Andrea Taffi vince il premio letterario “L’ultimo scacco”
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(Carlo Alberto Cavazzoni)
Si è concluso con un avvincente arrivo in volata la prima edizione del Premio Letterario L’ultimo scacco, un concorso riservato a racconti brevi aventi un’attinenza filosofica, concettuale, metaforica o di qualsiasi altra natura con il titolo del concorso.
Si ringraziano gli amici del blog UnoScacchista, sempre attenti anche all’aspetto culturale degli scacchi, che – come annunciato in precedenza – ci permettono di pubblicare il racconto vincente e i risultati del concorso.
Un sarafan rosso
di Andrea Taffi
L’avevano dimenticata tutti quella partita. Tutti tranne Botvinnik.
Mi trovavo a Mosca per un concerto e lo andai a trovare. Era il maggio del 1994. Abitava in un quartiere anonimo, almeno per chi era stato il campione del mondo. Suonai alla porta di casa. Botvinnik mi aprì e rimase sulla soglia a guardarmi, in silenzio. Non era tanto diverso da quel settembre del 1946. Gli dissi che dovevo parlare con lui, e mi fece entrare. Seduto di fronte a lui, cominciai a raccontare.
***
Ho suonato nei più importanti teatri del mondo, davanti a centinaia di persone. Nessuno, però, mi ha mai ascoltato come faceva lui. Avevo dodici anni e la Seconda Guerra Mondiale era finita da cinque mesi. Il mio maestro di violino era un ebreo belga fuggito dal suo paese prima dell’invasione tedesca. Viveva all’albergo Do Parque di Estoril e si manteneva dando lezioni private. Andavo da lui quasi ogni giorno e lì mi esercitavo per ore. Ma ad ascoltarmi nel modo che ancora oggi ricordo non era il mio maestro. No, era lui, “il nazista”, come lo chiamavano i dipendenti dell’albergo Do Parque, dove anche lui alloggiava. Dicevano che avesse conosciuto Hitler e che fosse fuggito da Berlino prima che arrivassero i russi. Dicevano anche che aspettasse di imbarcarsi per l’Argentina. È per quello che la prima volta che lo vidi ebbi paura di lui. Era alto e magro, e aveva disegnata sulla faccia scavata un’espressione severa. Seppi dopo che aveva cinquantatre anni, ma sembrava un vecchio. Fermo sulla soglia della sua camera mi fissò senza dire niente, come a essere sicuro che fossi io quello che stava aspettando.
Un giorno il mio maestro mi disse che sarebbe ritornato in Belgio e che le sue lezioni finivano lì. Fu quello stesso giorno che rividi “il nazista”, nell’identico punto dove l’avevo visto la prima volta. E quel giorno mi parlò.
«Ho ascoltato la tua musica» disse con un tono di voce gentile e molto basso. «È bella, suoni molto bene». Conosceva bene il portoghese. «È un peccato che le tue lezioni siano finite, Luis» disse ancora.
«Come sapete il mio nome?» chiesi infastidito.
«Hai ragione, scusa» disse con un sorriso. «Non è certo mia abitudine ascoltare i discorsi degli altri. Ma le pareti delle camere sono così sottili che non ho potuto fare a meno di sentire. Sei offeso?». No, non ero offeso. «Meno male, perché ho una richiesta da farti» aggiunse.
«Una richiesta?».
«Conosci “Un sarafan rosso?”». No, non conoscevo niente con quel nome. «È una vecchia canzone russa, e vorrei che tu la suonassi per me».
«Russa? Ma non siete un nazista?».
Avevo parlato d’istinto e subito mi vergognai. Lui si mise a ridere.
«Chi te lo ha detto?».
«Qui in albergo lo dicono tutti» dissi imbarazzato.
«Mi chiamo Alekhine e sono russo. Manco da Mosca da prima che scoppiasse la guerra». Fece silenzio per un attimo. «Là credono che sia un nemico del popolo».
«Che vuol dire?».
