Le impressioni di Capablanca sul Congresso di Londra del 1922
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(Riccardo M.)
Un viaggio nel tempo lungo un secolo, dall’agosto 2022 all’agosto 1922, non poteva concludersi in un sol giorno. E allora restiamo volentieri per un po’ qui Londra, nella Central Hall di Westminster, dove incrociarono i pezzi gli 88 partecipanti al grande Congresso scacchistico, e dove sfuggiamo anche al caldo asfissiante dell’estate romana di oggi.
Per chi non l’avesse letto, questa è stata la prima parte del nostro viaggio: “La figuraccia dei maestri italiani al Congresso di Londra del 1922“.
Sappiamo che a Capablanca non piaceva soltanto giocare, ma anche scrivere di scacchi. A giocare iniziò nel 1892, all’età di 4 anni (come nella immagine sotto il titolo), a scriverne forse non molto tempo dopo. E a noi non può non piacere riportare per intero nientemeno che le parole scritte di pugno 100 anni fa dal trentenne campione cubano per le pagine del “Times” e subito riprese dalle principali riviste scacchistiche mondiali dell’epoca.
“Le impressioni di Capablanca” erano naturalmente quelle sull’appena concluso “Grande Congresso di Londra”. Furono tradotte in tutte le lingue, dato il successo che l’evento riscontrò nel mondo. Eccole:
“La lotta, durata tre settimane, ha avuto, su per giù, l’esito atteso. Si può dire che tutti i premiati meritarono i premi ottenuti. Fin dal principio, Alekhine e Rubinstein si quotarono per i primi posti; Vidmar, col suo gioco molto energico, quale si è mostrato nella prima metà del torneo, aveva molta probabilità anche lui, ma nella seconda metà non si è mantenuto nella stessa efficienza, e si è dovuto contentare del terzo posto. Bogoljubov, Reti e Tartakower furono presto praticamente fuori gara per i primi posti, ma era sicuro che sarebbero stati, come furono, fra i premiati.
L’ottavo posto rimase incerto fino all’ultimo, e Yates, riuscendovi alla pari con Maroczy, ha ottenuto un buon risultato. Il fatto che Yates sia l’unico giocatore inglese che abbia partecipato a tornei internazionali, dovrebbe aprire gli occhi. Se tornei come quello ultimamente chiuso si facessero ogni due anni in Inghilterra, presto si vedrebbe di molto elevato il livello di gioco in questo Paese”.
Apro qui una parentesi, per mettere in luce la diversità fra le proposte che venivano suggerite per il movimento italiano dalla stampa italiana e delle quali si è parlato nel post precedente (allenamenti più duri, match individuali, qualche torneo con maestri stranieri) e questa molto lucida e all’apparenza più condivisibile che arriva da Capablanca, il quale giustamente già un secolo fa vedeva nei grandi tornei, in grado di richiamare attenzione di addetti ai lavoro e semplici appassionati, un grimaldello essenziale per (ovviamente non in tempi brevissimi) elevare il livello del gioco degli scacchi in un Paese.
Una seconda difformità si può cogliere fra le parole di elogio di Capablanca su Yates e quelle del direttore della “Italia Scacchistica” Alberto Batori. Il Batori (che probabilmente non era un estimatore del Paese organizzatore) così infatti si espresse sul buon ottavo posto di Frederick Yates: “(nel gruppo di centro) … vi è anche il contrastato campione inglese Yates, non certo paragonabile ai compagni di gruppo, con i quali trovasi solo casualmente a livello per una fortunata vittoria su Bogoljubov e una patta con Rubinstein”. Povero Yates, che fu tra i pochi a resistere a Capablanca oltre 60 mosse (67 per la precisione) prima di abbandonare!
Torno a lasciare la parola al campione cubano, una parola che, come del resto risulta nei suoi libri, è di una chiarezza espositiva esemplare. La sintesi e la purezza, che traspariva dal suo gioco, mirabilmente trasparivano in ogni occasione anche dai suoi scritti:
“Altra caratteristica del torneo fu il contegno davvero cavalleresco di tutti i giocatori. Non ci fu nessun incidente spiacevole. Sebbene due o tre partite siano state decise dal tempo, neppure ciò diede luogo a recriminazioni aperte. Si deve lodare il comitato organizzatore del torneo per le comodità che seppe offrire a giocatori e spettatori, e certamente l’esperienza fatta permetterà in avvenire di attuare ulteriori accorgimenti per rendere ancora migliore l’organizzazione”.
