Variazioni eterodosse: le rivoluzioni (fallite) sulla scacchiera
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(Adolivio Capece)
Uno degli aspetti peculiari degli scacchi è la ‘resistenza’ ai molti tentativi di modificare il gioco classico che nel corso dei secoli sono stati proposti. Abbiamo visto nel ‘post’ su Asimov che il grande scrittore di fantascienza ha ipotizzato che anche tra centomila anni gli scacchi saranno uguali ad oggi.
Eppure sin dal Medio Evo ci sono state ipotesi di modifiche alla forma della scacchiera o tentativi di ampliamento delle sue dimensioni, per non parlare dei tentativi di introdurre nuovi pezzi. Tutto questo continuò soprattutto nel Settecento e nell’Ottocento, ma sempre senza successo.
Comunque quasi tutte le variazioni proposte al gioco, ai pezzi e anche alla scacchiera, sono poi confluite in quelli che modernamente sono definiti “scacchi eterodossi”.
In particolare nella vasta gamma degli ‘scacchi eterodossi’ sono entrati molti dei pezzi ideati in passato, che con nomi aggiornati sono utilizzati modernamente dai ‘problemisti’. I nuovi pezzi ideati in passato erano in molti casi una diretta conseguenza dell’idea di ampliare la scacchiera.
Non è possibile parlare qui di tutti i pezzi eterodossi e di tutti i tipi di gioco eterodosso poiché richiederebbe troppo spazio, quindi ci limiteremo ai tentativi e alle innovazioni principali, ma non senza aver ricordato che una quarantina di anni fa qui in Italia ebbe un periodo di grande successo l’AISE (Associazione Italiana Scacchi Eterodossi), che organizzò molte gare e tornei anche di livello internazionale.
Relativamente all’idea di ampliare la scacchiera, una delle prime testimonianze storiche risale a Tamerlano (in persiano significa ‘Timur lo zoppo’) il grande conquistatore (1336-1405), che giocava su una scacchiera di 11×10 caselle: tra i ‘nuovi pezzi’ che ideò, sono da ricordare il ‘Cammello’, che muoveva come il Cavallo ma lungo la diagonale di un rettangolo 2×4, quindi per esempio da b1 saltava in c4, e la ‘Giraffa’ che muoveva di un passo in diagonale e poi di tre in senso verticale o orizzontale (per esempio da b1 in c5 o in f2) ma senza poter saltare.
Tamerlano ideò anche una scacchiera rotonda, anticipazione della eterodossa scacchiera cilindrica.
Quanto all’ideazione di nuovi pezzi, è da ricordare che già nel XIII secolo nella raccolta ‘Bonus Socius’ si parlava di un pezzo che abbinava il movimento della Torre e dell’Alfiere.
Poi nel 1561 Ruy Lopez parlò della ‘Donna cavallotta’ che univa il movimento della Donna a quello del Cavallo, oggi conosciuta nel mondo del problema come ‘Amazzone’.
Mentre nel 1617 Pietro Carrera, proponendo una scacchiera di 10×8 caselle, aggiunse due pezzi: il ‘centauro’ o ‘alfincavallo’, pezzo che abbina il movimento dell’Alfiere e del Cavallo e oggi è noto come ‘Principessa”, e il ‘campione’ o ‘roccocavallo’, che abbina il movimento della Torre e del Cavallo, pezzo oggi conosciuto come ‘Imperatrice’.
Innegabilmente comunque l’idea più diffusa in ogni epoca è stata quella di ampliare la scacchiera portandola a 100 caselle, quindi 10×10.
Qui dobbiamo fare una digressione e parlare dei ‘cugini’ della Dama.
Oggi la specialità ufficiale della Federazione Mondiale della Dama è la cosiddetta “dama internazionale” che si gioca su damiera appunto di 100 caselle.
E’ stata scelta come ‘specialità ufficiale’ date le molte differenze tra Nazione e Nazione nel gioco sulla damiera di 64 caselle (8×8, come la nostra scacchiera).
Stando alle ricerche storiche, l’ideazione della dama risalirebbe alla seconda metà del 1200 dopo la proibizione di giocare a scacchi da parte del re di Francia Luigi IX, poi canonizzato come San Luigi, nel 1254 e alla successiva condanna “ufficiale” degli scacchi da parte della Chiesa in occasione del Concilio cosiddetto Biterrense, riunito a Bèziers, che nel 1255 confermò la decisione di Luigi IX.
In pratica l’ideazione del gioco della dama sarebbe stata dovuta al desiderio di avere comunque un gioco da tavoliere ma totalmente diverso dagli scacchi e che quindi non rientrasse nella proibizione di Luigi e nella condanna ecclesiastica. Per evidenziare totalmente le differenze si costruì anche un tavoliere (damiera) di 100 caselle, che però inizialmente non ebbe molta diffusione, dato che era più comodo giocare sul normale tavoliere di 64 caselle, detto ‘damiera’, che era ruotata comunque di 90 gradi per differenziarla dalla ‘scacchiera’.
