questo. E’ chiaramente applicato alla situazione USA, ma il punto di vista, pur se provocatorio, è ben argomentato. L’autora porta l’esempio dell’uso del “test di cittadinanza” (quello che devono superare coloro che chiedono di ottenere la cittadinanza statunitense) come misura della conoscenza della materia. Nulla di complicato o di parte.
      Io non conosco un test analogo per il caso italiano, ma so per certo che molti miei compatrioti sanno pochissimo del funzionamento dello Stato, delle sue cariche e delle loro responsabilità (prova ne è il malinteso, istigato e sostenuto da molti politici, sulla surrettizia indicazione per il Presidente del Consiglio dei Ministri con le Elezioni Politiche).
      Come sono certo che ben pochi dei sudditi di Sua Maestà erano e sono tuttora consapevoli delle conseguenze del loro voto di venerdì scorso, sono altrettanto certo che pochissimi portanno capire gli effetti del voto referendario per la conferma delle modifiche alla Costituzione. E purtroppo nessuna delle forze politiche si spenderà per spiegarle, ma la “butterà in caciara”, facendolo passare per un voto pro o contro altro.
      Una scuola che formi i giovani con gli elementi indispensabili di quella che una volta si chiamava Educazione Civica è sicuramente una buona risposta, ma intanto cosa facciamo? Aspettiamo che il Farage di turno racconti anche in Italia la storia che fuori dalla UE sarà tutto rose e fiori (senza spiegarci come e perchè) per vedere l’effetto che fa?

  3. Ho letto l’articolo in questione e non nego che abbia una sua validità, anche perché solleva una questione filosofica e politica che ha precedenti antichi (il governo dei saggi) . Forse potrebbe essere di utilità un “test di cittadinanza” di base, accessibile a tutti, senza particolari requisiti culturali. Ma rimango del parere che nella democrazia moderna la logica sia quella che ogni individuo abbia, a priori, lo stesso “peso” degli altri. Continuo a pensare che la democrazia “dei competenti” sia una strada difficile, pericolosa, e di dubbia realizzabilità.
    Il problema di eventuali “Farage” da evitare, credo sia mal posto: è evidente che ci sia una buona parte dell’elettorato influenzabile da ragioni “di pancia”, ma se gli “antiFarage” avessero credibilità e facessero dibattiti seri sui meriti o demeriti delle questioni, forse i demagoghi non avrebbero vita facile. Credo piuttosto che il problema attuale vero e assai grave sia quello di una classe politica e dirigente, a livello nazionale ma anche mondiale, piuttosto scadente e poco convincente.

  4. Beh, “esami” e “corsi” sono quasi una provocazione. Quello che effettivamente posso dire è che io mi sento sempre più democratico (e vigile finché posso), ma sempre più dalla parte di una democrazia “rappresentativa” anziché “diretta”.
    In tal senso condivido in pieno l’articolo di oggi, su “L’Unità”, di Nicola Corda, articolo del quale riporto un brano cruciale:
    “…….. Cameron …. ha buttato in pasto alla pancia dei cittadini britannici un quesito tanto impossibile quanto sbagliato. Come si può chiedere di stare dentro o fuori, come può anche un elettore informato mettere sul piatto della bilancia i pro e i contro di una scelta così complessa che comporta effetti a catena (politici, economici, sociali) impossibili da prevedere, e fare una sintesi? Qualsiasi scelta faccia sarà sbagliata e mostra in modo inequivocabile il limite dello strumento referendario sulle grandi complessità della globalizzazione …..”.

    1. Caro Riccardo, ti conosco abbastanza per non dubitare della tua “democraticità”!!
      Permettimi però qualche osservazione sull’articolo dell’Unità che citi: se è effettivamente difficile anche per l’elettore informato fare la scelta “giusta” (intesa come sommatoria difficilmente definibile di pro e contro di varia natura) lo è probabilmente per chiunque altro. E allora, in definitiva, non si sceglierebbe in base ai propri interessi ed alla propria e personale visione del mondo?
      Ho proprio timore che, nei casi realmente complessi che coinvolgono la totalità delle persone, non riconducibili a precisi algoritmi matematici o scientifici (non farei certamente referendum per calcolare la struttura portante di un edificio, o su argomenti sui quali esiste accordo tra tutti i “competenti”) e con la corretta informazione accessibile a tutti, il referendum sia, con tutti i suoi limiti, la scelta più corretta (ciò comporta ovviamente la possibilità di fare la scelta “sbagliata”).