Seconda parentesi.
Saggiamente Capablanca non fa alcun riferimento alle regole sul tempo, così contestate in Italia. Forse per evitare polemiche, non fa nemmeno riferimento alle numerose “patte d’accordo” di cui parlarono le pagine del nostro “L’Alfiere di Re”; e parimenti evita di esprimersi su quella che qualcuno definì “la rivolta dei circoli scacchistici londinesi” dopo la delusione giunta dalla patta in 13 mosse concordata al 14° turno nella partita Rubinstein-Capablanca, che fu la più breve del torneo e che era attesissima in città.
Il cubano mirava “al sodo”, mentre il polacco, che descrissero a Londra ancor più nervoso e taciturno del solito, era evidentemente ben lieto della posizione di classifica fin lì raggiunta. Del resto i due erano in perfetta parità nei tre loro precedenti incontri: Rubinstein aveva vinto a San Sebastian 1911 (unica sconfitta del cubano in quel torneo), Capablanca nel 1913 a New York, e fu patta a San Pietroburgo 1914.
Proseguiamo nella lettura di Capablanca:
“Per quanto mi riguarda personalmente, è inutile dire che sono lieto del risultato. Fare 13 punti su 15 non è compito facile. Prima del torneo avevo calcolato che con 12 punti si poteva vincere il 1° premio, e ho regolato i miei sforzi su questo piano. Durante il torneo, però, l’assedio stretto che fecero Alekhine e Vidmar alla mia posizione mi fece comprendere che 12 punti potevano non essere sufficienti. Dopo la mia partita con Tartakower, fu per me evidente che occorreva uno sforzo in più per essere il primo.
A questo fine mirai seriamente per alcuni giorni. Ebbi la buona fortuna di ottenere cinque vittorie consecutive, mentre Alekhine, che sino allora mi aveva appaiato, restò indietro di un punto. La battaglia era così praticamente vinta. L’ultima parte del torneo, salvo imprevisti che potevano sempre capitare, non offriva preoccupazioni. Avendo solo due partite da giocare, di cui una sola con un avversario difficile (ma che non aveva particolari motivi per giocare per vincere), ero già praticamente sicuro di vincere il torneo.”
Apro una terza parentesi.
La penultima partita era proprio quella con Rubinstein e le parole del campione cubano fanno quasi pensare che quella patta in 13 mosse, di cui abbiamo detto, sia stata confezionata ben prima dell’inizio della partita stessa. C’è comunque da annotare, in favore di Capablanca, la piacevole espressione “buona fortuna di ottenere 5 vittorie consecutive”. Lui sapeva bene, del resto, da persona intelligente e accorta, come utilizzare le sue qualità (le stesse che aveva il padre) di tatto e correttezza nel rapporto con giocatori e lettori. Lui “era siempre un caballero con la rectitud y la educación de la vieja España”, si leggeva qualche anno fa nel blog in lingua spagnola www.zendalibros.com
Terminiamo con “Times” e con le parole di Capablanca.
“I miei amici furono molto lieti del risultato, e sono loro grato per la loro fiducia nella mie possibilità di vincere il torneo. Mi riesce molto gradito pensare che la loro fiducia non fu del tutto mal posta.
Quanto alle mie partite, le più interessanti furono quelle con Bogoljubov e con Tartakower. In entrambe, gli spettatori mi davano per spacciato. Il giudizio però non si dimostrò fondato, perché alla fine prevalsi nella prima e pattai la seconda.
La mia miglior partita fu forse quella contro Widmar. Tutti i presenti la lodarono molto, ed uno dei giudici insistette vivamente perché le venisse assegnato il premio per la “partita più brillante”, stante la lunga e difficile combinazione iniziata al quindicesimo tratto. Per gli spettatori, però, la più graziosa fu quella contro Morrison, in cui due volte offrii un Alfiere in sacrificio: in entrambe le occasioni sarebbe stato fatale accettarlo.”
Se i nostri lettori vogliono dare un’occhiata, ecco qui le due partite di Capablanca contro Vidmar e contro Morrison:
Complimenti, in ogni senso, al grande José Raùl Capablanca!
Noi del Blog chiuderemo tra alcuni giorni questo trittico sul “Congresso di Londra” del 1922. Non ve ne andate!