Uno Scacchista

Annotazioni, Spigolature, Punti di vista e altro da un appassionato di cose scacchistiche

Partite a scacchi a mostri viventi o immaginari – Storie tra pulp, eros e fiction

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Hollywood 1933, Capablanca-Steiner: rappresentazione della partita a scacchi viventi . (Foto dal General Photographic Agency/Getty Images)

(Claudio Mori)
Emilio Salgari conosceva bene da resoconti e cronache le sanguinarie imprese dei ladri e strangolatori Thug quando nel 1906 pubblicò Le due tigri. Nel romanzo il loro capo Suyodhana, Tigre dell’India, deve vedersela con Sandokan, Tigre della Malesia. Il primo soccombe non dopo una partita a scacchi ma semplicemente pugnalato al ventre. Pare invece che un capo della setta Thug, nelle pianure di Barrackpore. nel Bengala occidentale, volesse regolare i conti con un rappresentante inglese della John Company, la Compagnia delle Indie Orientali.

La dea Kali (Sujit Kumar, da Wikimedia)

I seguaci della sanguinaria dea Kali, come non bastasse, erano pure molto superstiziosi e ce l’avevano col cappello di feltro grigio dell’inglese al quale attribuivano il potere di renderlo invulnerabile ai loro ripetuti tentativi di farlo fuori. Perciò volevano impossessarsene. Il capo Thug sfidò il colonialista a una partita a scacchi in carne e ossa. Pezzo preso, pezzo ucciso, all’istante, la regola. Un duello all’ultimo sangue. Come in un film pulp di Quentin Tarantino. La posta in gioco fu il cappello contro uomini Thug reclutati dalla Compagnia a 25 sterline ciascuno per le fabbriche dell’oppio, o altro.

Entrambi erano buoni giocatori. Nessuno osava fare previsioni sul risultato. Dopo aver battagliato per alcune ore, l’inglese catturò la regina. Peccato fosse la moglie dell’indiano il cui volto lascivo divenne all’istante terreo, gli occhi sbarrati verso l’imperturbabile marito impegnato a trattenere l’umiliazione della prossima sconfitta davanti ai suoi ladroni. Inutile attendersi da lui un qualunque gesto di commossa umanità. Saggia la decisione di una pausa pranzo prima dello strangolamento e dello spezzatino del corpo, giusto per non guastare l’appetito. Di ritorno sul campo da gioco, l’inglese, generoso solo per mettere fine alla minaccia sul suo collo senza tuttavia abbandonare la supponenza britannica, rinunciò alla mattanza e si accontentò degli uomini che gli servivano. Di sicari la Compagnia aveva sempre bisogno.

Le partite a scacchi viventi sono come le fiabe, come uno di quei posti dove ci sono tante cose da raccontare e da ascoltare, come il retro di un negozio di rigattieri dove inciampi in vecchi divani tappezzati di cremisi, in statuine cinesi, in sbiadite fotografie di attempati scacchisti con favoriti uniti ai baffi o di pugili irlandesi sconfitti dalle pinte di Guinness. Regine e Pedoni che anelano alla corona per una notte. Casalinghe dai capelli castani sfilacciati e venditori ambulanti dalla voce roca l’indomani, archiviate le fantasie impure degli agitati sonni. Non può esserci concordanza tra le narrazioni dell’oscurità e la realtà della luce. Eroi di notte, malandrini di giorno.

Polifilo e il drago nella xilografia del volume stampato da Aldo Manunzio a Venezia nel dicembre 1499

Ne sa qualcosa il domenicano Francesco Colonna (Hypnoerotomachia “Battaglia d’amore in sogno di Polifilo”, Venezia 1499) che secondo qualcuno si macchiò del delitto di aver “sverginato una putta”. In ogni caso “Poliam frater franciscus columna peramavit” (“Frate Francesco Colonna amò moltissimo Polia”) confessa l’autore. Siamo nel 1467 e Polifilo desidera Polia. Nel cercarla si perde in una foresta. Un lupo lo fa fuggire, serpi sibilanti lo terrorizzano, un drago gli sbarra il cammino: Ecco all’improvviso io vedo, distintamente, giungere sulla soglia della porta … uno spaventoso e orrendo drago, con la triplice e fremente lingua vibrante e le mascelle dotate di aguzzi e fitti denti digrignanti. Ninfe gli stimolano i sensi e si bagnano nude con lui in un’orgia termale. Polifilo, “amante di molte”, banchetta allietato da tre balli a scacchi viventi, protagoniste avvenenti adulescentule con copiose trecce, sedici vestite di panno aureo, sedici argenteo. La versione rinascimentale di uno spettacolo a un Pussy’s Bar del Midwest americano con tavoli appiccicosi di birra e coperti di graffiti.

