Uno Scacchista

Annotazioni, Spigolature, Punti di vista e altro da un appassionato di cose scacchistiche

Topatsius, una vittima del cheating?

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(Riccardo M.)

“La plus humble chose a sa vérité silencieuse”  (“La più umile cosa ha la sua verità silenziosa”) – Oscar Vadislas de Lubicz Milosz (1877-1939), poeta lituano-francese.


Tempo fa il mio amico Topatsius volle raccontarmi una strana storia, di cui egli stesso mi disse essere stato protagonista alcuni anni prima.

Ne rimasi piuttosto colpito, in quanto immediatamente accostai alcuni passaggi a certe situazioni che conobbi leggendo, in gioventù, racconti di autori di “soft science fiction”, quali Philip Josè Farmer e James Graham Ballard, ma anche il John Wyndham dell’età matura, quello del noto racconto “Chocky” (1968). Indimenticabile il Chocky: qualcuno ricorda il numero di “Urania” del 1970?

Avendo avuto da Topatsius l’autorizzazione a pubblicarla, vi riporto qui quegli avvenimenti, fingendo che a parlarvi sia la stessa voce di Topatsius:


Quando ero poco più che bambino non esisteva negli scacchi la parola “cheating”. Altri tempi. Era da poco finita la seconda guerra mondiale. Mitici anni Cinquanta. Esistevano a mala pena gli orologi (chi ne possedeva uno era fortunato). Esisteva la “mossa in busta”, magico eccitante rito, con le successive analisi notturne. Fantastiche, le analisi notturne! Negli anni Sessanta iniziai a frequentare il circuito dilettantistico. Io naturalmente non avevo “secondi”, analizzavo da solo le mie partite; però più tardi feci da “secondo”, o finsi di farlo, a un maestro di Kaunas, quindi analizzavo a volte sia per me sia per lui. Serate impegnative e piacevoli.

Ma io volevo girare il mondo, conoscere ad esempio le Cascate del Niagara, che erano il mio sogno, le mie “colonne d’Ercole”. E così successivamente mi trasferii in occidente, Svizzera e Italia, per ultimo Londra. Lasciai il gioco attivo. Conobbi tante persone, anche chi oggi trascrive in più corretto italiano queste mie righe.

Ripresi in mano la scacchiera, quasi per scherzo, parecchi anni dopo il mio rientro in Lituania, alla fine dello scorso secolo. Ripresi insomma a giocare, forse proseguendo nell’errore, nella “commedia degli errori”: un torneo minore e poi anche un torneo “over”. E troppo “over” io ero/sono per capire bene cosa stava/sta succedendo. Ma non me ne preoccupavo all’inizio, perché pensavo che i miei coetanei ultrasessantenni non potessero (ad esempio) pensare al cheating, in quanto era già tanto se, come me, si ricordavano la sede e l’orario di gioco. Si giocava spesso nei pressi del bel parco di Vingis, nel distretto di Žvėrynas, il cui prezioso giardino botanico fu gravemente distrutto il secolo scorso dalla guerra e poi da una inondazione che colpì Vilnius.

Arriviamo al novembre 2010 o 2011, non lo rammento. Ma possiamo tornare a parlare col “presente”. Ormai è fatta, mi sono iscritto. Ha inizio un torneo di qualificazione al campionato nazionale “senior”. Ed io sono più senior di tanti. Dopo i primi tre turni, discretamente giocati (una partita vinta e due patte), mi accorgo che i miei piani e le azioni di gioco non arrivano più spontanei e facili come prima. Di teoria, per giunta, ricordo ben poco. Per di più alcuni problemi fisici, agli occhi, quando la partita si allunga, mi costringono ad uno sforzo che non mi attendevo tanto stressante.

E così giunge, al quarto turno col nero, la prima sconfitta, proprio nella partita da me meglio giocata, una “difesa Nimzowitsch”. Peccato, perché da un lato ero convinto di vincerla per il tempo (e invece c’è la nuova regola dell’incremento, e ovviamente non la ricordavo), dall’altro perché nel medio-gioco avevo trovato un paio di preziose e incredibili mosse che a gioco corretto avrebbero dovuto darmi almeno la parità. Ma la fortuna non è dalla mia parte in questo bel finale. Apprezzo i sinceri complimenti del mio assai meno anziano avversario. Magra consolazione. Poi cala la nebbia.

Perdo anche al quinto turno, quasi senza giocare, contro una gentile signora, mia vicina di casa, Dominykas. Resto coi 2 punti, ormai nella parte bassa del tabellone. Mia moglie Fabija mi chiede se posso rinunciare al sesto turno perché nel tardo pomeriggio passeranno dei parenti a casa. “Non mi sento di rinunciarvi”, le spiego, “scusami con loro, ho una partita … decisiva”. In verità sarebbe stato meglio seguire il consiglio di Fabija, ormai stavo perdendo la fiducia e la concentrazione.

