Giocare e morire
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(Riccardo M.)
E’ accaduto e accade davvero. Purtroppo non è solo un film. Quanti sportivi sono scomparsi durante la loro ultima partita/gara o durante un allenamento? Tanti. Non consideriamo qui gli sport del motore, né alpinismo o parapendio, sport molto rischiosi e che annoverano un numero di vittime purtroppo a tre cifre.
Guardiamo gli altri, alcuni come gli scacchi quasi in questo senso insospettabili.
Partiamo dallo sci, ricordando l’austriaca Ulrike Maier (deceduta nel 1994), la francese Regine Cavagnoud (2001), la canadese Sarah Burke (2012), ed altre/i. Ma fermiamoci un attimo! Questi nello sci, come quelli nei motori, sono stati soprattutto degli incidenti. A volte la vita si arresta invece per cause naturali durante un semplice sforzo sportivo. Pensiamo ai cestisti Luciano Vendemini nel 1977 e Davide Ancilotto nel 1997, o al pallavolista Vigor Bovolenta nel 2013.
E poi c’è il calcio, con parecchi nomi un po’ in tutto il mondo, alcuni pressoché sconosciuti ed alcuni molto noti: Giuliano Taccola (centroavanti della Roma, nel 1969), Renato Curi (centrocampista del Perugia, nel 1977), Piermario Morosini (centrocampista del Livorno, nel 2012), Antonio Puerta (giocatore del Siviglia, nel 2007), il croato Bruno Boban (marzo 2018), il giapponese Naoki Matsuda (2002). E poi il camerunense Marc-Vivien Foé nel 2003, in una partita di Confederations Cup giocata a Lione dal suo Camerun contro la Colombia. A metà del secondo tempo Foé, che stava per essere sostituito, si accasciò nel cerchio di centrocampo e spirò un’ora dopo.
E sempre nel 2007, anno particolarmente sfortunato, caddero vittime della sorte il capitano degli scozzesi del Motherwell, Phil O’Donnell, il giovane ecuadoregno Jairo Andres Nazareno e Chaswe Nsofwa, zambiano dell’Hapoel Beersheva.
Nel calcio tra le prime vittime italiane è da citare Attilio Ferraris IV, campione del mondo nel 1934, il quale, una volta ritiratosi, nel maggio 1947 tornò in campo per una sfida amichevole. E durante quella partitella morì per un infarto. Nel marzo 2018 la nera sorte ha colpito il difensore e capitano della Fiorentina Davide Astori, deceduto in verità in albergo, poco prima di entrare in campo in una partita del campionato di serie A contro l’Udinese.
Un caso inaudito e particolarmente triste fu quello avvenuto nel 2010 in Croazia al povero Goran Tunjic, dilettante, attaccante del Mladost FC.
Goran (soprannominato il “Pippo Inzaghi di Mladost”) era a terra, crollato all’altezza del dischetto del rigore dopo aver dribblato tre difensori e senza che nessuno lo avesse sfiorato. Stava per morire, ma l’arbitro sospettoso lo richiamò perché lui aveva la fama di “cascatore”: “Si vergogni. Si alzi subito o la sbatto fuori!”. Goran era svenuto e non rispose, quindi il solerte signore in nero estrasse il cartellino giallo: lo ammonì mentre moriva, stroncato da un infarto, mentre un suo compagno, avvicinatosi, gli diceva anche lui di alzarsi “Su, stavolta è andata male, dai”. Troppo male era andata in effetti. Lui non doveva morire, e l’arbitro avrebbe dovuto far qualcosa di diverso in quel momento. Ma al destino non si comanda: la Morte aveva ormai alzato il suo inequivocabile e inappellabile cartellino rosso.
Sembra che una delle cause principali di improvviso arresto cardiaco tra gli sportivi sia la cardiomiopatia ipertrofica, malattia ereditaria che comporta l’ispessimento delle pareti del ventricolo sinistro. Non è mai stato facile distinguere questa congenita alterazione dal semplice “cuore di atleta”, che invece consiste in una ipertrofia del muscolo cardiaco causata dagli intensi allenamenti.
