Uno Scacchista

Annotazioni, Spigolature, Punti di vista e altro da un appassionato di cose scacchistiche

La beffa di Köpenick

5 min read

(Riccardo M.)
Per caso conservate nella vostra libreria il numero di novembre 1931 della gloriosa rivista “L’Italia Scacchistica”?
Se sì, potete godervi anche lì, su quei tipici caratteri di stampa e quelle pagine probabilmente ingiallite dal tempo, questa curiosa e antica storia, che si ebbe nella Germania di inizio Novecento, a Koepenick (però sulla I.S. era trascritto erroneamente Koepernick, con la “r”), che è un sobborgo di Berlino alla confluenza dei fiumi Dahme e Sprea.

[Foto segnaletiche di Wilhelm Voigt, Berlino 1906]

Noi ve la riproponiamo così come l’abbiamo letta, senza aggiungervi nulla e senza interromperla, ma togliendo quella “r” e con un successivo piccolo commento. E’ carina. Ed è simpatico e fantasioso, almeno per un poco esperto come me, anche il problema. In Germania, problema a parte, la storia è conosciutissima.

La firma sull’articolo era quella di V.D.B., ovvero quella del noto problemista e commerciante genovese, nato in Ucraina, Vittorio De Barbieri (Odessa 1860-Genova 1943), del quale io stesso altrove scrissi in passato e con accenti altrettanto misteriosi. Il titolo, per l’appunto era “La beffa di Koepenick”. Leggiamolo insieme:

“Molti ricorderanno ancora l’impresa, nel 1906, di quel calzolaio che procuratosi una vecchia uniforme di capitano d’infanteria, si recava a Koepenick, piccola cittadina vicinissima a Berlino. Incontrata una pattuglia a fare le manovre, audacemente ordinò ai due caporali con i cinque soldati di seguirlo, dovendo arrestare il sindaco di quel paese. Giuntovi, si fece consegnare la cassa municipale, intascandosi il contenuto (circa 4.000 marchi) ed ordinando ai militi di far condurre in “vettura” il disgraziato sindaco e consegnarlo prigioniero alla prima sezione di polizia in Berlino.

E questo essi fecero, mentre il calzolaio si eclissava!

L’avventura ebbe un’eco enorme, e fu una generale risata in tutto il mondo. A pochi però, crediamo, sia noto che due problemisti, ispiratisi al buffo episodio, composero un problema-fantasia pubblicato sul “Leipziger Tageblatt” che lo ricorda in modo rimarchevole, diremo anzi fotografico. Ecco il diagramma:

La beffa di Koepenick (problema)

Il Re bianco rappresenta il finto capitano, i due Alfieri bianchi rappresentano i due caporali, i Pedoni bianchi sono i cinque soldati.

Atto primo (a Koepenick) – il Re nero rappresenta il Sindaco, l’Alfiere nero il suo segretario, la Torre nera in d2 la cassa municipale.

Atto secondo (a Berlino) – la Torre nera in a7 rappresenta la sede della polizia, la fila “a1-a7” è la strada diretta fra Koepenick e Berlino.

La manovra1.Rc3xd2+ di scoperta. Il falso capitano s’impossessa della cassa! Il Sindaco, rimettendo le sue funzioni al segretario (Alfiere nero in b1) inizia la sua via-crucis: 1. … Ra2. La scorta che si era avanzata con regolarità matematica, preceduta dai caporali, giunta alla sede (settima fila) prosegue per la caserma: 2. f8=A+ Ra3 3. e8=A+ Ra4 4. d8=A+ Ra5 5. c8=A+ Ra6.

Perseguitato dai continui scacchi, eccolo finalmente giunto a destino. Qui il cocchiere stacca vettura e Cavallo e … 6. b8=C! scacco matto! E l’infelice ed ingenuo sindaco è … imprigionato.

Il finto calzolaio si avviò verso la stazione, si tolse l’uniforme e sparì nel nulla. Come in un film.