E poi che dire di queste nuove norme anti-cheating? Forse alla nostra età ha un senso farsi perquisire, lasciare a casa il cellulare che soltanto da poco ho imparato ad usare? Mica siamo più in guerra, no? E poi chi vorrebbe vincere una partita col trucco? Nessuno, no? O no? Mah!

Supero il controllo. “Prego, passi pure mister Topatsius, terza fila, scacchiera 22”. Ventidue. Un numero che simbolicamente rappresenta (mia moglie su questo sa tutto) l’eccesso di prudenza, la difesa ad oltranza. Difesa ad oltranza coi colori bianchi? No, mai. Guardo distrattamente il cartellino col cognome di un mio grasso avversario di turno: Darius Stankevičius. Un po’ come in Italia dire: Mario Rossi.

Gioco un’Inglese, chissà perché: non lo avevo mai fatto in tutta la vita. Me ne infischio del 22 e ad un certo momento decido di rischiare un dubbio sacrificio di cavallo in e6; poi ricordo che il 22 ha anche quest’altro di significato simbolico: il sacrificio! Bene. Il Nero è stato sorpreso, non muove per mezz’ora, il suo tempo corre.

E’ la fine di ottobre, fuori una pioggerella umida picchietta sulle vetrate dell’edificio; all’interno, il riscaldamento, complice una sala troppo piccola e troppo illuminata e il groviglio di tubi grigi che passano sulle bianche pareti alle nostre spalle, è anche eccessivo. Mi meraviglio pertanto quando Stankevicius raccoglie il suo orribile giaccone “bomber” a quadroni blu/viola appeso alla sedia e lo indossa sopra il maglione girocollo. Poi penso che forse si stia rivestendo perché lo immagino sul punto di abbandonare e andarsene.

No, non è così… La sua posizione, anzi, inizia a tenere. Appesa ad un filo, ma tiene. Eppure mi pareva di aver trovato la giusta via per sfondare!

31…Ce8! Questa non ci voleva, e chi l’avrebbe immaginata poco fa? Oltretutto Darius sembra anche sofferente, spesso si porta con una smorfia la mano destra sul petto, sul cuore, tra il maglione e il giaccone a quadroni blu/viola. Ed è pure sudato. Ma non si toglierà più quel giaccone! Ed ecco 34… b3, inaspettata. Ora devo pensare a salvare la partita, ma non trovo il perpetuo che pensavo di trovare. Vedo ancora la mano del sudato Darius verso il cuore. Sto più attento: è sempre sullo stesso punto dietro il giaccone a quadroni blu/viola, e sempre dopo pochi secondi muove. E sempre una mossa buona, guarda caso. Troppo buona. Darius si asciuga il sudore con un fazzoletto, che è a scacchi pure questo, ma non molla il suo giaccone-bomber a quadroni blu/viola.

Che fare? Chiamo l’arbitro? Gli dico qualcosa? Una sceneggiata? E se poi fosse tutta una mia impressione da “perdente in pectore”? Vedo le mani, questa volta le mie, fra i miei capelli. Siamo al momento cruciale della partita. Di nuovo il suo braccio destro si piega sotto il giaccone a quadroni blu/viola, nel solito medesimo punto, in corrispondenza di uno stemma giallo a rilievo riproducente quello che mi pare un volto di volpe.

40… Axe3! Sono alle corde e il pezzo in meno non ha ormai più nessun compenso. Tento l’ultima giocata disperata, un trappolone, proprio mentre Darius si alza e va a chiedere all’arbitro di poter andare in bagno.

Mi guardo intorno indeciso. Darius ritorna al tavolo ciondolando il suo capo sul suo corpaccione, si piega sulla scacchiera, guarda (o fa finta di guardare) la posizione. Due ciocche grigie dei suoi lunghi capelli sfiorano il Re nero ormai quasi al sicuro. Il suo cuore pare spezzarsi sulla scacchiera. Ma resiste. Il suo sguardo non è mai rivolto verso di me. Fa una smorfia e muove. Non ci è cascato, come temevo. Non ci speravo più. Quei quadroni blu/viola e quel quadro giallo con il volto di volpe mi scompigliano le idee, già confuse per conto loro. Gli occhi sottili e furbi della volpe mi pare quasi si spostino, mi fissino, mi seguano, mi leggano il pensiero…. mi rubino le mosse.

Sono troppo incerto e stanco per decidere qualsiasi cosa, una cosa diversa e dirompente dalla semplice, antica consuetudine di allungare la mano e abbandonare la partita: 0-1. Sento la sua mano sotto la mia, sudata e gonfia, grassa, bugiarda. Prendo la penna. Mi cade sotto la sua sedia. Lui la raccoglie e me la porge, senza una parola. Firmiamo il cartellino.

Non voglio parlare con nessuno. Esco da quell’inferno caldo. Ho anche dimenticato sul tavolo il formulario. Finalmente respiro, in strada! Torno a casa con sensazioni contrastanti, quasi certo di essere stato battuto poco sportivamente. Forse da una volpe? Oppure?