      1. Ma se la scelta è difficile per un “elettore informato”, e pertanto improba o impossibile per un “elettore poco o per nulla informato” (e questi ultimi sono senza dubbio i più), è evidente che c’è un solo mezzo per evitare pasticci e, come scrive l’Harsanyi, “farse o preludi a tragedie”: quella scelta non deve ricadere sugli elettori, bensì sugli eletti, cioè sui rappresentanti degli elettori, così come vorrebbe la democrazia rappresentativa alla quale mi riferivo.
        Infatti, ad esempio, la nostra Costituzione esclude i referendum sui trattati internazionali, sulle leggi tributarie e di bilancio e su altre materie.

  5. E a proposito di queste “grandi complessità” citate da Corda, inerenti la Brexit, segnalo un altro articolo, quello del professore di economia Giorgio Barba Navaretti su “Il sole 24 Ore” di oggi (pagina 14), dal titolo “Tra inganni e illusioni su commercio e sovranità”.

    1. Carissimi tutti,

      Mi permetto di far notare che il dibattito sulla democrazia in filosofia anglo-americana si pone il problema dell’efficienza epistemica, cioè sul fatto che la democrazia debba essere efficiente sul piano dei risultati/capacità di usufruire e diffondere conoscenza. Casualmente, me ne sto occupando proprio nella mia tesi di dottorato. C’è un professore (Jason Brennan) della George Town University (Washington DC) che sostiene con veemenza l’introduzione di un simile esame (che però non a caso non ci dice come dovrebbe essere, secondo me informulabile). Faccio osservare che i padri fondatori americani avversavano la “tirannia delle masse” e quindi crearono un sistema di filtro molto ampio all’elettorato (infatti, si sa che in America non vanno a votare in troppi). Comunque sia, devo dire che io sono fortemente avverso all’idea di creare un nuovo filtro all’elettorato, sia perché è una pia illusione, sia perché non è ben chiaro cosa si voglia da tale filtro. Ho scritto anche un paio di articoli proprio su questi temi (ve li ho messi giù, per eventuale approfondimento) e non posso, purtroppo, dilungarmi in analisi più dettagliate qui. Quello che però io credo è che questi sistemi non farebbero che complicare la situazione. Quello di cui abbiamo bisogno non sono filtri, ma più democrazia. Infatti, i filtri devono essere preimpostati. Ma chi stabilisce come e perché? Inoltre, si avrebbe probabilmente il risultato di eliminare classi che non hanno accesso all’istruzione migliore, cioè quelle economicamente più deboli. Si complicherebbe ulteriormente l’accesso alle urne e si aumenta l’insoddisfazione di chi non ha simili possibilità. Infondo, se nonostante le 4 crisi, tra cui l’occupazione giovanile in congiuntura con la senescenza della media della popolazione nazionale, non c’è stata alcuna seria rivolta è solamente perché comunque il tessuto sociale-istituzionale ha dato prova di reggere allo stress, nel bene e nel male. E francamente, mi pare già un buon risultato. Tanto non bisogna farsi troppe illusioni in tal senso: non c’è una via facile e indolore di evitare scilla e cariddi!

      Un saluto a tutti, con simpatia.

      Rimando gli interessati:
      http://www.scuolafilosofica.com/5307/democrascienza-tecnocrazia-e-democrazia-il-paradosso-della-selezione
      http://www.scuolafilosofica.com/5226/tre-modelli-di-democrazia

      1. Ringrazio Giangiuseppe Pili per l’autorevole commento e per gli approfondimenti contenuti nei suoi articoli.
        In conclusione (sintetizzo in maniera grossolana), dall’analisi filosofico-politica sembrerebbe che l’introduzione di qualsiasi filtro limitativo per l’elettorato porti, in un sistema democratico, più svantaggi che benefici.
        Da statistico non posso che condividere (maggiore la dimensione del campione, migliore la sua rappresentatività).