Der Hauptmann von Köpenick

Come dite? Tutto inventato? Macché! E’ tutto vero! Questa è la “Beffa di Koepenick”, più nota in Europa come “Il capitano di Koepenick”, ed è una storia assai utile anche per capire qualcosa in più della psicologia delle masse, quelle masse che, come i gregge, possono essere facilmente manipolate da falsi e facili messaggi e da travestimenti-travisamenti.

Bastò una uniforme a Wilhelm Voigt, questo il nome del cinquantasettenne calzolaio-ladruncolo, per soggiogare e tenere in pugno (anzi … in scacco!) così tante persone, dal borgomastro (sindaco) ai militari.

Se ci pensate bene, quella di Voigt non era altro che un felice esempio di “tecnica d’informazione persuasiva”. E se riflettiamo ancora meglio dobbiamo tener conto che, ad esempio, è stato calcolato dall’OCSE che in Italia oggi più della metà della popolazione è da annoverare fra gli “analfabeti funzionali”, cioè si trova (cfr. M.Candito, La Stampa, 10.1.17) “in un’area che sta al di sotto del livello minimo di comprensione nella lettura o nell’ascolto di un testo di media difficoltà”. Siamo i primi in Europa in questa triste classifica. Ecco pertanto che possiamo ben percepire quali assurdi e terribili risultati potrebbero essere raggiunti (ma forse alcuni già lo sono e non ce ne accorgiamo a sufficienza) grazie a queste tecniche d’informazione più o meno subliminale. Qui da noi qualunque furbo “calzolaio di Koepenick”, grazie ai moderni strumenti di persuasione mediatica, avrebbe (o probabilmente ha già avuto) vita facile.

Ma torniamo ai fatti tedeschi del 16 ottobre del 1906. Wilhelm Voigt, il finto capitano che aveva acquistato quell’uniforme da un robivecchi, faceva di mestiere il ciabattino presso la bottega del padre, ma soprattutto, dopo essere stato cacciato da scuola all’età di 14 anni, viveva di espedienti e piccole truffe che lo avevano condotto più volte in prigione. Dopo “la beffa di Koepenick” fu presto scovato e arrestato, ma non dispiacque a tutti quell’impresa così grottesca e in pari tempo coraggiosa e intelligente. Venne condannato a quattro anni di carcere.

Ma anche al Kaiser Guglielmo II l’episodio non dispiacque troppo, forse perché fu divertito e in pari tempo compiaciuto nel constatare il timore reverenziale che le uniformi esercitavano sul popolo, e così gli concesse la grazia nel 1908, definendolo “un adorabile mascalzone”.

Wilhelm Voigt si trasferì in Lussemburgo nel 1910, e lì tornò a fare un po’ più seriamente il calzolaio. Morì poverissimo nel 1922. Oggi il suo nome è scritto nella storia e la sua statua all’ingresso del Rathaus (il Municipio) è divenuta quasi un simbolo, quello della lotta al potere e alle ingiustizie.

Koepenick-Hauptmann-Titel

In Germania nel 1931 l’episodio fu il tema di una commedia satirica, della quale si ebbe poi nel 1973 anche una versione italiana, per la regia di Sandro Bolchi e con protagonista un nome celebre, quello di Renato Rascel. Di opere cinematografiche ispirate all’episodio ne esistono diverse e fra queste cito quella diretta da Richard Oswald (“Der Hauptmann von Köpenick”, 1941) e quella, con lo stesso titolo, diretta nel 1956 da Helmut Käutner.

E adesso vorrei chiedere ad un lettore qualunque: cos’è che distingue le favole dalla realtà?

il-capitano-di-kopenick

P.S. : Ehi, non prendete questo problema troppo sul serio, eh? Il nostro Marco precisa trattarsi di una specie di non-problema, visto che il Bianco potrebbe mattare in due con 1.Rb3+ e che la 1.Rxd2 è solo funzionale alla conquista del bottino della cassa municipale (e così via con le pluri-demolizioni successive). Uberto altrettanto giustamente aggiunge che quella dei due sconosciuti autori è una costruzione puramente coreografica. Piacevole lo stesso.

