Bobby Fischer un campione fantasma
7 min read
(Adolivio Capece)
Bobby Fischer è stato il primo campione ufficiale degli Stati Uniti. Il prestigio sovietico – e non solo in campo scacchistico – dopo la sua vittoria del 1972 subì un duro colpo.
I sovietici non si persero comunque d’animo ed iniziarono a prepararsi per riportare al più presto il titolo a Mosca.
Tuttavia il titolo iridato diede forse un po’ alla testa a Bobby.
Fischer aveva dichiarato: “Quando sarò campione del mondo giocherò tutti i tornei possibili”.
E invece dopo la vittoria su Spassky smise in pratica di giocare, fino a perdere il titolo stesso a tavolino nel 1975 a favore del giovane sovietico Anatolij Karpov.
Un piccolo spiraglio sul Fischer post-’75 venne aperto da un articolo di Bella Stumbo (una giornalista nativa del Kentucky, 1943-2002) apparso sul “Los Angeles Time”, in cui si riportarono interviste con le persone che videro o furono in contatto con Fischer dal 1972 (successivamente al mondiale) in poi.
Bobby Fischer, dunque, dopo la vittoria a Reykjavik sarebbe vissuto sotto pseudonimo a Pasadena in California. Non aveva patente, non guidava l’auto, non aveva telefono né televisione, non si curava del denaro e la sola persona che a quanto pare lo vedeva regolarmente era una ricca signora della città, Claudia Mokarov, che lo ospitò in una località segreta, pagando i suoi conti e selezionandone la posta.
Solitario, scapolo e anzi apparentemente refrattario alle donne e al sesso, Bobby aveva una grande paura di essere riconosciuto e soprattutto di essere ucciso.
Fischer aveva infatti il terrore di poter essere obiettivo delle spie sovietiche o di agenti del KGB – timori che aveva già prima del mondiale – e questo è stato uno dei motivi per cui si era rifugiato a Pasadena, città dove i sovietici non potevano godere di immunità diplomatica.
Tra le interviste fatte da Bella Stumbo, una delle più significative è stata quella a Ron Gross (giornalista in verità alquanto discusso), che sembra essere stato un intimo amico di Fischer.
La vita di Fischer tra il 1975 e il 1980 sarebbe stata dominata da tre ossessioni: la forma fisica, poiché temeva sempre di ingrassare, gli scacchi ed una particolare filosofia mescolata alla politica.
Secondo Gross, Bobby di solito andava a letto all’alba, dormiva sino a mezzogiorno, per il resto del tempo lavorava ad un programma di scacchi su computer. Il suo alloggio era zeppo di libri di scacchi, casse di arance, vitamine, flaconi di medicine a base di erbe indiane. Quando usciva di casa si portava sempre dietro vitamine, medicine e frutta e spesso si teneva in tasca anche uno spremiagrumi; andava a rovistare nei negozi di libri, alla ricerca di testi sugli scacchi, di romanzi polizieschi, e di libri di politica che potessero confermare le sue idee.
“Quando è in casa gioca a scacchi, legge, si riempie di vitamine per il timore di ammalarsi: Bobby odia i medici quasi quanto i giornalisti e si rifiuta per esempio di andare dal dentista pur avendo vari denti cariati. Ciò che lo rovina sono certe sue assurde idee di filosofia-politica, che tuttavia sembrano affascinarlo ancor più degli scacchi”.
Queste le dichiarazioni di Gross, la cui amicizia con Fischer pare sia durata fino al rientro da un viaggiò in Messico fatto insieme all’ex campione del mondo.
In quell’occasione Gross fu intervistato da un altro giornalista.
“Bobby pensò che stessi parlando di lui, che fossi pagato per quella intervista e si arrabbiò moltissimo. Da quel momento non sono più riuscito a vederlo”.
Alle dichiarazioni di Ron Gross, delle quali in molti hanno dubitato e che pure aprirono un piccolo spiraglio di luce sul fitto mistero di Fischer, possiamo aggiungere quelle di Peter Biyasas, grande maestro canadese, e di sua moglie Ruth Harwing.

I due si videro capitare in casa all’improvviso Bobby Fischer ai primi del 1982.
L’episodio è stato così raccontato da Ruth:
“Nel periodo in cui Bobby si è fermato da noi ha letteralmente impegnato tutto il nostro tempo. Bobby è davvero un tipo eccentrico, come del resto mio marito ed in genere tutti i grandi scacchisti. Ma non è matto: gli piace andare al cinema, al bar, ascoltare musica. Lui e Peter hanno giocato varie partite, credo una quindicina e Bobby ha sempre vinto; un giorno ha giocato anche con la figlia di un nostro vicino, divertendosi molto. In un’altra occasione, mentre eravamo fuori insieme, un passante lo ha riconosciuto e non mi sembra che la cosa gli fosse dispiaciuta”.
Era ricco Bobby Fischer? A sentire Ruth Biyasas sembrerebbe di sì: “Bobby aveva un sacco di soldi per il cinema e il ristorante” ha dichiarato. “Può darsi che avesse investito i soldi che aveva guadagnato con il mondiale o che ancora ricevesse i diritti d’autore per i suoi libri”.
E aggiungeva: “Parlava spesso di politica e devo ammettere che in questo campo le idee di Fischer sono molto personali, per non dire un po’ strane. Anzi, ci ha detto che stava imparando a scrivere a macchina; vuole scrivere due libri, uno sugli scacchi e l’altro – che lui giudica molto più importante – sulle sue idee politiche”.
Davvero Bobby Fischer era impegnato a scrivere dei libri? La cosa di per sé non è impossibile e dei precedenti ci sono.
Bobby negli anni Sessanta aveva scritto due o tre libri sugli scacchi ed un altro lo preparò molti anni dopo, nel 1981. Ma quest’ultimo non era sugli scacchi, bensì su una triste esperienza da lui vissuta nel maggio di quell’anno, quando, scambiato per un rapinatore, fu arrestato e lasciato per due giorni in carcere prima che la vicenda fosse chiarita.
Secondo il sergente Tom Oldfield del Dipartimento di Polizia di Pasadena, la colpa fu tutta di Fischer stesso, che si rifiutò di dare il proprio nome e indirizzo e si oppose in tutti i modi agli agenti.
Fu comunque una brutta avventura, sulla quale Bobby confezionò appunto il libretto di 16 pagine intitolato “Sono stato torturato nelle prigioni di Pasadena”.