  6. Un saluto a Giangiuseppe, come a Fabrizio.
    Sui filtri siamo tutti d’accordo, l’argomento è più che altro una provocazione ed un invito alla riflessione, per spostarsi poi sulla ratio di quegli articoli della Costituzione limitativi dell’istituto referendario.
    Infatti il vero nocciolo della questione è un altro, ovvero: su certi argomenti (come nel caso britannico) deve/può decidere il popolo o il Parlamento? E quali sono o possono essere questi argomenti?
    Come, ad esempio, si sarebbero espressi i cittadini statunitensi se fossero stati chiamati a decidere con un referendum se entrare o meno in guerra contro la Germania di Hitler e andare a morire per l’Europa?
    Come (altro esempio) si esprimerebbero oggi i cittadini italiani se fossero chiamati a decidere con un referendum sulla opportunità o meno di cancellare l’IRPEF o l’IVA?
    Che quello di Cameron sia stato un grosso errore mi pare una tesi perfettamente sostenibile.

    1. Grazie Fabrizio, Giangiuseppe e Riccardo per l’interessante scambio di opinioni.
      Oggi su The Guardian è uscito un articolo di Geoffrey Robertson che, tra molti aspetti peculiari del Regno Unito, tocca gli argomenti di cui stiamo discutendo:

      “Our democracy does not allow, much less require, decision-making by referendum. That role belongs to the representatives of the people and not to the people themselves. Democracy has never meant the tyranny of the simple majority, much less the tyranny of the mob (otherwise, we might still have capital punishment). Democracy entails an elected government, subject to certain checks and balances such as the common law and the courts, and an executive ultimately responsible to parliament, whose members are entitled to vote according to conscience and common sense.”

      E poi:

      “Referendums are alien to our traditions, they are inappropriate for complex decision-making, and without careful incorporation in a written constitution, the public expectation aroused by the result can damage our democracy. The only way forward now depends on the courage, intelligence and conscience of your local MP. So have your say in the traditional way: lobby him or her to vote against the government when it tries to Brexit, because parliament is sovereign.”

      Certo, sono i pensieri di un opinionista inglese sull’istituto del referendum all’interno della Costituzione Inglese, ma mi ci sento molto in sintonia.

      Altri discorsi sono la qualità dei rappresentanti eletti dal popolo e il fatto che non debbano cedere alle loro diatribe interne e gelosie. E’ chiaro che in UK si è giocato (sulla pelle dei cittadini) un ripugnante gioco di potere, dove chi si è schierato dalla parte del Leave non si è fatto scrupolo nell’usare argomenti falsi o fuorvianti. Come le scritte sugli autobus sull’utilizzo dei 350 milioni di sterline che non andranno più alla UE per rinforzare il Sistema Sanitario Nazionale – concetto derubricato solo la mattina dopo dallo stesso Farage come un errore di informazione.

  7. Ringrazio voi e faccio gli auguri a questo nuovo sito! Capisco benissimo i dubbi sia del popolo “disinformato” sia del “popolo informato”. Gli uni non hanno spesso neppure le capacità di leggere il burocratese indispensabile per quasi tutti i siti internet italiani addetti a fatti più o meno tecnici (ne saprete qualcosa anche voi). E non è solo colpa loro. Io per primo fatico in tal senso. La strumentalizzazione delle masse è più facile a dirsi che non a farsi, se già dall’avvento della società di massa si spende una considerevole quantità di tempo e spazio per capire come fare. E in genere, il sistema migliore è alternare le mazze alle mazzette, tra corruzione e repressione violenta: quella la capiscono tutti. In democrazia si può denunciare. In tutte le altre forme di governo, semplicemente ti eliminano (o ti incorporano, nel caso).
    – Purtroppo, certo, il problema dei referendum del genere è chiaro. Ma altrettanto chiara a me pare la radice del problema: la mancanza di senso critico che nasce da molto lontano, ovvero da un’educazione impostata principalmente su una istruzione pubblica mediamente insoddisfacente e un accesso alle fonti di conoscenza sempre più limitato a chi già dispone dei mezzi per controllarla.
    – Invece, secondo me, bisognerebbe fare molti più referendum, che aumenta consapevolezza nel dibattito pubblico e nei decisori politici. Il problema è come formulare i problemi. Se ti pongo il problema in questi termini “vuoi avere 100 euro subito o 1 euro al giorno tra trent’anni per cento giorni?” Probabilmente tutti scelgono i 100 euro subito. Peccato che l’1 euro tra trent’anni si chiami pensione… (giusto a titolo di esempio). Faccio anche notare che all’epoca, i sindacati agli albori si resero conto in fretta di simili paradossi “logici” della mente dei loro sostenitori, così si arrivò a stabilire quote obbligatorie da salvare sulla busta paga. Insomma, purtroppo, ancora una volta io credo che la cavalcata dell’isteria sia solamente il sintomo della mancanza di idee. Quelle stesse idee che dovrebbero sorgere nel dibattito pubblico. La democrazia è nata in crisi. Ma cosa dobbiamo fare? Farne di più, non di meno. Spero di poter vivere i miei prossimi anni in una democrazia e non in qualcosa di più o meno diverso. So che non mi piacerebbe vivere in un sistema peggiore di questo! E ce ne vuole! Per questo, e non caso, mi sono mobilitato sin dal 2009 per creare un portale di libero accesso ai contenuti della ragione, della cultura e della democrazia. Perché è stato il mio modo per tentare, seppure con i miei mezzi, di controgiocare a questa mancanza di senso critico e, conseguentemente, di senso civico… Comunque, capisco bene tutte le vostre osservazioni che sostanzialmente condivido.

