Bizzarre aperture con W.H.K. Pollock
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(Riccardo M.)
Prima di passare alle bizzarrie, gettiamo seriamente uno sguardo alla carriera di Pollock, che non era un giocatore professionista ma un medico chirurgo. Perciò era un dilettante, ma un dilettante che seppe elevarsi spesso al livello dei migliori professionisti del suo tempo.
Già! Ma di che tempo parliamo? William Henri Krause Pollock era nato il 21 febbraio del 1859 in Inghilterra, nella deliziosa ed elegante cittadina termale di Cheltenham. La sua famiglia era di origine irlandese e lui tornò a studiare medicina a Dublino, dove lo si vedeva quasi tutti i giorni entrare al Dublin Chess Club. Nel 1882 si laureò e, curiosamente, fu una rivista di medicina (“The Practical Farmer”) a pubblicare la sua prima partita a scacchi.
Questo grafico, pubblicato sulle pagine di Edo Historical Chess Rating, dimostra anzitutto che Pollock non era un pollo. Che qui non si sta parlando di uno qualunque, del primo che per caso entrava in un club di scacchi irlandese nell’800.
Le cronache s’interessarono per la prima volta di lui quando vinse nel 1884 il torneo “B” di Bath (7 punti su 10). Pollock era tornato in Inghilterra, a svolgere la professione di chirurgo. Aveva già 25 anni, ma a quel tempo non esistevano negli scacchi i bambini-prodigio di oggi né la quantità di tornei internazionali di oggi, pertanto la gavetta e la crescita (professionisti o dilettanti che fossero) erano lente e non facili.
Il 1885 fu l’anno della svolta, con il bel 4° posto al Torneo di Londra (p. 10,5 su 15) e la vittoria nel campionato d’Irlanda, mentre il 1886 fu l’anno della sua definitiva affermazione, con la quinta piazza nel Master Tourney BCC (sempre a Londra) e con la bella e inattesa vittoria di Belfast, dove seppe lasciarsi alle spalle campioni del calibro di Henry Blackburne e Amos Burn e dove soprattutto seppe cogliere un inusuale punteggio pieno di 8 su 8!
Nel 1887 giunse 3°-5° a Stanford (p. 3 su 6), nel 1888 fu 5° a Londra precedendo il forte americano Mortimer e soprattutto il neo-candidato al titolo mondiale Johannes Zukertort. Sempre del 1888 è la sua partecipazione al torneo di Bradford: fu appena 9° (p. 7 su 16) alla pari con Henry Bird, ma riuscì a cogliere lo scalpo del terzo classificato, Curt von Bardeleben.
Il 1889 vide Pollock 11° su 20 partecipanti nel super-torneo di New York, che nelle intenzioni degli organizzatori doveva valere come campionato del mondo, il che poi non avvenne a causa dell’assenza di Steinitz. A New York s’imposero a pari merito il russo Mikhail Chigorin e l’austriaco Max Weiss. Proprio contro Weiss egli giocò una delle sue più belle partite, questa:
Max Weiss – Willam Pollock
New York 11 maggio 1889
Una partita tipica, questa contro Weiss, non solo dello stile brillante e senza compromessi di Pollock, ma più in generale della mentalità dei giocatori di quel tempo, quasi sempre lanciati nella caccia a tutti i costi del Re avversario.
I soddisfacenti risultati lo indussero a provare per qualche tempo la via del professionismo e nel 1890 si trasferì a Baltimora, dove tenne una rubrica di scacchi per il Baltimore Sunday News. E così decise anche di cimentarsi in matches individuali: quell’anno sfidò Charles Moehle a New York e riuscì a superarlo di misura (+ 7, – 6, = 1), mentre nel 1891 giocò contro Eugene Delmar a Skaneateles, nei pressi di Syracuse, ma qui lo attese la sconfitta (+ 3, -5, senza patte). Successivamente decise di tornare a vivere in Inghilterra.