«In Russia chiamano così tutti quelli che non la pensano come loro». Non dissi niente, e lui continuò. «Ho solo nostalgia della mia terra, per questo vorrei che mi suonassi quella canzone».
«Ma ve l’ho detto: non la conosco».
«Ho lo spartito».
Ho suonato in suite d’albergo, per donne e uomini potenti, che avevano chiesto di ascoltare la mia musica. Mai, però, ho avuto la sensazione che provai suonando quella vecchia canzone russa in un’anonima camera d’albergo. Alekhine era seduto su una poltrona davanti a un piccolo tavolo occupato da una bottiglia di cognac e una scacchiera, con sopra i pezzi di legno. Io suonavo e lui giocava. Conoscevo a mala pena gli scacchi, eppure ebbi la sensazione che su quella scacchiera ci fosse una danza di pezzi che si muovevano agli ordini silenziosi di Alekhine. Sembrava che anche lui fosse uno di quei pezzi. No, quella triste canzone russa non serviva solo per scacciare la nostalgia della Russia. Serviva anche per qualcos’altro, qualcosa che avrei finito per scoprire.
***
Alle volte Alekhine era ubriaco. Quando succedeva, il suo cameriere personale, quello che gli portava i pasti in camera e il cognac, mi aspettava sulla porta della stanza, e per quel giorno non avrei suonato.
Quel giorno, però, le cose andarono diversamente. Il cameriere era sulla porta, ma non era calmo come al solito. No, era agitato.
«Vieni, presto, aiutami» mi disse entrando nella stanza e sparendo subito in bagno.
La poltrona di Alekhine era vuota, e la scacchiera e i pezzi erano per terra.
«E tu chi sei?».
Mi voltai di scatto. Un uomo era sulla soglia e fissava la custodia del mio violino. Era giovane, e nonostante il tono brusco della voce, aveva una faccia simpatica.
«Chiunque tu sia, devi andartene» disse entrando.
«Lascia stare, Francisco».
Mi voltai.
Alekhine era sulla porta del bagno e si reggeva alla spalla del cameriere.
«Che cosa significa?» gli chiese Francisco.
Alekhine si fece accompagnare alla poltrona e quando il cameriere fu uscito, rispose.
«È mio amico».
Francisco annuì.
«Ho preso la vostra medicina, maestro» disse, ed estrasse un flacone dalla tasca della giacca.
Alekhine fece di no con la testa.
«No, Francisco, non ce n’è più bisogno: sto già meglio» disse.
Francisco fece un sospiro e poi mi guardò.
«E tu come ti chiami?» mi chiese.
«Luis» risposi guardando il pavimento.
«È un musicista, suona il violino per me» disse Alekhine.
«Vi siete sentito male?» gli chiesi.
«Ho solo ricevuto una brutta notizia» rispose Alekhine.
«Maestro, non vi agitate» disse Francisco preoccupato.
«Sono stati gli inglesi a darmela quella notizia» continuò Alekhine.
«Gli inglesi?» chiesi.
«Il maestro è il campione del mondo di scacchi» disse Francisco. L’aveva detto come se quel titolo, che io non conoscevo, dovesse difendere Alekhine da ogni attacco.
«Non per gli inglesi» disse Alekhine.
«Gli inglesi non vi riconoscono come campione del mondo?» gli chiesi.
Fu Francisco a parlare.
«Questo no, non possono farlo».
«Però non vogliono che partecipi al loro torneo» disse Alekhine.
«Perché?» chiesi.
«Qualcuno ha detto loro che non sono desiderato» disse Alekhine.
«Chi?» domandai.
«Gli americani. Sono loro che hanno detto di no alla mia presenza. E gli organizzatori hanno ubbidito e mi hanno comunicato che non potrò partecipare al torneo» disse Alekhine.
«Ma perché? Che c’entrano gli americani?» chiesi.
Alekhine chiuse gli occhi.
«Adesso basta parlare» disse con un sospiro. «Ti prego, Luis, suona “Un sarafan rosso“».
