Giocare a scacchi (bene) allunga la vita (forse)
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(Uberto D.)
La relazione tra gioco degli scacchi e intelligenza (non artificiale) è un argomento di cui si è discusso al lungo e ogni tanto ancora si discute. Poche riflessioni invece sono state fatte sulla possibile correlazione tra longevità e pratica degli scacchi ad alto livello. Un recente studio ha realizzato un’analisi comparata tra le aspettative di vita della popolazione, dei vincitori di medaglie olimpiche e dei Grandi Maestri di scacchi.
Lo studio, intitolato “Longevity of outstanding sporting achievers: Mind versus muscle” (“Longevità dei campioni nello sport: mente contro muscoli”), è stato realizzato dai ricercatori australiani An Tran-Duy, David C. Smerdon e Philip M. Clarke ed è stato pubblicato sulla rivista PLOS ONE il 3 Maggio 2018.
Se i nomi di Tran-Duy e Clarke, entrambi ricercatori dell’Università di Melbourne, non vi dicono nulla, quello di David Smerdon, docente di economia all’Università del Queensland, dovrebbe suonarvi più familiare. Già, perchè si tratta del GM australiano David Smerdon, che, a coronamento di una onesta carriera scacchistica, ottenne una bella patta contro Carlsen alle Olimpiadi di Baku del 2016.

Nel loro lavoro, fondamentalmente basato su analisi statistiche, gli autori mettono a confronto l’aspettativa di vita di tre categorie: la popolazione in generale, gli atleti che hanno ottenuto una medaglia olimpica e i Grandi Maestri di scacchi. Il confronto è fatto a partire dall’età alla quale gli atleti hanno ottenuto la loro prima medaglia o da quella in cui gli scacchisti hanno ottenuto il titolo di GM. Le analisi sono anche state segmentate per periodo storico (cercando di eliminare l’effetto qualità della vita nei vari periodi) e per area geografica (sempre per cercare di escludere l’effetto degli stili di vita diversi).
Nell’articolo scientifico vengono descritti Il metodo di analisi e i risultati delle varie elaborazioni sui dati. Qui sotto vi mostro il grafico che meglio riassume le conclusioni del lavoro.

Nel grafico viene rappresentato il rapporto tra l’aspettativa di vita degli atleti medagliati alle Olimpiadi dopo aver vinto la prima medaglia (linea rossa) e dei Grandi Maestri dopo aver conseguito il titolo (linea blu) e gli anni di vita attesi a quella età secondo le statistiche generali della popolazione. Un valore superiore a 1 indica un’aspettativa di vita superiore a quella della media della popolazione: a un valore più alto equivale un’aspettativa di vita maggiore.
Giusto per fare un esempio di come ciò si traduca in termini concreti, consideriamo un atleta che abbia vinto una medaglia olimpica a 25 anni e uno scacchista che sia diventato GM alla stessa età. Trascorsi 30 anni (ovvero quando avranno 55 anni), la loro aspettativa di vita sarà più alta rispettivamente del 9% e del 14% di quella media della popolazione.
Quello che si osserva è che sia gli atleti sia i GM vivono più a lungo della media della popolazione, con gli scacchisti addirittura leggermente più longevi degli atleti (che, per altro, nel campione storico osservato ottengono una medaglia olimpica ad una età mediamente più giovane di quella alla quale gli scacchisti diventano GM). Il grafico relativo ai GM ha però un andamento più “nervoso” e una dispersione dei dati più ampia (l’area in blu chiaro è più ampia di quella in rosso chiaro); ciò si evidenzia maggiormente per le età avanzate, probabile segnale di una dipendenza elevata dal contesto nazionale e dal periodo storico.
Il lavoro scientifico analizza anche i possibili motivi, sottolineando come il luogo comune che gli scacchi siano un gioco sedentario, e per questo motivo meno “salutare”, non si possa applicare per gli atleti di alto livello come i Grandi Maestri, i quali devono comunque essere in perfetta forma fisica per poter competere. Se si considera che anche comportamenti una volta considerati normali (come fumare o bere superalcolici) sono oggi banditi dal regime sportivo anche degli scacchisti, ecco che non è così sorprendente il risultato ottenuto.
L’articolo smonta in qualche modo l’ipotesi che gli scacchisti vivano più a lungo anche in virtù di una maggiore intelligenza (la relazione tra QI e abilità scacchistica non è stata mai scientificamente provata, scrivono gli autori), mentre suggerisce che, in particolare in alcune nazioni, lo status di scacchista di successo sia accompagnato da condizioni di vita migliori.
In ogni caso, si direbbe che puntare a diventare GM possa anche significare un passo nella direzione giusta per vivere più a lungo. Gli esempi di Smysolv, Averbakh (nella foto di apertura mentre a 95 anni gioca con Misha Osipov di 4 anni) e Lilienthal sembrano suggerirlo.

A quanto pare, comunque, Smerdon punta ancora più in alto, combinando il titolo di GM con il bere birra: abitudine che, come tutti sanno, da sola fa campare cent’anni!

Interessante, grazie.
Articolo interessante anche se ricorda quello sulla cioccolata di Bressanini.
😉