Non era in genere troppo lunga la carriera sportiva degli scacchisti nel XIX secolo, e Pollock confermò purtroppo tale regola: ad Hastings 1895 ebbe ‘alti e bassi’ e giunse fra gli ultimi pur vincendo con gente del calibro di Siegbert Tarrasch, Wilhelm Steinitz (del quale era buon amico), Henry E. Bird, Isidor Gunsberg e Adolf Albin.
Insieme a James Mason scrisse un libro sul torneo di San Pietroburgo del 1895-96, che resta ancora la migliore fonte storica per chi volesse studiare le partite di quel torneo. Ma un nemico difficilmente battibile lo stava attendendo, il nemico si chiamava tubercolosi e in breve tempo ce lo portò via. La morte lo colse nella casa paterna di Clifton (Bristol). Era il 5 ottobre del 1896 e lui aveva appena 37 anni.
Una raccolta di partite e problemi di Pollock venne pubblicata nel 1899 a Dublino a cura di Mrs. F.F.Rowland (“Pollock Memories, a Collection of Chess games and problems”).
In epoca moderna non poteva non dedicare giusta attenzione a Pollock lo storico Edward Winter, che nel suo articolo del 1998, dal titolo “Un idealista degli scacchi”, riporta le parole della lettera di addio che Pollock inviò alla “Baltimore News” l’8 agosto del 1896:
“With very great regret, I have to announce that I am obliged to abdicate the chair of chess editor of this column. Serious and prolonged trouble of (at least) a bronchial nature has compelled my severance from my many delightful chess associations in this country, and I am due to sail for my paternal home in Bristol on this day, if perchance complete rest and home treatment may effect a restoration”.
E subito dopo Winter riporta anche il lungo necrologio che il foglio di Baltimora dedicò a William Pollock.
Più di recente, nel 2017, è stato pubblicato un meritevole volume curato da Olimpiu G.Urcan e John S.Hilbert, dal titolo “W.H.K. Pollock, A Chess Biography with 523 Games”.
Fin qua abbiamo trattato di tutte annotazioni presenti in rete, dove in verità appaiono anche informazioni non omogenee (ad esempio secondo alcuni Pollock avrebbe trascorso gli ultimi mesi della sua vita in Canada). Ma oggi vi voglio presentare qualcosa di più.
“Bizzarre aperture …”, abbiamo titolato, e tra le più bizzarre ricordate da Pollock c’è sicuramente la 1.Tab1!?, che ovviamente poteva essere giocata, e lo fu, solo nelle partite nelle quali il Bianco dava al suo avversario il vantaggio di un pezzo, il Cavallo di Donna. E 1.Tab1 la troviamo citata in un articolo dedicato a Pollock, a firma “ARGUS” e nella rubrica “Caleidoscopio”, che apparve nel numero di marzo 1938 della nostra indimenticabile rivista “L’Italia Scacchistica”. Mi piace trascrivere qui integralmente quel breve articolo:
“Aperture strane”
“Il defunto maestro W. H. K. Pollock molti anni fa diede un resoconto, sulla colonna scacchistica del Baltimore News, di diversi modi strani di aprire il giuoco, fatto da maestri, citando vari esempi, fra cui la mossa 1.a2-a3 di Anderssen in una delle sue partite con Morphy, la risposta 1…c5 ripetutamente data da Saint Amant contro 1.d2-d4 nella sua sfida con Staunton, ecc … Il tutto con aneddoti gustosi. Ne riassumiamo qualcuno.
Dopo aver detto che queste bizzarre aperture generalmente non portano danno, egli dice che una sera, quando era a Londra, entrato al Simpson’s Divan annunciò d’aver scoperto una nuova mossa d’apertura per il Bianco nella partita a vantaggio di Cavallo. E la mostrò. Essa era: 1.Ta1-b1! Naturalmente la cosa eccitò il sorriso degli astanti, tutti amatori meno uno che era anzi professionista del giuoco e che subito disse: “La proverei io contro uno di questi signori!”. Un gentiluomo accettò la sfida con la scommessa di uno scellino a partita; ed il professionista intascò ben quattro scellini … non certo a causa dell’apertura, ma rimanendo dimostrato che la mossa non era cattiva!
