Milos Forman è volato su un altro nido
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(Riccardo M.)
“Ma credete veramente di essere pazzi? Davvero? Invece no, voi non siete più pazzi della media dei coglioni che vanno in giro per la strada, ve lo dico io!”
Lo ricordate? E’ un pensiero pronunciato dal grande attore Jack Nicholson nel celebre film del 1975 dell’altrettanto grande regista Milos Forman “Qualcuno volò sul nido del cuculo”. Non sono un esperto di cinematografia. Nemmeno di scacchi, per la verità. Però non posso, stasera, non tornare a battere la tastiera del mio vecchio computer, dopo aver ascoltato la notizia della morte (ieri, 14 aprile 2018) dell’ottantaseienne regista di Caslav (Repubblica Ceca), ma da tempo cittadino statunitense, Milos Forman, vincitore di due premi Oscar (il secondo nel 1985, con “Amadeus”, sul genio solitario e ribelle di Mozart).
I meno giovani dei nostri lettori lo ricordano di certo, quel film del 1975, che ha segnato un momento indimenticabile della cinematografia mondiale. Nicholson impersonava il giovane Randle (detto “Mac” per il suo cognome, McMurphy), che per sfuggire al carcere si finse pazzo e finì in manicomio. Lì lui ebbe l’effetto del classico sasso caduto in uno stagno immobile da secoli: “Ma non ce l’avete il coraggio di andarvene via da qua dentro? Ma che cosa vi credete di essere, vacca troia, pazzi davvero?”
Lì fece amicizia con una gigantesca e simpatica figura di indiano (Pellerossa), Capo Bromden (interpretato da uno straordinario Will Sampson), a sua volta finito in manicomio dopo essersi finto sordomuto, e lì si scontrò con l’ottusità del potere, il personaggio dell’infermiera Mildred. Lì decise insieme all’indiano di tentare la fuga. Ma questa fallì e lui venne lobotomizzato, finché un giorno Capo Bromden, impietosito, decise tra le lacrime di interrompere le sue inutili sofferenze soffocandolo con un cuscino.
Il film era un’azzeccata metafora del potere, dell’intolleranza del potere, del condizionamento e soppressione inconsapevole della vita degli altri, dell’anelito insopprimibile al riscatto e alla libertà che è dentro ciascuno di noi, della libertà del diritto alla vita e alla morte. Qualcuno a buon motivo si spinse anche a scrivere che “Qualcuno volò sul nido del cuculo” rappresentasse un po’ “l’elogio della follia”. Innegabile che un filo possa aver visto legati il romanzo e il film di Forman all’opera di Erasmo da Rotterdam, che visse quattro secoli prima e che seppe intuire che proprio “con la pazzia si costruiscono città, imperi, istituzioni ecclesiastiche, leggi, perché la vita dell’uomo è solo un gioco, il semplice gioco della follia”.
Il film, tratto da un romanzo di Ken Kasey del 1963, resta un “cult” intramontabile, eterno. Le figure di Nicholson e Sampson non usciranno mai dalla mia mente (forse sarò pazzo anch’io?) e il ricordo del nome di Milos Forman neppure.

Ma …. E gli scacchi? Beh, alcuni anni fa su Chess News apparve la notizia, rivelata da Anatoly Karpov, che Milos Forman era un collezionista di sedie sulle quali si erano disputati alcuni campionati del mondo. Pare che Forman asserisse che “se i più grandi giocatori di scacchi erano seduti su queste sedie e meditavano per ore, allora anche le sceneggiature per i film possono essere scritte meglio sedendosi su di loro”. Davvero curioso!
Un altro noto grande maestro ceco dello scorso secolo, Ljubomir Kavalek, ricordò anni fa che l’attuale campione del mondo Magnus Carlsen aveva conosciuto nel 2007 Milos Forman a Valencia, dove il regista si era recato per presentare un’opera jazz. I due giocarono in quella occasione una partita a scacchi. Forman ad un certo punto provò a chiedere una patta, ma Carlsen (come avrebbe fatto quasi sempre in seguito con tutti) continuò e vinse. Tuttavia alla fine si complimentò per una mossa del regista, e Forman, grande appassionato di scacchi, ebbe poi a dichiarare di essersi sentito in quel momento “come se avessi appena vinto un altro Oscar”. Straordinario!

Sembra che Forman avesse un giorno espresso anche il desiderio di girare un film sul match “Spassky-Fischer”. Purtroppo questo progetto non poté mai realizzarsi. Fa niente, perché comunque di motivi per essere grati a Milos Forman, cantore della libertà, ne abbiamo già: “Se aveste vissuto come ho fatto io diversi anni sotto il totalitarismo nazista, e poi vent’anni sotto il totalitarismo comunista, vi sareste certamente resi conto di quanto preziosa sia la libertà e di quanto sia facile perderla”.
Addio, Milos. Ci sarà sempre un altro “nido” per te!
Bravo Riccardo! Un pezzo emozionante che mi riporta ai tempi di quando lessi il romanzo dello statunitense Ken Kesey e vidi il film nel quale ‘giocarono’ un bel numero di Grandi Maestri: Forman, Nicholson e Sampson per il loro principale ruolo, ma anche Danny DeVito e Louise Fletcher (l’infermiera).
Grazie. Io dico “bravo” anche a Uberto, visto che ho buttato giù queste righe dopo la mezzanotte e lui ha fatto in tempo a pubblicarle.
Sì, m’ha fatto venir voglia di rivedere i films di Forman. Questo articolo, ben scritto anche se con pochissimo tempo a disposizione, riesce a toccare le corde giuste, a farti entrare nell’atmosfera del regista e, allo stesso tempo, m’ha fatto scoprire un suo lato sconosciuto: la sua passione per gli scacchi. Addio a Milos Forman e…complimenti all’autore e al team di UnoScacchista!