Uno Scacchista

Annotazioni, Spigolature, Punti di vista e altro da un appassionato di cose scacchistiche

Che foto, ragazzi! (1)

10 min read

(Fabio Lotti)
Un viaggio a riscoprire vecchie e nuove immagini. Ricordi, emozioni, sensazioni, riflessioni…

Una carrellata in ordine sparso, così come viene, viene.

Jose Raul Capablanca (foto originale in b/n, colorizzata da Olga Shimina)

In primis Capablanca. Il campione che mi ritorna più spesso in mente. Bello e bravo. Elegante, pettinato e lucidato a puntino come il nostro Valentino rubacuori. La scacchiera e le belle donne, la classe eccelsa, soprattutto nei finali. Che poi quel cornuto di un computer abbia messo in discussione certe partite lascia il tempo che trova e non intacca la sua grandezza. Esteban Canal ha scritto che ha avuto tutti i doni possibili dalla vita e un po’ di invidia me la crea ricordando certe sue foto. Fascinoso.

Samuel Reshevsky in una simultanea tenuta all’età di 8 anni (Francia, 1920)

Segue Samuel Reshevsky da bambino prodigio. Serio, compunto. Me lo ricordo ad una sfida con il fratello meno famoso di Lasker circondato dai grandi e al centro una ragazzetta con lo sguardo interessato su di lui. Da anziano con l’immancabile berretto in testa che fissa Kasparov, ma anche solitario ad un torneo italiano fermo e impettito come un gladiatore. E assieme a lui ecco arrivare l’immagine rinseccolita dell’immarcescibile vecchietto, già citato, Esteban Canal in un bel libro di Zichichi che non riesco più a trovare (dove l’avrò cacciato!).  Due vite per gli scacchi, una grande, inestimabile passione. Indelebili.

Anderssen e Steinitz (a destra) nel 1866

Altra foto rimasta impressa quella del piccoletto Steinitz che gioca con il gigantesco Anderssen. Davide e Golia. A ripensarci un sorriso me lo strappa sempre. Almeno negli scacchi non vince necessariamente la preponderanza fisica. Certo che Anderssen vinceva pure spesso che i suoi attacchi alla baionetta erano micidiali. “Attaccare, sempre attaccare!” gridava come un ossesso. Avercelo davanti non doveva essere un’impresa da poco ed io mi immagino l’assillo dei suoi avversari che dovevano alzare di una buona spanna gli occhi per vederlo tutto. Ma Steinitz era un peperino niente male, duro e scorbutico da morire. Praticamente un gatto attaccato alle palle e non si lasciava intimorire da nessuno. Nella foto citata che lo ritrae nel match a Londra del 1866 se ne sta impettito a braccia incrociate a fissarlo sicuro, mentre il preoccupato sembra proprio Anderssen! Da maturo con il barbone prende le sembianze di un filosofo e me lo ritrovo spiccicato come il busto di una statua di Socrate nell’entrone, detto alla toscana, del palazzo pubblico di Siena dove si radunano i fantini prima del Palio. Granitico.

Alexander Alekhine con il suo gatto, Chess

A proposito di gatti, chissà perché, mi resta indelebile nella mente quello di Alekhine, “Chess” (vedi dove ti porta il pensiero) che un po’ di apprensione me la mette con quei suoi occhietti gialli che brillano minacciosi. E di Alekhine mi rimbalza subito in testa, oscurando tutte le altre,  la scena della sua morte in una stanza dell’albergo ad Estoril.

Adagiato su una poltrona e lì vicino, sopra ad uno sgabello, una scacchiera con tutti i pezzi al proprio posto. Sembra dormire con gli scacchi a fargli compagnia. Tenerezza.