Viene alla mente uno scritto di Freud. Una giovane donna sogna di essere inseguita in un bosco da un satiro visibilmente eccitato. Caduta a terra, il satiro è sopra di lei. La ragazza urla terrorizzata. Allora il satiro, molto urbanamente, le dice: “Ma signorina, in fin dei conti è lei che mi sta sognando”.

Akbar gioca a pachisi o chaupur con pezzi viventi a Fatehpur Sikri, 1575 (Ambrose Dudley, da “Hutchinson’s story of the nations”, 1915)

Attraversati giardini recintati di delizia, nel palazzo in arenaria rossa di Fatehpur Sikri, la Città della vittoria, nel cortile di Pachisi circondato da due ordini sovrapposti di portici e lastricato in bianco e nero, il Gran Mogol Akbar (1542-1605) sedeva per dirigere i movimenti di una partita ad harem vivente. Così lo ritrae un’illustrazione di Ambrose Dudley (1867-1951) contenuta nella Hutchinson’s History of the Nations del 1915.

Henri Pierre Pique – Scacchi in india (da Arthive.com)

Esotismo che ha affascinato l’occidente fin dal XVIII secolo. Anche un dipinto accademico del francese Henri Pierre Pique, grosso modo dello stesso periodo, ritrae una sontuosa sala indiana con Akbar sotto un baldacchino e dignitari attorno a donne in sari rannicchiate sui quadrati di una scacchiera pavimentale. Tende damascate, tappeti, eunuchi.  Che un imperatore giochi con pin-up in un cortile o in un salone seduce come ogni bella storia, come la menzogna. E che importa se il terribile sovrano non ha mai giocato a scacchi? Così altri raccontano di lui appollaiato come un corvo su una sedia girevole in pietra alla sommità di un pilastro, come un arbitro di tennis a Wimbledon, a manovrare sulle caselle della scacchiera, immerso nei calcoli e nell’inferno delle premonizioni. Trappole, tradimenti, sedizioni. Il viso duro di chi nemmeno un istante pensa di poter perdere. Sapeva di essere imbattibile.

Anche la fantascienza reclama la sua parte. Così nel breve racconto dell’australiana Janeen Webb, Città rossa (in Stelle che bruciano, Urania Millemondi n. 46,) la storia è ancora ambientata nel regno di Akbar e assomiglia molto a quella dei Thug.

– […] L’imperatore desidera intimidire l’inviato inglese. Domani, giocheranno a scacchi nel cortile di Diwan-I-Am.
– E i pezzi?
– L’imperatore ha ordinato di svuotare la prigione. Il capitano delle guardie sceglierà i giocatori. Quelli che sopravviveranno saranno graziati.
– Allora il demone dagli occhi azzurri sarà la Regina Bianca – disse l’astrologo. – L’imperatore concederà all’inviato la cortesia della prima mossa.

La regina bianca, il demone, è Lucinda, moglie di un archeologo americano in visita alle rovine della Città Rossa, catapultata nel passato, al tempo di Akbar, dopo avere trasgredito al divieto di toccare l’ombra di una fessura all’interno della caverna dello sceicco sufi Salim Christi, colui che aveva predetto ad Akbar la nascita del figlio Jahangir.

Da opposti baldacchini in seta nera e in seta bianca, bordati d’oro, imperatore e inviato iniziarono la sfida. Il primo pedone, con solo uno straccio attorno alla vita e una corta spada simile a uno spiedo, fu trafitto al cuore dall’avversario. Col proseguire delle morti l’aria calda odorava di sangue e di feci, e il cortile si stava facendo scivoloso. Quando Lucinda si rese conto che l’inglese stava perdendo per ragioni diplomatiche, che il cavallo nero stava per infilzare la torre bianca superstite e che per lei era la fine, […] scordò la sua dignità, dimenticò la vendetta, e pregò l’inviato che si arrendesse. Fine.

Chissà se quest’ultimo accolse la supplica. Né se Lucinda riuscì a tornare dal marito.

Polifilo lascia un cimitero colmo di lapidi di amanti morti e dà la stura nei secoli successivi a un’infinità di repliche con tutte le possibili varianti, di corte in corte, di Comune in Comune. Palazzi e piazze sono pavimentati di marmo bianco e nero, come il giorno e la notte, […] Dove il Destino gioca con gli uomini grazie agli scacchi /Qua e là delle mosse, degli scacchi, delle uccisioni […] (Omar Khayyam 1048-1131).