Il gioco della Dama su tavoliere di 100 caselle rimase così nell’ombra per quasi quattro secoli, ovvero fino ai tempi di Luigi XIV, il Re Sole (1638-1715), quando cominciò a diffondersi a corte e tra i nobili dell’epoca, per avere poi il vero momento di grande diffusione ancora più tardi, all’epoca di Napoleone, quando il gioco fu conosciuto come ‘dama polacca’ dalla nazionalità di un ufficiale dell’esercito francese, che – intorno al 1795 – ne modificò alcune regole, modernizzandole (un po’ quello che era accaduto con gli Scacchi ai primi del Cinquecento, quando era stato ampliato il movimento della Donna e dell’Alfiere e introdotto l’arrocco in una sola mossa) e dedicò la nuova versione al Bonaparte, che se ne appassionò (la giocava, sembra, meglio degli scacchi) e quindi ne favorì la diffusione durante le varie campagne militari.
En passant ricordiamo che questa versione del gioco è stata più volte immortalata nelle sue tele dal pittore francese Matisse.
Forse fu proprio il tavoliere per il gioco della dama a far sì che già nel XVII secolo Francesco Piacenza proponesse un ‘arciscacchiere’ di 100 caselle (10×10) inserendo a fianco di Re e Donna – prima dell’Alfiere – due nuovi pezzi: da una parte il ‘centurione’ e dall’altra il ‘decurione’.
E forse a lui si ispirò Giuseppe Ciccolini (morto a Roma nel 1833) primo presidente della Accademia Scacchistica Romana, che nell’opera “Tentativo di un nuovo gioco di scacchi” propose di nuovo la scacchiera di 100 caselle inserendo a fianco di Re e Donna – anche in questo caso prima dell’Alfiere – un unico nuovo pezzo denominato ‘Elefante’ e come innovazione modificò il movimento di alcuni pezzi.
Forse in qualche modo imparentato con Giuseppe, va ricordato Teodoro Ciccolini Silenzi, nobile romano, vissuto nella prima metà dell’Ottocento, che scrisse “Del Cavallo degli Scacchi”, edito a Parigi nel 1836, parlando del giro di Cavallo proprio sulla scacchiera di 100 caselle (ma analizzò anche il giro sulla scacchiera tradizionale di 64 caselle).
E facendo un salto in avanti nel tempo, ricordiamo che perfino Capablanca, dopo la sconfitta con Alekhine, propose di passare alla scacchiera di 100 caselle “per aumentare la difficoltà del gioco”, inserendo, accanto al Re, il “Duca” (Torre più Cavallo) e accanto alla Donna il “Templaro” (Alfiere più Cavallo), con la possibilità per i Pedoni alla prima mossa di avanzare di tre caselle e per il Re nell’arrocco di spostarsi di tre caselle.
Torniamo al Settecento. Una delle novità proposte fu la scacchiera per il “gioco a 3”: può essere divertente notare che ancor oggi ogni tanto qualcuno afferma di aver ‘inventato’ gli scacchi a 3 e la notizia trova ampio spazio sui mass-media.
In realtà la scacchiera per il gioco in 3 è già ben descritta nell’opera “Il giuoco degli scacchi fra tre”, edito a Napoli nel 1722, ed opera di Filippo Marinelli, capitano del genio dell’esercito napoletano.
Consentiva il gioco ai Bianchi, ai Rossi e ai Neri. Alla scacchiera normale venivano aggiunte 24 caselle (8×3).
Il libretto ebbe varie traduzioni, compresa una in inglese dedicata alla duchessa di Northumberland.
La scacchiera di Marinelli non dava però le medesime possibilità ai tre giocatori: così nel 1837 venne ideata una miglioria con l’aggiunta di 32 caselle (8×4) invece che 24. Poi dopo una ulteriore versione del marsigliese Antoine Demonchy nel 1882, il gioco a tre fu praticamente dimenticato.
Nell’ambito del ‘gioco a tre’ è comunque da ricordare la scacchiera ‘esagonale’ (vedi foto) proposta dal viennese Siegmund Wellisch nel 1912, con regole peculiari sul movimento dei pezzi in gioco; sulla stessa scacchiera nel 1949 il polacco residente a Londra Wladislaw Glinsky fece una versione per il gioco a due, mentre nel 1975 l’inglese, ma residente in Australia, Anthony Patton, elaborò le regole per un classico gioco a tre con tutti i pezzi tradizionali.