La copertina del libretto è un insieme di sette strisce di color rosso vivo su fondo bianco, onde dare l’idea delle sbarre di una cella.
Il linguaggio di Bobby è semplice, ma drammatico e violento: Fischer lamenta di essere stato lasciato al freddo, senza cibo, in condizioni igieniche pessime e in una cella piena di rumore e di smog.
Questi ultimi due fattori erano dovuti alla circostanza che la cella in cui era stato rinchiuso, e che si trovava al terzo piano del Dipartimento di Polizia, affacciava su una strada di intenso traffico.
Ecco un brano del testo:
“Of course my suffering in this celi was completely horrendous and un-bearable, being stili stripped stark naked as I was. My body and flesh are stili in agony from this gruesome and cruel experience and I write these lines about 8 to 10 days later. I was left in there to freeze to death or die from exposure”.

Nell’ultima pagina del volumetto, scritta a mano, c’è una frase: “scritto e pubblicato, con tutti i diritti riservati, da Robert D. James, ovvero Robert J. Fischer, ovvero Bobby Fischer, campione del mondo di scacchi”.
Dunque Bobby scrisse la storia della sua disavventura una decina di giorni dopo essere stato rilasciato, ed il libretto fu venduto al prezzo di un dollaro a copia dalla sua protettrice Claudia Mokarow.
Ma come mai Bobby fu arrestato? L’avvenimento fu del tutto casuale.
Bobby stava camminando in una strada di Pasadena quando venne letteralmente travolto da un rapinatore, che aveva appena svaligiato un ufficio postale e che scappava a piedi inseguito da un paio di poliziotti.
Ovviamente la polizia arrestò entrambi e quando Fischer rifiutò di dare le proprie generalità, e videro che non aveva indosso documenti, venne trattenuto insieme al rapinatore.
Alla fine venne rilasciato, sotto il nome di John Doe (in seguito Fischer brontolerà per non essere stato riconosciuto!), dopo aver pagato una contravvenzione di 40 dollari per aver rovinato il materasso della cella.
La polizia di Pasadena … i Biyasas … Ron Gross: brevi testimonianze a ricostruire alcuni momenti della vita del grande scacchista statunitense.
Un appassionato ha poi affermato di aver visto Bobby Fischer durante i campionati ‘open’ di Pasadena del 1984. Secondo questa testimonianza Bobby era seduto in un bar proprio accanto alla sala gioco, avvolto in un impermeabile trasandato, con occhiali scuri, barba lunga ed un cappello a larga falda calato sulla fronte.
Quando l’appassionato ha cercato di avvicinarlo, tuttavia, Fischer si è alzato di scatto ed è scappato via.
Ma in conclusione, la sola persona che sembra aver avuto dei reali rapporti con Bobby Fischer è Claudia Mokarow, una signora molto ricca ma rozza, sulla cinquantina, capelli biondi tinti.
Lei conobbe Bobby nel 1975 poiché Fischer si era messo a frequentare la chiesa della setta religiosa cui lei apparteneva e di cui il marito era il predicatore. La Mokarow prese Fischer in simpatia e quando rimase vedova lo accolse in casa; da allora ne gestì la vita, arrivando a volte, secondo quanto da lei stessa affermato, a spendere fino a novecento dollari al mese per mantenerlo.
A Claudia Mokarow non piacevano gli scacchi e non le piacevano nemmeno i giornalisti.
Ma Bella Stumbo del “Los Angeles Times” riuscì a scovarla.
“Un sacco di cronisti vorrebbero parlare con Fischer e mi infastidiscono di continuo per poterlo rintracciare”, le dichiarò la signora Mokarow; “… ma come una star di Hollywood farebbe qualsiasi cosa per una intervista importante, così all’opposto Bobby Fischer vuole essere lasciato in pace.
Comunque, se proprio insiste, mi invii un’offerta scritta specificando la cifra che è disposta a pagare per l’intervista. Oh, a proposito, il minimo è un milione di dollari e non è detto che Fischer accetti…”
P.S.: l’immagine sotto il titolo si riferisce ad un film del 1993 del regista americano Steven Zaillian, film sulla storia di un giovane scacchista statunitense che in realtà non aveva nulla a che fare con il nostro campione.