Uno Scacchista

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Serafino Dubois e la difesa delle vecchie regole italiane

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(Bruno Arigoni, con prefazione della Redazione)
Secondo gli storici degli scacchi, il fenomeno della ‘deriva italiana’ che si ebbe a partite dal XIX secolo, era dovuto all’abbandono delle regole di gioco italiane a favore di quelle francesi, che furono acquisite a livello internazionale.
La nostra letteratura scacchistica divenne di colpo obsoleta. L’importanza degli studi italiani arrivata fino al ‘trio modenese’ (Del Rio, Lolli e Ponziani) nel 1800 iniziò a vacillare.

Serafino Dubois si rese conto del pericolo e cercò strenuamente di difendere le regole di gioco all’italiana, ma ebbe il supporto solo di Janisch e di pochi altri illustri scacchisti in ambito internazionale. Altri furono inizialmente d’accordo con Dubois, ma in seguito cambiarono parere.

Lo stesso Dubois finì per scrivere il suo nuovo libro di aperture affiancando il metodo italiano con quello alla francese, forse un ultimo tentativo per non dimenticare le nostre antiche regole.
Tuttavia, analizzando più attentamente il contesto e le circostanze, si comprende che altri fattori storici contribuirono al successivo isolamento dell’Italia, a parte l’abbandono delle regole.
Nell’Ottocento la situazione politica dell’Italia fu di grande fermento e le varie situazioni della vita quotidiana risentivano del clima di incertezza di quegli anni.

All’inizio delle sue memorie il Dubois ricorda la grande epidemia di colera che si ebbe a Roma nel 1837.
Le condizioni di vita erano complicate, il clima di incertezza condizionava la vita di molti e anche lo stesso Dubois avrà difficoltà per mantenere un lavoro sicuro, nonostante la sua grande cultura e le tante conoscenze sociali. Egli ebbe certamente delle delusioni nella vita lavorativa, dovute forse alle sue idee patriottiche non sempre bene accette.

Rimaniamo però nell’ambito delle sole ‘delusioni scacchistiche’.
Come forza di gioco Dubois dimostrò di essere competitivo con tutti anche con le regole francesi. Il che dimostra che pochi dettagli tecnici non sono determinanti nel rendimento agonistico di un giocatore esperto. Provò a prendere parte al torneo di Londra del 1851 ma non ottenne il sostegno finanziario necessario e dovette rinunciare all’idea.

Così scrive Dubois nelle sue Memorie: “(1851) … Intimatosi il torneo di Londra io tentai di andarvi, facendo premura al Duca Caetani, mio amico protettore, perché si mettesse a capo di una sottoscrizione. Più volte lo spiritoso patrizio aveva espresso la sua opinione, che il mio talento abbisognava di un campo di azione più vasto. Ma poi, venuto il momento, sia che il furore del gioco fosse (come era veramente) in lui cessato, sia per non cavare pochi scudi di tasca, cominciò a tergiversare e a prendere la cosa in burletta, e così perdetti la più bella occasione che mi si fosse mai presentata di fortificarmi al contatto dei Grandi Maestri. Chi sa se a quel tempo, essendo più giovane e robusto, non avessi potuto fare miglior figura che non feci nel 1862 già indebolito di corpo e di spirito. Il Wywill, al quale come abbiamo visto io potevo dare qualsiasi pedina e mossa, non prese un secondo premio? …

Oltre a questa prima grande delusione scacchistica Dubois ad un certo punto dovette rendersi conto che per le regole italiane le speranze erano sempre di meno. Probabilmente visse questo fatto come una ulteriore mancanza di sostegno, forse anche una sorta di ‘tradimento’ da parte del movimento scacchistico italiano. In ogni caso, avesse o no l’Italia mantenuto le proprie regole, la strada dell’isolamento scacchistico era ormai tracciata. Le complicazioni politico-storiche e le conseguenti difficoltà pratiche accentuarono poi il fenomeno.

A onor del vero c’è da dire che ci fu sempre in Italia qualche Maestro che ottenne qualche sporadico risultato di valore internazionale, ma non si arrivò più ai livelli di Dubois che dimostrò di essere di pari livello, se non superiore, rispetto ai giocatori più rinomati. Come Verdoni anch’egli fu dimenticato o quasi.

Nel Novecento ha inizio un graduale, lento ‘rinascimento scacchistico’ in Italia e piano piano ci stiamo riappropriando della nostra cultura scacchistica.

