Uno Scacchista

Annotazioni, Spigolature, Punti di vista e altro da un appassionato di cose scacchistiche

La scacchiera davanti allo specchio

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(Mrs. P.)

Il grande scacchista vive certamente in quel clima di sacra idiozia in cui stanno immersi i matematici e i musicisti.”

Così scriveva Massimo Bontempelli in un articolo relativo alla partita in simultanea, e alla cieca, contro dieci avversari, del grande Alekhine del 26 Marzo 1923, svoltasi presso i locali della Società Artisti e Patriottica.

[La foto di apertura è di René Maltête]

Con la sua affermazione Bontempelli non intendeva affatto denigrare l’arte degli scacchi, al contrario: ne era totalmente affascinato, tanto che, proprio a tema scacchistico, aveva pubblicato nel 1922 uno dei suoi più noti romanzi brevi “La scacchiera davanti allo specchio”. Confesso che non lo avevo mai letto.

Recentemente nel libro della Sellerio “Cinquanta in blu – Storie” mi sono imbattuta in un racconto di Antonio Manzini che narra l’epilogo di una datata compagnia teatrale. E cosa c’entrano gli scacchi con l’epilogo di una compagnia teatrale, domanderete voi?  E, soprattutto, cosa c’entra Bontempelli? C’entrano, eccome! La storia narra che la compagnia  in questione, decide di portare in scena, come sua ultima fatica teatrale  e come addio alle scene, proprio questo testo di Bontempelli.

Passato attraverso diverse fasi artistiche, dal classicismo al futurismo, a seguito del contatto con le nuove avanguardie letterarie parigine questo autore divenne uno dei protagonisti del cosiddetto “realismo magico”, assieme ad Alberto Savinio, Giorgio De Chirico ed altri.

De Chirico – L’enigma dell’arrivo

Nei suoi racconti, “Eva ultima” e “La scacchiera davanti allo specchio”, ci presenta uno stile ispirato all’arbitrio irrazionale e alla casualità apparente dei sogni, una impostazione di scrittura che coincide in gran parte con gli enunciati del Primo Manifesto del Surrealismo di André Brèton del 1924.

Essendo appassionata delle arti sceniche (nonché io stessa attrice amatoriale) e con un marito scacchista, un racconto che presentasse un connubio fra teatro e scacchi non poteva che intrigarmi.

Non disponendo immediatamente del testo di Bontempelli, grazie ai potenti mezzi della rete sono riuscita a trovare, ed ascoltare, una piacevolissima versione radiofonica de “La scacchiera davanti allo specchio” del 1955.

Questo racconto ricorda da vicino il più famoso “Alice attraverso lo specchio” di Lewis Carroll. Nella storia compaiono due elementi da sempre carichi di significato: lo specchio, come mondo a rovescio, e gli scacchi, come metafora della vita. Le immagini prendono forma, come entità autonome in un dedalo di illusioni, in un continuo scambio tra “di qua” e “di là”, tra realtà e mondo onirico. L’immagine e la persona si equivalgono in un regno in cui, a dettar legge, è il Re Bianco degli scacchi.

Il protagonista è un ragazzino, chiuso per castigo in una stanza alquanto disadorna. Intorno a sé altro non c’è che un caminetto, sul quale sono poggiati uno specchio e, di fronte a questo, una scacchiera con i suoi trentadue pezzi che vi si riflettono. L’immagine speculare del Re Bianco prende improvvisamente vita e, quale novello mentore, con voce suadente invita, ed aiuta, il ragazzo a passare dall’altra parte dello specchio. Nel mondo dietro lo specchio si muovono in primo piano i trentadue pezzi degli scacchi, quasi degli automi, dotati di parola e di vita. Via via intorno al ragazzo si palesano immagini di personaggi a lui noti o meno: la nonna, un ladro, due facchini ed altri ancora, personaggi che vi si erano specchiati ancor prima che il ragazzo nascesse.  La loro immagine era stata “catturata” dallo specchio e da questi custodita intatta nel tempo come nel momento in cui vi si erano specchiati: immagini intrappolate, e inalterate, come solo i ricordi possono esserlo. Il ragazzo si ritrova perciò in un mondo surreale, in cui le persone non invecchiano, non hanno bisogni, non fanno nulla: almeno fintanto che lo specchio…

Claude Cahun, 1928 (Courtesy of the Jersey Heritage Collections)

Il racconto si articola in tre sezioni ben distinte: la prima introduce il lettore nel mondo dello specchio, con le sue dimensioni e i suoi personaggi; la seconda, dopo una iniziale scena di ballo e di lotta, vede il ragazzo esplorare il luogo elevato ove regna un personaggio inquietante e misterioso, “il manichino”; la terza propone una fantasmagorica partita a scacchi. Questi ultimi, pur non essendo i veri protagonisti del racconto, rivestono tuttavia un ruolo fondamentale quali strumenti di molteplice rappresentazione della realtà, dove il bianco si contrappone al nero, il forte al debole e così via, dove lo specchio riflette, forse, la vera essenza dei personaggi che vi si sono rimirati nel tempo e che i pezzi degli scacchi, in un certo senso, sintetizzano nella loro essenzialità e interpretabilità, in un equilibrio tra due opposti che, respingendosi, si attraggono.

Nel racconto le immagini che nel tempo si sono riflesse nello specchio si animano in quel mondo al di là del vetro, vivono un’esistenza libera, con l’unica preoccupazione di riapparire ogni volta che qualche umano vi si specchi.

L’aspetto interessante della storia è che le immagini riflesse finiscono per rappresentare la realtà più “vera”, che sopravvive alla morte delle persone per vivere eternamente al di là dello specchio; contrariamente le figure umane diventano ombre contingenti, che scompaiono.

Il ragazzino protagonista della storia, con l’ingenuità tipica della sua età, ammaliato e intrappolato dal fascino dello specchio e dalle lusinghe del Re Bianco, riuscirà tuttavia a tornare alla “sua” realtà. Ma come?

Non voglio togliervi il piacere di scoprirlo: buona lettura! (o buon ascolto!)

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