  8. Credo che, se anche i singoli elettori possono essere poco informati, i popoli nel loro insieme sono al contrario estremamente saggi. Limitare la capacità e gli ambiti di scelta dei popoli, apre (quello sì!) la strada ad “una farsa o a una tragedia” e alle dittature. Non dimentichiamo le limitazioni progressive imposte agli Ebrei dalla Germania nazista, preludio alle deportazioni e poi allo sterminio.
    E poi chi stabilisce quali sono le competenze adeguate per esprimere un voto in una determinata materia? Forse la classe dominante? Forse chi ha una laurea? Forse chi appartiene ad un dato censo? Oppure chi detiene il controllo dei media?
    E ancora mi chiedo: siamo sicuri che le cattive informazioni somministrate alla pancia del popolo (a chi si allude? a Farage? agli Indignados? alla Casaleggio e co?) non siano analoghe a quelle che avvelenano, almeno in Italia, da circa quarant’anni, la mente della gente, costringendola ad occuparsi di Borsa e di Indici Mibtel o Nasdaq e robaccia simile? Non si sta forse da troppi anni terrorizzando i popoli (parlando ad essi sul serio alla pancia e al fegato) con continue minacce di fallimenti o default se non si osservano alla lettera gli ordini dei tecnocrati che hanno usurpato il nobile spirito europeo nato e sviluppato nel Dopoguerra? Chi ha sostituito il valore “LAVORO” e “CULTURA” con quello della “speculazione finanziaria”?
    Forse la Brexit ha dato uno scossone a tutto questo e, come si dice, non tutto il male (ma è veramente male?) vien per nuocere. O si cambia, ora, subito e radicalmente, cacciando gli usurpatori, o si muore. E non morirà solo l’Europa!

  9. Dimenticavo di dire una cosa importante.
    Da alcuni anni mi sono trasferito in Islanda ed abito a Reykjavik (ridente cittadina di un meraviglioso Paese). L’Islanda non ha mai voluto entrare nell’area Euro ma intrattiene stretti rapporti con la UE avendo firmato con essa vari trattati su molte questioni di fondamentale importanza. A seguito della crisi del 2008 (occhiutamente programmata negli USA e negli ambienti finanziari internazionali) anche da noi ci sono stati contraccolpi. La popolazione islandese (poco più di 300.000 abitanti) ben informata (essendo le istituzioni scolastiche molto efficienti) ha identificato nei politici corrotti e nelle banche la causa unica di tale crisi. Morale: circa quattro anni fa sfiduciò il governo, con un referendum (vinto con il 90%) nazionalizzò le banche che avrebbero voluto scaricare sui cittadini il loro fallimento finanziario, ed ultimamente ha cacciato a calci nel sedere il Premier Sigmundur Gunnlaugsson, coinvolto nello scandalo Panama Papers. Attualmente l’economia islandese è in netta ripresa e, per di più, la Nazionale di calcio si sta facendo molto onore agli Europei di Francia! Ci dispiace solo di aver eliminato l’Inghilterra. Ma non ci pensiamo neanche lontanamente (come la Svezia, la Norvegia e la Danimarca) di entrare in un Unione Europea siffatta.

  10. Giusto una domanda: il titolo contiene un semplice strafalcione grammaticale oppure vorrebbe alludere a qualcosa?

  11. Peccato che in italiano il sostantivo ‘pane’ sia singolare mentre il sostantivo ‘scacchi’ sia plurale.
    Per farti capire meglio diresti: ‘non si vive di soli spaghetti’ o ‘non si vive di solo spaghetti’?

    …lascerei stare il Vangelo per la grammatica 😉

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