Ma il successo del gioco si verificò nel 1976 (echi del match Fischer-Spassky?) quando Glinsky con la sua versione per il gioco a due (rispetto al gioco normale c’erano 3 Alfieri e un Pedone in più) riuscì a costituire la Federazione Inglese per gli Scacchi Esagonali, che divenne Federazione Internazionale nel 1980 e arrivò addirittura all’organizzazione del campionato del mondo nel 1987.
Proposte di variazioni al gioco sono nate dall’idea degli scacchi come battaglia. Ricordiamo per esempio Francesco Giacometti, nato in Corsica e poi trasferitosi a Genova, che pubblicò nel 1793 “Il Giuoco della Guerra”, riprendendo alcune caratteristiche degli scacchi cinesi: per esempio la scacchiera divisa da un fiume e l’inserimento tra i pezzi del mortaio (o cannone).
La scacchiera era composta da 153 caselle e in campo c’erano soldati e trincee, così da riprodurre una vera e propria battaglia.
Il volumetto ebbe varie edizioni in italiano e non solo fu tradotto in francese ma, udite udite, anche in … napoletano!
Finora abbiamo parlato quasi solo degli italiani, ma anche all’estero gli scacchisti innovatori non sono stati da meno.
Già negli antichi poemi medievali si faceva menzione di una ‘variante’ al gioco tradizionale diffusa nelle nazioni del nord Europa: era il ‘Kurier Spiel’ (Gioco del Corriere) che si svolgeva su un tavoliere di 12×8 caselle.
Oltre ai pezzi normali degli scacchi il gioco prevedeva per ciascuno due ‘Corrieri’, in pratica due Alfieri, poi un Consigliere, che muoveva come il Re, poi uno Schleich, che poteva muovere di un solo passo in orizzontale o in verticale, e poi altri 4 Pedoni.
I 12 pezzi venivano posti sulla prima (ovvero ottava) traversa, i 12 Pedoni sulla seconda (ovvero settima).
Questa variante venne immortalata in un quadro dall’olandese Luca da Leida, nome italianizzato di Lucas van Leyden, pseudonimo di Lucas Hugenszoon (1494-1533), pittore e incisore, tra i primi ad impiegare la prospettiva aerea nelle stampe.
Il dipinto, “I giocatori di scacchi” del 1508, è oggi conservato a Berlino.
A questo punto dobbiamo ricordare Lord Dunsany (1878 – 1957), cui dedicheremo un ‘post’ prossimamente.
Egli è noto soprattutto come scrittore, anche se scrivere non fu tuttavia la sua unica passione; si interessò infatti di cricket, caccia, tiro a segno (fu campione irlandese di pistola) e soprattutto di scacchi: era un buon giocatore, tanto da riuscire a pattare con Capablanca in una simultanea.
Lo ricordiamo perché (nel 1940 stando a lui, nel 1942 secondo altri) inventò una variante (eterodossa) del gioco che porta il suo nome, in cui il Nero gioca con i 16 pezzi regolamentari mentre il Bianco schiera sulla scacchiera 32 pedoni: muove per primo il Nero che vince se cattura tutti i Pedoni, mentre il Bianco vince se riesce a dare scacco matto.
Per questo e per i suoi problemi basati sulla analisi retrograda molti considerano Lord Dunsany padre dei ‘fairy chess’. Da ricordare che la dizione ‘fairy chess’ fu proposta nel 1914 dall’australiano Henry Tate in alternativa alla dizione ufficiale della FIDE ‘heterodox chess’ (scacchi eterodossi).
Non possiamo non fare un accenno agli scacchi ‘tridimensionali’, ricordando che quelli celebri di Star Trek vennero ideati apposta per la serie ma all’inizio senza regole precise; le regole poi vennero stabilite probabilmente prendendo spunto di una serie di articoli del problemista inglese Thomas Dawson (1889-1951) pubblicati nel 1926 sulla rivista ‘Chess Amateur’, in cui si parlava di 5 scacchiere sovrapposte, ciascuna di 25 caselle (5×5).
Ricordiamo poi che nel già citato ‘post’ su Asimov abbiamo detto che nel racconto ‘A Perfect Fit’ lo scrittore descrisse un gioco di scacchi in cui si giocava con otto scacchiere impilate una sull’altra: si trattava di un’idea proposta dal tedesco Ferdinand Maack (1861-1930).
Sembra che il primo a proporre un gioco tridimensionale sia stato nientemeno, nel 1851, che Lionel Kieseritzky, il quale, ma non ci sono prove, lo avrebbe proposto ad Adolf Anderssen durante il torneo di Londra.
E arriviamo ai giorni nostri, con la proposta del mitico Bobby Fischer di ‘sorteggiare’ la posizione dei pezzi, che ha dato luogo al ‘fischerandom’ noto anche come ‘Chess960’.