Suonai, e a poco a poco gli inglesi, gli americani, e tutti quelli che non amavano Alekhine uscirono da quella stanza.
***
Francisco Lupi era il più forte giocare di scacchi del Portogallo. Lui e i suoi amici del circolo di Estoril, avevano accolto Alekhine, e gli pagavano i pasti e i conti dell’albergo.
Fu Francisco a spiegarmi perché gli americani odiavano Alekhine.
«Lo accusano di essere stato un collaborazionista dei nazisti».
Ripensai a quello che dicevano di lui in albergo.
«Ed è vero?» chiesi.
«No, no, non è così» disse Francisco scuotendo deciso la testa. «Durante la guerra, il maestro ha giocato tornei organizzati dai nazisti, ma non ha mai collaborato con loro, mai. Gli americani, però, l’hanno isolato lo stesso e hanno preteso che tutti facessero come loro. E tutti hanno obbedito. Tutti tranne uno».
«Chi?».
«Vieni, lo vedrai da te».
Alekhine era seduto sulla sua poltrona. Sul tavolo davanti a lui non c’erano la bottiglia di cognac e la scacchiera, ma solo una lettera. Pensai che dovesse essere successo qualcosa d’importante.
«Entra, voglio farti vedere una cosa» mi disse Alekhine. Aveva pianto. Prese la lettera e me la porse. Era scritta con caratteri incomprensibili. «Lo so – mi disse – non conosci il russo. Ma volevo che tu la vedessi lo stesso».
«Quando un Grande Maestro vuole sfidare il campione del mondo – disse Francisco – deve mandare una richiesta ufficiale. In quella lettera c’è quella richiesta».
«Chi è lo sfidante?» chies
«Il più forte, di tutti» disse Alekhine.
***
Botvinnik mi sorrise. Era rimasto in silenzio per tutto il tempo in cui avevo parlato.
«Anche se non la conoscevo – gli dissi in inglese – provai subito una grande simpatia per lei. Per quello che stava facendo».
«Era mio dovere – disse lui – anche se non fu facile: ci pensai molto prima di scrivere quella lettera».
«Ma alla fine ha fatto quello che era giusto, e non si è piegato al volere degli americani».
«Se per quello, nemmeno a quello dei russi. A Mosca molti dissero che anch’io era un traditore, un nemico del popolo».
«Avete avuto coraggio».
«No» disse lui con un sorriso.
Prima che potessi rispondere, Botvinnik si alzò, raggiunse una piccola scrivania e aprì un cassetto. Tornò a sedersi e mi mostrò una lunga lettera. Era scritta in russo.
«È la risposta di Alekhine» disse. «Non si trattò di coraggio» aggiunse dopo un attimo di silenzio.
«Ho soltanto ascoltato il grido della dignità del campione del mondo. Il grido di quella lettera».
***
Quella fu l’ultima volta in cui russi e americani si allearono. E lo fecero per combattere Alekhine. Dopo l’annuncio della sfida si impegnarono per distruggere la sua reputazione, e per convincere Botvinnik a rinunciare. Per farlo si servirono dei loro giornali. Alekhine non lesse mai una sola riga di quegli articoli. Mosca rinunciò subito a organizzare la sfida, e lo stesso fecero Londra e Parigi. Franco rimase neutrale anche questa volta. Ci pensò Salazar a salvare la sfida mondiale: decise che l’incontro si sarebbe dovuto giocare al Forte da Cruz di Estoril, la città che aveva accolto il campione del mondo.