Garry Kasparov

Grinta e forza vitale in Kasparov. Mi sovviene una foto con la faccia deformata dalla tensione ed il labbro sprezzante (in un mio articolo lo denominai proprio Labbrosprezzante) . Energia al massimo grado e lo rivedo, da ragazzotto, insieme a Botvinnik  che un po’ di acciaio nel petto glielo deve avere instillato. Molte foto di questo immenso campione del mondo mi lasciano l’impressione di una determinata ferocia con i lineamenti del volto che spesso si contorcono come a formare una maschera. Nel senso migliore del termine agonistico. Volontà coniugata con una innegabile sapienza. Anche quando sorride. Vulcanico.

Anatoly Karpov nel 1979 a Tilburg

Al suo cospetto, sempre in tema fotografico, Karpov fa la figura del compunto collegiale. Un’aria serena e tranquilla che copre, a stento, una determinazione d’acciaio altrettanto forte. Niente espressioni convulse del viso, ma un atteggiamento, una posa un po’ rigida ed uno sguardo forte e sicuro. Inossidabile sulla scacchiera. Glaciale.

Mikhail Tal all’opera

Di Tal sono gli occhi a colpirmi. Anche se cerco di osservare altre parti del suo corpo lo sguardo corre immancabilmente lì, come attratto da una calamita invisibile. Ce n’è una in particolare con la testa arruffata sopra la scacchiera che sembra prendere fuoco da un momento all’altro. Più scorrono gli anni e più la figura di Tal tende a trasformarsi in qualcosa di “oltre umano”, la faccia scavata dalla malattia, gli zigomi sporgenti, i grandi occhi di fuori. Mefistofelico.

Vasily Smyslov all’inizio degli anni ’50

Tutt’altra impressione Smyslov. Un uomo di altri tempi, garbato e gentile. Foto emblematica. Smyslov con i guantoni che si prepara ad un incontro. I guantoni sono minacciosi ma la grinta è quella di un pacioso apicultore. Dal titolo del suo celebre libro “ In cerca di armonia “ si capisce quale sia stata la costante ricerca di questo grande campione. Per lui gli scacchi erano un’arte e  lo splendido giovanotto di 82 anni che possiamo ammirare a pag. 104 del numero di marzo 2003 di “L’Italia Scacchistica” dai lineamenti dolci e rassicuranti, con i capelli imbiancati dal tempo, in giacca e smagliante cravatta arancione, può a buon diritto rappresentare questa bellezza e questa armonia. La quale, prima di essere nelle cose e nelle idee, è nell’uomo. Signore.

Najdorf tra Keres e Smyslov al Torneo dei Candidati di Zurigo del 1953

Sprizza allegria e gioia di vivere da tutti i pori il Grande Maestro argentino (in effetti è nato in Polonia) Miguel Naidorf. Non c’è una foto che non mi ispiri simpatia. Anche quando è teso nello sforzo dell’analisi il suo volto emana  sempre qualcosa di energico e confortante.  Sue grandi passioni: musica, letteratura, teatro e…le carte! Muore per un attacco cardiaco. E indovinate dove? Nel casinò di una piccola città spagnola. Nemmeno lui avrebbe potuto augurarsi una fine migliore. Vitale.

Su Fischer sono di parte. Ancorché fosse brutto e disgustoso sarebbe per me splendido splendente come recita una canzone della Rettore. Ho cominciato a giocare a scacchi per merito, o per colpa sua, a seconda dei punti di vista. Ma non è, anzi non era, né brutto né disgustoso. Inutile qualche libro, qualche foto per rinfrescare la memoria. Le immagini sono già qui nella testa pronte per essere tirate fuori. Bobby a undici anni al “Manhattan Chess Club” sotto la guida di un Maestro dal nome impossibile, poi giovane ragazzotto dai capelli a spazzola che si mordicchia l’indice della mano sinistra, di seguito insieme e contro i “mostri” dell’ex Unione Sovietica.