 

 

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7 thoughts on “La beffa di Köpenick

  1. Dear Riccardo,
    Thank you for this article, well embedded into bridging thoughts to recent politics and nicely framed by these underlying thought-provoking-impulses.

    Caro Riccardo,

    Grazie per questo articolo, ben inserito in un ponte di pensieri alla politica recente e ben inquadrato da questi impulsi di pensiero sottostanti.

  2. Sarebbe bello se la “storiella” facesse aprire gli occhi a chi oggi vive in questo sventurato paese ma……dubito fortemente!

  3. Divertente la “storiella” e la figura dell’ “adorabile mascalzone”.
    In margine all’articolo e visti i tempi, mi permetto qualche spunto di riflessione ulteriore. Premesso che, come affermato nell’articolo, sono molti ad essere abbastanza convinti che:
    “quelle masse, come i gregge, possono essere facilmente manipolate da falsi e facili messaggi e da travestimenti-travisamenti.” “in Italia oggi più della metà della popolazione è da annoverare fra gli “analfabeti funzionali”, cioè si trova “in un’area che sta al di sotto del livello minimo di comprensione nella lettura o nell’ascolto di un testo di media difficoltà”, “Qui da noi qualunque furbo “calzolaio di Koepenick”, grazie ai moderni strumenti di persuasione mediatica, avrebbe (o probabilmente ha già avuto) vita facile.”
    Oltre al pessimismo sulla natura umana che queste affermazioni purtroppo denotano, mi domando (e domando a tutti): chi ha detenuto negli ultimi decenni e chi detiene ancora oggi i principali strumenti di persuasione mediatica di massa (televisioni, radio, giornali)? Sono sempre stati usati correttamente per lo sviluppo culturale e per il bene della società italiana? L’attuale situazione politica e sociale, ritenuta drammatica da molti, non dipende minimamente da chi li ha usati finora e detenuto il potere nelle sue varie forme (economiche, informative, politiche)? Oppure la “rete”, lo strumento più moderno, è la causa di tutto? E soprattutto: i pifferai chi sono?
    Scagliarsi contro il cosiddetto “populismo” odierno, considerandolo solo un movimento di “masse” ignoranti e prive di raziocinio, senza fare una analisi ed una critica seria delle cause sociali ed economiche sempre più attuali e drammatiche che lo hanno prodotto, mi pare del tutto sbagliato e controproducente.

    1. Fabrizio, ciao.
      La storiella ben si prestava ad una semplice chiosa finale, ed io l’ho in poche righe proposta.
      Non mi pare che in ciò ci sia nulla di “sbagliato e controproducente”, in quanto ritengo di aver usato la consueta misura nelle mie (serie) parole e di non essermi “scagliato” contro nessuno in particolare.
      Di certo non è questa la sede ideale per più approfondite e articolate analisi socio-politiche o considerazioni sulla psicologia delle masse o sulla “drammaticità” (che tale non vedo affatto perché non sono un “pessimista”) della corrente fase economica.

      1. Caro Riccardo, forse non mi sono espresso chiaramente e mi dispiace: la mia non era una critica al tuo articolo ed al tuo commento (che evidenzia la ovvia possibilità di manipolare le “masse”) ma “visti i tempi”, mi permettevo “qualche spunto di riflessione ulteriore.” basato sulla realtà di oggi.
        La mia critica è diretta a chi (e sono molti), senza alcuna seria analisi critica e/o per interessi di parte, “si scaglia” (basta leggere i titoli di quasi tutti i giornali, o accendere la televisione e seguire qualcuno dei tanti talk show politici) contro i cosiddetti “populisti” accusandoli di ogni nefandezza, vera o presunta, presente, passata e soprattutto futura. Il tutto, lo ripeto, senza che dalla classe dirigente e politica che ci ha governato per molti anni venga fatto un sincero esame di coscienza sulle sue responsabilità.

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