Tra i più esposti pare ci siano gli atleti di triathlon, disciplina particolarmente faticosa. Una ricerca condotta da Kevin Harris, cardiologo della Minneapolis Heart Institute Foundation (Minnesota) ha posto in luce come fra i partecipanti alle Olimpiadi di triathlon dal 1985 al 2016 sarebbero decedute ben 135 persone, la più parte uomini e durante la prova di nuoto. C’è tuttavia da considerare che l’età media dei partecipanti alle gare di triathlon è in genere tra le più alte fra tutti gli sport.
Poi ci sono altre casistiche, però da trattare diversamente. E collegate con diversi problemi. Faccio l’esempio del ciclista danese Knud Jensen, morto sulle strade romane dell’Olimpiade del 1960 e considerato una delle prime vittime del doping nello sport.
Ma veniamo agli scacchi.
Nel 2014, durante le Olimpiadi norvegesi di Tromso, il giocatore di origine svizzera Kurt Meier, di 67 anni, che difendeva i colori delle Seychelles, si è accasciato davanti alla scacchiera e nonostante il pronto intervento dei medici è morto più tardi in ospedale. La notizia ha fatto subito il giro del mondo in quanto per una sfortunata coincidenza la sera stessa fu trovato senza vita un giocatore dell’Uzbekistan nella sua stanza d’albergo, e furono accertate anche in questo caso le cause naturali: infarto.
Nell’estate del 2000 il grande maestro lettone Vladimir Bagirov fu stroncato da un attacco cardiaco nel corso di un torneo in Finlandia. Bagirov era andato in testa al torneo con tre successi consecutivi, nella quarta partita aveva una posizione vincente contro Laasanen. Qui ebbe la crisi cardiaca che lo portò a morire il giorno dopo, il 21 luglio. Bagirov, che due anni prima aveva vinto il campionato del mondo seniores, aveva 64 anni.
Nel giugno del 1952 ad essere colpito da infarto, appena terminata una esibizione in simultanea in Germania, fu l’ucraino naturalizzato tedesco Efim Bogoljubov, all’età di 63 anni.
Nel 1933 Adolf George Olland (nato nel 1867), medico ad Utrecht, una delle personalità allora più in vista degli scacchi olandesi e il più forte maestro d’Olanda prima dell’avvento di Euwe, morì per una crisi cardiaca durante l’incontro, di campionato nazionale, con Hamming. Era l’ultima partita di quel campionato, che fu vinto da Max Euwe. Nella classifica finale venne poi riportato anche il nome del povero Olland, all’ottavo posto con 3 punti su 9.

Facciamo infine un salto (non mortale, per carità!) più indietro, di 130 anni, fino al 1888. Il 20 di giugno morì Johannes Zukertort. Si sentì male appena conclusa una partita di torneo al circolo Simpson’s Divan di Londra. Un medico, subito intervenuto, non poté che constatarne il decesso, forse dovuto ad un edema cerebrale.
Possiamo anche concludere aggiungendo che si è mostrato assai saggio uno dei più noti protagonisti di questo inizio secolo, il grande maestro australiano Ian Rogers, il quale nel 2007 si ritirò dalle ribalte agonistiche, motivando la sua decisione con l’ammonimento dei medici che lo avevano messo in guardia dall’eccessivo stress cui lui si sottoponeva nei tornei.
Ian Rogers di certo non avrà avuto la stessa audacia di Antonius Block, lo straordinario Max von Sydow di una delle scene più suggestive e intense del “Settimo Sigillo”, il film del 1956 del grande Ingmar Bergman. Block/von Sydow sfidò a scacchi la Morte e quasi fatalmente alla fine perse la partita.
Ma io di certo non me la sento proprio di dar torto a Ian Rogers.
VITALE COSIMO
Arbitro Nazionale di scacchi
Ebbe un infarto – in camera – durante i campionati italiani giovanili del luglio 2009 a Courmayeur, che stava arbitrando.