Tra i campioni moderni è da notare la grande sensibilità scacchistica di R.J. Fischer, che commentò in un articolo le partite del match Steinitz – Dubois del 1862, equilibrato fino a quando si decise la divisione della posta a prescindere dall’esito del match: a quel punto Dubois si rilassò e Steinitz prese il sopravvento.

Tra Dubois e il resto del movimento scacchistico ci fu, forse per queste incomprensioni sulle regole, una temporanea frattura che non va male interpretata (1). Egli fu sempre stimatissimo all’interno degli ambienti della Accademia Romana e non cessò mai di dare il proprio contributo organizzativo e culturale al movimento scacchistico romano e italiano.

(1) Dubois fece un estremo tentativo scrivendo nel 1874 un articolo intitolato “Giuoco italiano o giuoco francese?” in seguito pubblicato sulla Nuova Rivista degli Scacchi, che ebbe poco seguito tra i principali cultori del gioco. Egli quindi consigliò agli amici di cessare ogni inutile e dannosa resistenza.

Breve descrizione delle regole di “Giuoco all’Italiana”

Le regole italiane sono molto interessanti. Forse meriterebbero di essere riscoperte e utilizzate nuovamente, come ha fatto Fischer con il ‘fischerandom’ (che ripropone una vecchia idea del sorteggio della posizione dei pezzi dietro ai Pedoni sulla scacchiera).

Queste le principali differenze:

1) Non è prevista la presa ‘en passant’ o ‘presa al varco’, ma il ‘passar battaglia’.

2) Era possibile l’ “arrocco libero”. Qui c’è da dire che l’arrocco effettuato in una sola mossa di Re e Torre fu introdotto in Italia e quindi mantenuto fino ai nostri giorni. In Lucena e nei manoscritti di Gottinga e di Parigi il salto laterale del Re avveniva in due mosse: prima la Torre si portava a fianco del Re e poi questo, in una mossa successiva, effettuava il salto. Nelle regole italiane, codificate dal Ponziani, l’arrocco era libero, con facoltà del Re e della Torre di occupare qualsiasi casa intermedia, ad eccezione delle case a1, e1, h1, ammesse invece nell’arrocco ‘alla napoletana’: infatti per Salvio era possibile l’arrocco totalmente libero.
L’arrocco corto in vigore nelle attuali regole internazionali (Re nella casa di Cavallo e Torre nella casa di Alfiere, ovvero Rc.C e Tc.A nella notazione descrittiva abbreviata) veniva chiamato ‘arrocco alla calabrese’ oppure ‘arrocco calabrese’ oppure ancora ‘arrocco alla calabrista’, in omaggio probabilmente a Gioacchino Greco e forse ad altri giocatori calabresi, tra i quali Luigi Cigliarano, considerato dai contemporanei di pari forza, se non superiore, al Greco.
L’arrocco con Rc.C e Tc.R era chiamato ‘arrocco medio’, quello con Rc.T e Tc.A veniva detto ‘arrocco forte’ e infine quello con Rc.T e Tc.R si chiamava ‘arrocco larghissimo’.
Andrebbero ricercate le nomenclature per Rc.T e Tc.C (quando consentito) e Rc.T e Tc.D se l’arrocco avveniva sul lato di Donna.
In ogni caso appare chiaro che la teoria delle aperture nel “giuoco all’Italiana” è più complessa a causa del maggior numero di alternative.

3) Impossibilità a promuovere richiedendo un pezzo ancora esistente sulla scacchiera. Se nessun pezzo mancava, il Pedone rimaneva sospeso e si trasformava automaticamente nel primo pezzo che venisse catturato. La trasformazione automatica non privava del diritto di muovere: se si promuoveva ad un pezzo che dava scacco, per esempio, era possibile muoverne un altro per ottenere uno scacco doppio.

E’ intuitivo comprendere che le regole italiane rendevano il gioco più ricco di possibilità combinative, ma fino ad un certo punto però. Poiché la promozione libera, in vigore attualmente, incrementa le possibilità teoriche in maniera imponderabile (ad esempio i finali con 4 Donne sulla scacchiera, promozione a Cavallo per dare scacco, promozione a Torre per evitare che, con la promozione a Donna, si abbia lo stallo, ecc.).


Bruno Arigoni è nato ad Alatri, in provincia di Frosinone, nel 1965. Maestro di scacchi nel gioco per corrispondenza, nonché Candidato Maestro nel gioco a tavolino. Ha scritto monografie sulle aperture, curato le memorie (1840-80) di Serafino Dubois e svariati articoli di argomento storico, culturale e aneddotico pubblicati sulle riviste «Scacco!» e «L’Italia scacchistica».

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