Crescendo acquista il fisico ed il portamento da attore di Hollywood con la sua bella giacca celeste, la cravatta dello stesso colore, la camicia bianca a righe azzurre piazzato come un dio davanti alla scacchiera. Lui solo contro tutto un sistema, i grandi scontri, le grandi sfide, le sculacciate agli avversari oltre cortina, l’enorme rimbombo sulla stampa, il trionfo contro Spassky. Poi ancora una trasformazione. Ecco il secondo Fisher con la barba che si allunga e cambia di colore, l’aspetto dimesso, quasi da clochard con il cappellino in testa, il secondo patetico incontro con Spassky. Una decadenza umana, il lavorio del tempo su un corpo che mi ha riportato alla mente tanti idoli giovanili che si sono via via sfaldati nel fisico lungo il corso della vita. Soprattutto quelli del mio paese rivisti dopo tanti anni. Un mito intatto del giocatore, una stretta al cuore, un velo di tristezza per l’uomo. Indimenticabile.

Boris Spassky al Torneo dei Candidati di Amsterdam del 1956

Con Spassky arriva il senso di colpa. L’ho pure quasi odiato e me ne pento. Non proprio odio, no, sto esagerando, ma una specie di fastidio verso un magnifico signore degli scacchi. Come se fosse stato messo lì a intralciare il cammino del golden boy americano. Questa volta mi soffermo a sfogliare le fotografie, quasi a scusarmi di quello stupido sentimento. Eccolo giovanissimo che guarda assorto il suo allenatore Zak ed eccolo, ancor più giovane, già folto di capelli neri, contro Bykhovskij a Mosca nel 1948, entrambi osservati dal ragazzetto Nikitin. Vado avanti e me li ritrovo tutti e tre quasi nella medesima posizione più di mezzo secolo dopo imbiancati dal tempo! La stessa passione che li ha accomunati durante tutta la vita. In una c’è addirittura Che Guevara che lo osserva dietro le spalle a L’Avana nel 1966. Ricordi degli anni sessanta, l’università a Firenze,  le lotte, le contestazioni studentesche che sfilano nella mente come in un corteo (O tempora, o mores!). Poi altre foto famose con Fischer davanti alla scacchiera e un brivido che corre lungo la schiena. In tutte una eleganza, uno stile, una forza composta ma determinata e sicura di persona perbene di cui c’è tanto bisogno. Gratitudine.

Appena ripenso a Lasker mi viene spontaneo un colpo di tosse come se il suo tremendo sigaro fosse qui a sputar fumo. E se non è sigaro è sigaretta che fa lo stesso (o quasi). Lotta, sempre lotta, fortissimamente lotta. E me lo rivedo lì piantato sulla sedia con il baffetto sparviero a fissare l’avversario quasi a volerlo penetrare nell’inconscio. Se ti muovi ti fulmino. L’dea che gli scacchi fossero anche lotta mi rincuorò non poco che già nel cognome potevo sperare qualcosa di buono. Insomma Lasker è lì che ci dice di non giocare in astratto ma sfruttando un po’ le debolezze dell’avversario. E qualche debolezza l’avversario ce l’avrà pure! A dir la verità me lo immaginavo più con la faccia da mastino napoletano con la bava alla bocca che un fringuellino distinto e ben curato, ma gli scacchi non sono botte sul ring. Semmai mi fa venire in mente un vecchietto del mio paese dal fisico mingherlino e dal baffetto spiritello che giocava a dama (gli scacchi erano di là da venire) con una psicologia istintiva sull’avversario. Se questi era impaziente stava anche mezz’ora prima di muovere una pedina fregandosene dei fischi che gli cadevano addosso! E non solo faceva leva sul tempo. Le boccate di fumo che tirava fuori si dirigevano, “involontariamente” e immancabilmente, verso la faccia dell’avversario. Uno dei tanti antenati di Lasker. Gagliardo.