Un’altra volta -continuò il Pollock- io dissi a Babson, il famoso problemista, che io avevo inventato un nuovo gambetto e cioè: 1.e4,e5 2.f4,exf4 3.Rf2 e che lo avevo chiamato “il vero Gambetto di Re” (se non erro oggi è chiamato “Gambetto Tumbleweed”, n.d.A.). Babson prese la novità con molto interesse e disse: “Lo proverò contro Short” (un giocatore contro il quale egli aveva poco successo). Quando si rividero, Babson disse che la prova era andata bene e che aveva vinto 11 partite di seguito!
Dopo aver citato la risposta 3… Ca5 nell’apertura spagnola, una mossa assolutamente fattibile e da lui giocata contro Lasker e Burn, disse che Bird non temeva di aprire con una mossa qualunque anche in partite a vantaggio e ricordò l’apertura 1.f4 che porta il suo nome. Disse inoltre che Delmar era solito aprire con 1.g4 e che del resto anche 1.b4 ha prodotto qualche bella partita. Steinitz, a parte il fatto che il suo gambetto si è dimostrato buono solo in partita viva da lui giocata, ha praticato molte mosse nuove e strane nei suoi matches ed anche con buoni risultati.
Pollock dice che in varie occasioni ha visto muovere il Pedone di Re di un passo da chi aveva il Bianco, ed il Re alla seconda d’Alfiere in prima mossa da uno che aveva dato vantaggio di pedone e tratto. Cita perfino il caso di un giocatore che mise le Torri in fianchetto ed altre bizzarrie del genere!”.
Per concludere, di certo William Pollock fu un fior di giocatore e un fior d’intrattenitore, una persona cortese e piacevole da frequentare, uno di coloro che di questi tempi servirebbero come il pane per ravvivare le sale dei moderni circoli, sale (se ancora esistono, forse) ricche di cellulari, di programmi, di tecnologia, di diagrammi, ricche di tutto ma vuote di personaggi, di ricordi, racconti, battute, aneddoti come quelli che sapeva raccontare il nostro amico William. Una sua battuta per tutte, menzionata dallo stesso Winter: “Non è facile rispondere correttamente a cattive mosse di Lasker” (!).
E adesso una domanda per i nostri lettori: “L’epoca d’oro degli scacchi quale è secondo voi? Quella di Pollock (e di Morphy e di Steinitz)? Quella di Fischer e Spassky? Questa di oggi di Carlsen e dei programmi scacchistici?
L’immagine sotto il titolo è tratta da British Chess Magazine, 1896, p. 441; Toronto Reference Library
Bisognerebbe capire a fondo, cosa si intende quando si dice epoca d’oro. Per come la intendo io, è l’epoca di Pollock
Grazie, Michele. Anch’io penso spesso che i veri paradisi siano i paradisi che si sono perduti, negli scacchi e non solo. Altri la chiamano illusione.
E se l’epoca d’oro, contrariamente alle apparenze, fosse questa? La popolarità del gioco è in aumento, la produzione mediatica è molto ricca (si può imparare dai campioni, rilassarsi con qualche trasmissione più leggera o dedicarsi alla storia del gioco), gli scacchi si sono diffusi in India e Cina raggiungendo un numero di appassionati inattesi, grazie a Internet è possibile giocare senza quasi difficoltà logistiche ed economiche, e dopo molti tumulti il ciclo mondiale ha raggiunto una certa regolarità.
Certo, l’epica dei tempi passati è inimitabile e certi fenomeni, come il declino dei circoli e dei caffè, sono certamente negativi. Tutto sommato, però, credo che un giorno guarderemo al periodo attuale come a un’era assai felice.
Grazie anche a te, IrishGambit. Sono osservazioni molto sagge e condivisibili. In particolare fa riflettere l’ultimo tuo pensiero, che non si può limitare, se l’ho interpretato bene, al solo mondo degli scacchi.
Vale per gli scacchi come per altre cose. È anche vero che vivo in un contesto differente da quello italiano e sono quindi meno coinvolto nella difficile fase che il nostro Paese attraversa ormai da anni.