Alekhine iniziò la preparazione per la sfida. Francisco raccolse tutte le partire di Botvinnik, che furono giocate e rigiocate un’infinità di volte. Da parte mia, ampliai il repertorio: Paganini fu perfetto. Alekhine smise di bere cognac e prese anche a fare delle lunghe passeggiate sul lungomare, e io lo accompagnavo. Camminavamo guardando l’oceano, e stavamo spesso in silenzio. Ogni volta qualcuno riconosceva Alekhine e si fermava a parlare con lui. Erano scacchisti, ma c’erano anche persone che non sapevano nulla degli scacchi. Tutti si sentivano orgogliosi di vivere quel momento, e volevano che Alekhine lo sapesse. Lui era sempre gentile con loro. C’erano anche molti giornalisti e fotografi in città. Quando ne vedevamo uno da lontano tornavamo in fretta in albergo. Alekhine non parlò mai con nessuno di loro e non si fece mai fotografare. Sul lungomare incontravano spesso Botvinnik. Anche lui si fermava a guardare l’oceano. Anche lui parlava con la gente e fuggiva da fotografi e giornalisti. In quelle occasioni i due grandi maestri si salutavano a distanza, e non si parlavano mai.
«Hai visto quelli?» mi chiese una volta Alekhine mentre rientravamo in albergo.
«Chi?».
«Quei due signori là» disse indicando in direzione del lungomare. Erano vestiti di nero e sembravano intenti solo a non farsi notare.
«Chi sono?» chiesi.
«Sono dei servizi segreti americani».
«Come lo sapete?».
«Ieri, al loro posto, c’erano i russi. Dunque devono per forza essere americani».
Anche gli uomini di Salazar ci seguivano, ma questo lo seppi solo anni dopo.
Arrivò, così, il giorno della prima partita.
Botvinnik si presentò puntuale nella grande sala del Forte da Cruz. Si sedette davanti ai pezzi neri e fissò il mare davanti a lui. Alekhine arrivò poco dopo, e il brusio della sala cessò di colpo.
Guardando dritto davanti a sé, raggiunse Botvinnik, gli strinse la mano e si sedette. Toccava a lui muovere per primo. Mosse di due caselle il pedone davanti alla sua regina. Botvinnik fece lo stesso col suo pedone.
Cinque ore dopo, Botvinnik, dopo aver pensato a lungo curvo sulla scacchiera, scrisse la sua mossa su un foglio di carta. Lo ripiegò e lo consegnò all’arbitro. Guardai Francisco seduto accanto a me.
«Che significa?» gli chiesi.
«Raggiunta la quarantesima mossa è prevista un’interruzione» disse. «Chi ha la mossa la scrive su un foglio che consegna all’arbitro. Domani sapremo che mossa ha scritto Botvinnik su quel foglio».
Tornammo in albergo con Alekhine. Lui e Francisco avrebbero analizzato la posizione per tutta la notte, almeno questo lo pensavo io.
«Io vado» dissi.
«Non ancora» disse Alekhine.
Si sedette davanti alla scacchiera e ricostruì la posizione al momento in cui la partita era stata interrotta.
«Allora, Francisco, che cosa ne pensi?» domandò Alekhine.
«Maestro, secondo me lui farà questa» rispose sicuro Francisco, e mosse un alfiere nero.
«Ma così patterà» disse subito Alekhine.
Francisco rimase sorpreso.
«Non gli rimane altro. A meno che non voglia perdere».
«Oppure vincere» disse Alekhine.
«Vincere?».
«Non penserai che Botvinnik sia venuto fin qui per pattare la prima partita? Una patta con me all’esordio equivarrebbe a una sconfitta».
«Perché?» chiese Francisco.
«Tutti pensano che Botvinnik vincerà facilmente la sfida. Se patterà la prima partita, forse cominceranno a dubitare di lui. E non è bene far dubitare i russi».
«Ma non può vincere» disse Francisco.
Alekhine sorrise. Rimise l’alfiere al suo posto e mosse un cavallo nero. Francisco si sedette e studiò con attenzione quella nuova posizione.
«Ma è incredibile» disse alla fine. «Adesso siete voi che avete perso».
«Già, così sembra» disse Alekhine. Poi mi guardò. «Per favore Luis, suona Un sarafan rosso».