Vilnius (foto di Augustinas Žemaitis)

E’ buio, sta ancora piovigginando e accelero il passo. Sento in lontananza il rumore sordo, continuo e amico, del Neris, il mio fiume lituano, dove da bambino in estate facevo il bagno immaginando che poche centinaia di metri più a valle le sue acque si gettassero nelle mitiche Cascate del Niagara (che invece si trovano dall’altra parte del mondo!).  

Il lastricato, fra le antiche e caratteristiche casette di legno di Žvėrynas, è piuttosto bagnato e sdrucciolevole. Si sta alzando un vento freddo. Le mie immaginazioni e distrazioni non sono finite…. Scivolo su alcune foglie sopra un pietrone, cado …. Sento un colpo alla spalla sinistra, guardo la mia mano sinistra sbucciata e leggermente sanguinante. Davvero non è questa la mia serata! Un giovanotto e la sua compagna mi danno una mano per rialzarmi: “Si è fatto male, signore?”.No, grazie, non ho bisogno di aiuto, è stato un attimo di disattenzione senza conseguenze … almeno credo. Grazie, grazie”.

Lo sport -penso (ma gli scacchi sono uno sport?)- hanno bisogno di forza e lucidità, di preparazione fisica, di gioventù, di pazienza. Non fanno più per me. E con questi pensieri apro finalmente il portone di casa. La spalla mi duole.

E’ tardi, mia moglie è già a dormire, è inutile svegliarla per una sciocchezza così. Sui fornelli noto una zuppa di verdura tenuta in caldo per me. Ma non ho appetito per niente. Mi disinfetto la ferita alla mano e dopo un po’ raggiungo mia moglie nel letto. Ho dei pensieri confusi, o forse nessun pensiero, non so, e fatico a prender sonno, tanto davvero fatico. Mi tornano alla mente le serate scacchistiche giovanili passate ad analizzare tutte le continuazioni possibili dopo la “messa in busta”. Le analisi notturne! Qui ormai cosa resta da analizzare e creare? Più nulla, ormai. Più nulla: la partita è finita, non c’è più. E non ci sono più buste. E non serve nessuna sala-analisi. 

 

E’ l’alba. Apro gli occhi, sento la voce di mia moglie: 

F. “Tesoro, sono quasi le 8,00, non ti alzi stamattina?”.
T. “Sì, scusa, mi sentivo troppo stanco questa notte e ho faticato ad addormentarmi, ho dormito pochissimo”.
F. “Capisco, tesoro, però dovresti dirmi che ti è successo ieri sera e cosa è successo al tuo giaccone-bomber”.
T. “…. Il mio giaccone??”
F. “Sì, quello nuovo coi quadroni blu/viola, quello con in rilievo sul petto il viso di volpe, che ti piaceva tanto e hai voluto comprare per forza in primavera all’ipermercato e che indossavi ieri”
T. “Ah! …. Oddio, cosa mi è successo? Sai, non mi ricordo più bene ….”
F. “Sì, il giaccone era bagnato di pioggia e sporco di fango, sporco anche di sangue all’altezza del cuore, e strappato proprio in corrispondenza di quello stemma con il viso di volpe. La volpe non c’è più. E ora mi sto accorgendo che sei anche ferito alla mano sinistra …. Perché non me lo hai detto subito, perché non mi hai svegliato ieri sera?”
T. “….. No, no. Non preoccuparti. Nulla di grave, non è nulla di grave. Un momento di distrazione e intontimento, ieri. E’ già tutto passato. Passato…. Sai, ho deciso di non giocare questa sera ….. Sì, sarà meglio non giocare. Andremo a teatro stasera, ti va? …. Sì, a teatro a vedere quella commedia che ti piaceva tanto, quella che avevamo visto da giovani a Londra, al Royal Strand Theatre …. Non mi ricordo il titolo”
F. “Forse ti riferisci a ‘La commedia degli errori’? Certamente, sì, volentieri, se stai bene. Dev’essere ancora in programmazione qui al “Drama”
T. “Sì, proprio quella, amore: La commedia degli errori …. Sì, certo, sono convinto che ci piacerà ancora, vedrai”. The Comedy of Errors!


“Stretta, come le parole nei sonetti, nella sua cornice di rive,
obbedendo ai canoni, scorre l’epica acqua del fiume,
come gli eventi in perenni poemi, come l’albero
della canoa che portava Hiawatha,
e come il fumo grigio del tabacco, contorto dal vento,
che si levava nella quiete del meriggio dal suo calumet;
lenta come un tempo la Santa Maria di Colombo
veleggiava adagio, nella brezza medioevale.
Ed ecco, a un tratto, l’orlo del precipizio…”

Da: “Le cascate del Niagara” di Eduardas Mieželaitis (1919-1997, traduzione di Paolo Statuti)

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