Non so perché ma Tarrash mi ha messo all’inizio un po’ in soggezione. Sarà per le foto di rito che ce lo presentano come un uomo del suo tempo: pince-nez perfettamente calato sul naso, il nodone della cravattona in perfetta evidenza, rigido e impeccabile nella sua posa elegante (non gli pende un capello); sarà per quell’ambiente di terribili mustacchi pettoruti che lo circonda; sarà per il suo credo inflessibile, quel dogma che gli si è appiccicato addosso ma al primo impatto il tremore che ho avvertito mi ha fatto ricordare quello suscitato da certi professori tutti d’un pezzo che ti svergavano un tre non appena deviavi dal loro sacro parere (li mortacci!). D’altra parte non era facile stabilire un buon rapporto con Tarrasch: o con lui o contro di lui. Non c’era verso di restare equidistanti o neutrali. A questa prima impressione se n’è aggiunta un’altra del tutto positiva che ha soppiantato la prima. In un mondo di banderuole al vento mi ha fatto piacere incontrare un uomo tutto d’un pezzo, granitico e massiccio con una fede tenace in se stesso e in quello che credeva.  Non proprio simpatico, via, ma degno di ammirazione sì. Tetragono.

Partita tra Capablanca e Botvinnik, giocata nel 1935

Un po’ quello che è successo anche con Botvinnik che me lo rivedo pure ragazzotto quattordicenne a bastonare in una famosa simultanea di Leningrado (siamo nel 1925) il fascinoso campione del mondo Capablanca. E poi da giovane incravattato e mi sovvengono certe foto nella sua famosa scuola ora con Kasparov, ora circondato da una selva di futuri campioncini come Kramnik, Tiviakov e Shirov.

Botvinnik e Kasparov assieme ai giovani Kramnik, Tiviakov e Shirov

Aspetto tosto, professorale, reso più autoritario dall’aver aperto proprio la scuola suddetta, una vita di impegno e passione che mi ha sempre colpito.

Nella foto del 1976, assieme a Botvinnik, si riconoscono Dorfman, Kasparov e Jussupov

A smorzare l’atmosfera di ferrea autorità tre bei sorrisi che vanno dal 1935 al 1989. Anche i tosti sono umani.

Con Euwe, invece, niente soggezione. Ma guarda un po’. Eppure anche lui un professorone tutto d’un pezzo che tra l’altro ti ha sfornato libri di teoria mica da ridere. Forse condizionato dalla sua vita. Niente colpi di testa, niente tic, niente bizzarrie a rendere colorita la sua esistenza di pur ottimo insegnante e studioso di matematica. Molte attività, è vero, da pugile a nuotatore, da aviatore ad autore di numerose pubblicazioni, tutte svolte, però, con quella razionalità e quel pacato buonsenso espressi anche nel gioco degli scacchi che non attirano certo le simpatie dei biografi. Nelle foto sempre elegante, distinto, composto ma con un sorriso aperto che rassicura. Amichevole.

Che foto, ragazzi!

(Continua)


Fabio Lotti è nato a Poggibonsi (Siena) nel 1946. Laureato in Materie Letterarie, è Maestro per corrispondenza e collaboratore di riviste scacchistiche specializzate. Ha pubblicato vari testi teorici, tra i quali “Il Dragone italiano“, “Gambetti per vincere” e “Guida pratica alle aperture“.
Appassionato anche di letteratura poliziesca possiamo trovarlo sul blog qui http://theblogaroundthecorner.it/category/ospiti/letture-al-gabinetto/, qui http://theblogaroundthecorner.it/category/le-lunghine-di-fabio-lotti/, qui https://www.sherlockmagazine.it/rubriche/l_angolo_giallo_di_fabio_lotti e qui
https://www.thrillermagazine.it/collaboratori/195/fabio-lotti.

About Author

2 thoughts on “Che foto, ragazzi! (1)

Rispondi a ChiccoAnnulla risposta

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Scopri di più da Uno Scacchista

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continue reading