Per tutto il tempo in cui suonai, Alekhine tenne gli occhi chiusi. Come la prima volta che avevo suonato quella canzone, sembrava che nella mente di Alekhine i pezzi ballassero una danza sconosciuta a tutti gli altri. Quando ebbi finito, aprì gli occhi, prese la torre bianca e la mosse. Tra quella torre e il re nero non c’era nessuna casella, quasi si toccavano. Francisco sgranò gli occhi, poi tornò a studiare la posizione. Alcuni minuti dopo si alzò di scatto.
«Ma avete vinto» disse euforico.
«Adesso sono affamato» disse Alekhine. «Ci vediamo domani alla partita».
***
L’arbitro consultò nervoso l’orologio, poi estrasse dalla tasca interna della giacca il foglio di carta che gli aveva consegnato Botvinnik il giorno prima. Alekhine non era ancora arrivato. L’arbitro stava per leggere la mossa di Botvinnik, quando un uomo entrò nella sala a passo svelto. Si avvicinò all’arbitro, gli sussurrò qualcosa all’orecchio e uscì veloce come era entrato. L’arbitro si guardò attorno, poi alzò il foglio sopra la sua testa, perché tutti potessero vederlo, e lo strappò. Nessuno avrebbe saputo la mossa di Botvinnik.
Alekhine era morto.
Alexandre Alekhine, nella stanza dell’Hotel do Parque, a Estoril, il 24 marzo 1946
Era ancora nella sua stanza di albergo, seduto sulla sua poltrona, davanti alla scacchiera, e ai resti di un piatto di carne. C’era tanta gente intorno a lui. Il medico legale avrebbe accertato che era stato soffocato da un boccone di carne. Sulla scacchiera, i pezzi non erano come li avevo visti la sera prima al momento di andarmene: erano allineati nella posizione di partenza.
Una settimana dopo anche Francisco morì, in un incidente stradale.
***
Botvinnik mi guardò a lungo.
«Sono l’unico a conoscere la mossa di Alekhine» dissi.
«Sempre che io avessi fatto la mossa che lui aveva previsto» mi rispose Botvinnik con un sorriso.
Prima che potessi rispondere, si alzò, prese la scacchiera e i pezzi e ricostruì la partita fino al punto della sospensione. Poi mi guardò: riconobbi sulla sua faccia l’impazienza di quel giorno nella sala del Forte da Cruz. E anch’io provai la stessa sensazione di allora. Botvinnik, come autorizzato dal mio silenzio, afferrò il cavallo nero e lo poggiò sulla casella dove Alekhine l’aveva poggiato quarantotto anni prima. Il cuore prese a battermi forte. Ero emozionato, come mai lo sono stato prima di un concerto. Toccava a me, solo a me, fare quella mossa, quella che Alekhine mi aveva mostrato prima di morire. Con la mano che mi tremava, afferrai la torre bianca e la posai sulla casella dove l’aveva lasciata Alekhine, vicina al re nero, così vicina da toccarlo, quasi. Era uno scacco al re, l’ultimo di Alekhine. Botvinnik studiò la posizione. Poteva sottrarsi a quello scacco solo catturando la torre con il suo re. Ma non lo fece. Alzò la testa dalla scacchiera e mi strinse la mano.
Ancora oggi, mi piace pensare che lo fece come se di fronte a lui non ci fossi io, ma Aleksander Alekhine.
«Il sarafan rosso» è il titolo di una famosa canzone popolare russa (autore del testo N. G. Tsyganov nel 1832, compositore della musica A. E. Varlamov nel 1833).
[A. Varlamov “Prendisole rosso”. Video 6 per una lezione di musica in classe.]
Il concorso è stato indetto dall’associazione “Le Pergamene di Melquiades”, in collaborazione con “Scuola Filosofica” e con la casa editrice “LE DUE TORRI”, la gara aveva preso il via il 9 marzo 2021, in occasione dell’anniversario della nascita del grande campione di scacchi Robert James “Bobby” Fischer, ed era stato presentato sul blog qui.