I pezzi della scacchiera amano la notte. Quando il buio avvolge ogni cosa, ferito solo dai globi dei lampioni lungo le strade deserte, le fantasie dei loro padroni li trasformano in persone viventi. Potere, malvagità, pulsioni interiori, ossessioni. Follia. Un ufficiale nazista in un’imprecisata dittatura dell’America latina dà in pasto ragazze rapite, nude e provocanti, a pezzi infoiati di un disgustoso gioco a mostri viventi. Mostri insaziabili, pangolini dalle lunghe lingue viscose, vampiri e draghi che sollecitano il lato oscuro degli esseri umani. Del resto, non si usa l’espressione “gli ho mangiato un pezzo”?

Copertina Arthur Larrue, La diagonale alechin, Neri Pozza, 2022

L’ideatore di questa orrenda graphic novel è il francese Jacques Arcanel (Boa, n° 12, 1971) che Arthur Larrue nel libro La diagonale Alechin (Neri Pozza, 2022) riporta avere indirettamente incrociato negli anni di guerra a Parigi Alexander Alekhine, allora campione del mondo.

Scacchi robot nel film Futureworld del 1976 (da citascacchi.wordpress.com)

Curioso che immersi nella stessa lugubre, disgustosa atmosfera, all’incirca nello stesso periodo, 1976, nel film fantascientifico Futureworld del regista Richard T. Heffron compaiano in un parco divertimenti che promette di soddisfare qualunque fantasia per adulti anche i primi scacchi animati, robottini antropomorfi, come il resto del personale del parco.

I secoli bui di petrarchiana memoria vanno di moda. Trasformate in parate da carnevale, non certo in una corrida dove il toro da uccidere è il re (Gesualdo Bufalino, Saldi d’autunno), partite estive a scacchi viventi si giocano in numerose città medievali italiane, quella di Marostica le più celebre. Dal 1923. Sono come uno spettacolo teatrale che si ripete uguale tutte le sere, per anni. Così statico, prevedibile come i pianeti attorno alle loro orbite. Come spettacoli di Broadway o di Hollywood.

Hollywood 1933, Capablanca-Steiner: rappresentazione della partita a scacchi viventi . (Foto dal General Photographic Agency/Getty Images)

Al campionato panamericano di scacchi del 1945, a Hollywood, non poté mancare una partita a scacchi scosciati. Ragazze del produttore teatrale Earl Carroll in costume da bagno bianco contro bellezze dell’America Latina in abiti formali. Con la partecipazione delle solite star del cinema a scacciare illusioni spezzate e angosce.

Capablanca contro Steiner sul Los Angeles Times, 11 Aprile 1933

Copione quasi identico alle due partite giocate l’11 aprile 1933 a Los Angeles che videro confrontarsi a bordo campo Raùl Capablanca e Herman Steiner, arbitro il regista Cecile B. De Mille. Vinse il cubano e ne riportò dettagliata notizia il Los Angeles Times. Sugli schermi cinematografici sfarfallavano Jean Harlow, Marlene Dietrich e Greta Garbo. Abiti che esaltavano le curve, silouhettes superfemminili. Il mese prima nelle sale di New York era uscito King Gong. Il mostro.

Come il drago che compare nel gonfalone a scacchi bianco e nero della contrada Marendole, a Monselice (PD) per la medievale Giostra della Rocca, rievocazione della lotta tra l’imperatore Federico II e i liberi Comuni. Una creatura infernale che teneva sotto scacco la popolazione e che alla fine fu rinchiuso in una grotta del monte Florin grazie all’intervento del prete esorcista. Misterioso modo di operare del caso o della provvidenza, secondo i gusti. Perché questo non è il drago che la Dama ordina di uccidere al Cavaliere come prova d’amore. Questo è il drago che è dentro di noi, che ci illudiamo di scacciare tra rulli di tamburini, arcieri, strampalati guitti, spostamenti di macine come in un fumetto di Asterix, ondate di calore che salgono dagli acciottolati infuocati. E infine, senza la vera gioia di una battaglia, ecco una partita a scacchi viventi di pedoni che non diventeranno mai regine, di robottini il cui cuore batte altrove. Una partita condotta dal vincitore di un torneo rapid che la precede, aggiudicato nel 2021 a Pier Luigi Basso, a Dvirnyy Danyyi nel 2020, ad Alessio Valsecchi nel 2019, a Luca Moroni nel 2018.

Con l’alba anche Mercurio e Apollo smettono di giocare con i pezzi animati sulla scacchiera e, insieme agli altri dèi, vanno a dormire (Marco Gerolamo Vida, Scacchia Ludus, Firenze, 1525).

Pure i draghi della notte svaniscono.


Claudio Mori, giornalista

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