L’idea aveva come presupposto il desiderio di controbattere la ‘superiorità’ dei computer (o meglio dei programmi software) ma all’atto pratico non ha avuto successo, dato che alla fine i software hanno prevalso anche in questa variante.
Quella di Fischer non era però un’idea del tutto nuova: era già stata avanzata a metà Ottocento dall’olandese Elias van der Hoeven e in precedenza, nel Settecento, in embrione, da suo zio Jules Filippe van Zuylen Nyevelt: in pratica Fischer ha solo migliorato l’idea limitando il numero delle possibili posizioni dei pezzi a 960 (da cui il nome) mentre per i due olandesi e per i loro epigoni tutte le posizioni possibili erano accettate.
Storicamente fu il conte Jules Filippe van Zuylen Nyevelt (Rotterdam 5.1.1743 – Utrecht 20.2.1826) il primo a proporre di disporre i pezzi a caso dietro ai Pedoni in modo uniforme tra Bianco e Nero e lo fece in un suo manuale dedicato ai principianti.
Personaggio importante il conte Jules, che, intrapresa la carriera militare, divenne generale, poi Consigliere di Stato e infine alto comandante delle truppe batave.
Come scacchista fu il primo trattatista olandese e, oltre a scrivere manuali per imparare, fece studi approfonditi sui finali di Re e Pedoni.
Jules ideò anche una scacchiera ‘per signore’ in cui i Pedoni erano rappresentati da cuori e la Donna da una stella a otto punte.
L’idea di van Zuylen fu ripresa da un suo nipote, l’olandese Elias van der Hoeven (1778-1858) che fu un grande propugnatore della disposizione “casuale” – ma uguale per i due schieramenti – dei pezzi sulla prima traversa, variante che però non sembra abbia trovato molti seguaci.
Comunque nel 1844 Elias giocò due match con tale colonnello P. Michaels, perdendo 5.5-3.5 quello a gioco classico e vincendo quello con i pezzi messi in modo casuale per 5 a 1.
Inoltre nel 1851 a Baden-Baden giocò con questo sistema una partita con von der Lasa (nero).
Passarono sessanta anni di apparente silenzio su questa idea, poi ecco che nel novembre 1911 una partita con questo sistema venne giocata a Berlino tra Frank Marshall (con il Bianco) e il tedesco Erich Cohn (1884-1918, medico, maestro internazionale, morto in guerra).
La partita venne riportata da “L’Italia Scacchistica” nel fascicolo di febbraio 1912.
Ma poi il sistema tornò nell’oblio fino al 1921, quando su “L’Alfiere di Re” del 15 ottobre apparve un articolo dal titolo “Varietà scacchistiche – la rivoluzione anche sulla scacchiera?”.
Particolarmente interessanti le prime righe dell’articolo. Vediamole:
“I numeri di luglio e agosto u.s. della Rivista Scacchistica Svizzera contengono due articoli interessantissimi, sopra una possibile modifica del nobil giuoco. Sebbene riteniamo che non si tratti di una idea del tutto nuova, pur tuttavia crediamo utile farne un breve cenno, perché noi siamo persuasi che in avvenire l’innovazione finirà per imporsi. Sembra anzi, secondo quanto ci viene riferito proprio in questi giorni, che in Svizzera sia già molto in voga.”
Venivano poi proposte tre possibilità, aggiungendo alla ‘classica’, in cui i pezzi sono disposti in modo uguale per i due schieramenti, due ipotesi ‘nuove’, ovvero la possibilità per ciascun giocatore di mettere i pezzi sulla prima (ottava) traversa come desiderava e il poter mettere i pezzi disposti in modo ‘simmetrico’ (per esempio il Bianco ha il Re in h1 e una Torre in g1 e allora il Nero ha il Re in a8 e una Torre in b8, ecc.).
L’articolo terminava ipotizzando che “sparirà la teoria /…/ inizierà un’epoca di uguaglianza scacchistica perché, sparita la teoria, tutti si ritroveranno al principio della partita nelle identiche condizioni. Purtroppo però durerà poco perché sarà anche fatale che il giocatore più forte debba presto aver ragione di un avversario inferiore.”
Anche in questo caso, tuttavia, non sembra ci siano stati poi ulteriori sviluppi.
Tanti dunque i tentativi di modificare il nostro magnifico gioco e probabilmente ce ne sono stati altri di cui ancora non siamo a conoscenza e altri ce ne saranno in futuro.
Ma gli Scacchi hanno sempre resistito e continueranno a resistere.
Così ha scritto Massimo Bontempelli (1878-1960):
“Il gioco degli scacchi preesisteva probabilmente alla apparizione dell’uomo e forse anche alla creazione del mondo. E se il mondo ripiomberà nel caos e il caos si dissolverà nel nulla, il gioco degli scacchi rimarrà, immutabile, fuori dello spazio e del tempo, partecipe dell’eternità delle idee.”