Impreziosito dal gentile patrocinio della Federazione Scacchistica Italiana, il concorso ha raccolto l’iscrizione di ben 54 opere provenienti da ogni zona d’Italia, dimostrando per l’ennesima volta che il “Nobil giuoco” possiede un’inesauribile sorgente culturale ed una grande valenza metaforica.
L’obiettivo degli organizzatori è stato quello di stimolare l’immaginazione degli scrittori di oggi affinché parlassero degli Scacchi tralasciando i profondi aspetti tecnici ed è stato raggiunto. Infatti i racconti pervenuti risultano interessanti non solo per chi vive e conosce la grande passione degli Scacchi ma, grazie all’arte del romanzare degli autori, anche per chi li conosce ben poco.
La premiazione, svoltasi on line, nella serata del 10 dicembre scorso, in una piacevole atmosfera profumata di poesia, ha richiamato la partecipazione di 60 persone, ed è stata onorata dalle presenze del Maestro di Scacchi Mario Leoncini, Coordinatore della Commissione Cultura e Benemerenze della F.S.I., del poeta Glauco Senesi e di Claudio Selleri della casa editrice “LE DUE TORRI”, che ha colto l’occasione di annunciare che tutti i racconti verranno pubblicati in un’antologia di prossima diffusione.
Questo è l’elenco dei primi classificati, valutati da una giuria di altissima qualità, composta da persone scelte tra le più autorevoli del panorama scacchistico e culturale italiano:
1° classificato: Un sarafan rosso, di Andrea Taffi, da Sassari
2° classificato: Il Greco, di Alessandro Colosimo, da Viareggio (Lucca)
3° classificato: Maledetto cavallo, di Silverio Scognamiglio, da Reggio Emilia
4° classificato: L’ultima mossa, di Piero Mazzilli, da Favara (Agrigento)
5° classificato: Una mossa di Cavallo, di Francesco Battaglia, da Arcore (Monza Brianza)
6° classificato: L’ultima partita, di Lorenzo Cantini, da Pisa
7° classificato: La quarta casa di Re, di Manrico Padovani, da Castelfiorentino (Firenze)
8° classificato: Niente sconti, di Claudio Ruzza, di Cusano Milanino (Milano)
In aggiunta ai primi otto classificati la Presidenza della Giuria ha deciso di assegnare una Menzione speciale al racconto Domani si gioca, di Luigi Ruvolo, da Milano (16° classificato) con la seguente motivazione: “Per l’importante contributo dato al successo del premio letterario e per la propensione di riportare in racconti le molteplici sensazioni che gli scacchi smuovono nelle persone”.
Infine, in qualità di Presidente della Giuria, concludo ringraziando vivamente tutti i partecipanti e gli altri componenti della Giuria effettiva (Alessandra Arnetta, Roberto Cassano, Alberto Corvaja, Paolo Ciancarini, Roberta De Nisi, Eugenio Dessy, Paolo Fiorelli, Mario Leoncini, Roberto Messa, Carla Mircoli, Sebastiano Paulesu, Pierluigi Piscopo, Lucio Rosario Ragonese, Renata Ricci, Stefano Sala, Glauco Senesi e Gabriella Vanarelli) per aver portato a termine l’impegno nei tempi previsti.
E’ tutto finito?
Sarebbe un peccato.
Gli organizzatori sono già al lavoro per la seconda edizione.
Bravi è così che si fa!
Sono nato a Carpi il 17 settembre del 1953. Diplomato nel 1972 in Perito Tecnico Industriale ho successivamente superato il biennio d’Ingegneria chimica. Sono Maestro di Scacchi ad honorem ed Istruttore della F.S.I. Autore di libri di buon successo come: “Il Castello degli Scacchi” (Ed. LE DUE TORRI 2008), “I segreti del Castello degli Scacchi” (in collaborazione con il Maestro Internazionale Roberto Messa Ed. LE DUE TORRI 2011 ), “Il piccolo Cavaliere del Re degli Scacchi” (Ed. La Fondazione di Vignola). Nel 2010 ho ricevuto il premio per il migliore istruttore del nord Italia 2009.