Gli scacchi nella camera oscura: foto d’artista messe a nudo
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Gordon Parks, Showgirls Play Chess Backstage at the Latin Quarter Nightclub, 1958 (Foto The Gordon Parks Foundation)
(Claudio Mori)
Come la mano del giocatore di scacchi determina il destino dei pezzi, così la mano del tempo ne modifica il significato all’interno delle rappresentazioni artistiche, dei sogni, delle agonie. Diventano metafore, disegnano altre trame, a volte imprevedibili.
Non sono più gli scacchi il gioco, bensì si gioca con essi. La metafora del destino umano si fa carnale con il suo repertorio di illusioni. Quindici secoli del teatro di guerra degli scacchi in ogni parte della terra si ritrovano invischiati in un gioco infinito di rimbalzi, di sguardi obliqui.
Non basta la semplice verità della loro esistenza e dei loro movimenti, come nel mosaico pavimentale di Piacenza dell’XI secolo, le caselle della scacchiera al loro posto, i pezzi che al loro interno si affrontano, le mani che li guidano. I poeti, quegli irriducibili visionari, da subito li hanno trasfigurati in sfide di superiorità intellettuale, in sofferti amori epici, in grandi favole, in rane che giocano con il Tempo delle Piogge. Grazie ai poeti, le leggende si sono coagulate in storia degli scacchi.
Addentrandosi nel Medioevo, il gioco e i suoi protagonisti abbandonano le severe visioni islamiste dove donne, dadi, caccia e vino sono vizi nati dalla lussuria e si vestono di altri simboli sotto l’urgenza di celebrare il sentimento, l’amore, lo stato sociale o politico. Effimeri talvolta, come le scacchiere approssimative, rettangolari, nella miniatura di Otto di Brandeburgo in un Libro delle ore o gli scacchi tutti neri nel dipinto di Liberale da Verona, protagonisti due novelli sposi spensieratamente riccioloni.

Oppure complici di un gioco erotico tra una prorompente Venere nuda e un Mercurio corazzato nella tela di Alessandro Vartorari, il Padovanino, riedizione pittorica del poema di Marco Gerolamo Vida dove sempre protagonista è Mercurio che batte Apollo e si guadagna i favori della ninfa Scacchide.

Sovente in palio ci sono il talamo o la testa dell’eroe, come nella partita a scacchi che oppone Huon alla figlia dell’emiro saracino Yvarin, storia saccheggiata cinque secoli dopo da Giacosa con i suoi paggio Fernando e Iolanda. Insomma, un gran teatro, gli scacchi, “che a noi mostra, a un tempo insieme,/ guerra, schermo, duel, tragedia e gioco” (Alessandro Salvio, Il Puttino altrimenti detto il Cavaliero errante, Napoli 1634).
E così di terzina in rima baciata, di miniatura in bassorilievo, di dipinto in collage si arriva a Niépce e a Daguerre. Irrompe la fotografia, a scompigliare nell’800 le tele degli impressionisti e dei dadaisti. E a scomporre il disordine del mondo in infiniti fotogrammi che ripeteranno all’infinito ciò che ha avuto luogo solo una volta. Il mondo in un bagno di sviluppo. L’invenzione luttuosa della fotografia, qualcuno ha detto.
Anche scacchi e scacchisti in queste nuove rappresentazioni, racchiuse tra lo sguardo non più di un pittore ma di una macchina fotografica e lo sguardo di chi osserva la fotografia, trovano il loro posto, nei riti delle sfide tra i campioni, nell’immagine in bianco e nero di un gruppo in un circolo scacchistico, come un ritorno dei morti, come i volti belli dei tuoi cari su un tavolino del salotto, come il tempo perduto. Se avessero potuto vederle queste foto, sarebbero rimasti terrorizzati quei frati moralisti dei secoli passati che per farsi sciroppo di esseri senza destino avevano speso energie a scagliare anatemi contro il gioco quanto a pregare o a studiare le Scritture.
Ora la storia, in queste foto, si dissolve di nuovo in leggenda lungo gli anni che scorrono, come una nota tirata di violino: Capablanca contro il padre a quattro anni (1892), Tolstoj che gioca con suo genero (1907), la simultanea di Reshevsky a 8 anni in Francia (1920).
Anche la fotografia è teatro. Basta osservare lo scatto di moda di Kennet Heilbron intitolato “Modelli di tavolo da scacchi” fatto nel 1949 per la Marshall Field & Co, la catena di grandi magazzini di Chicago, dove in realtà il modello è anche la modella in un’artificiosa posa meditabonda mentre osserva la scacchiera congestionata da tipici scacchi cinesi da esportazione, quei Concentric balls dove all’interno dei globi traforati a sostegno dei pezzi sono state intagliate altre sfere. La fotografia è stata aggiudicata il 26 novembre 2022 all’asta Antiquariat Klittich – Pfankuck per 30 euro.

Teatrale, in senso letterale, è lo scatto del grande fotografo afroamericano Gordon Parks (1912 – 2006) rubato dentro i camerini di un teatro del quartiere latino di New York, nel 1958, Showgirls Play Chess Backstage at the Latin Quarter Nightclub, ormai riprodotto in un mucchio di poster per pochi dollari. Sul palcoscenico le ballerine di un burlesque agitano nappe, piume di boa, lustrini, reggicalze a beneficio di un pubblico guardone. Dietro il sipario tre ragazze riposano e iniziano una partita a scacchi in pose fiacche, le gambe pesanti, tra il fumo delle sigarette che impregna l’aria e i profumi dei belletti. Non esibiscono i loro corpi ma il disfacimento della stanchezza, la durezza di un lavoro che non lascia spazio alle illusioni, le ferite dei loro animi. La fatica nuda e cruda di vivere.

Fuori dalla porta del teatro, in una New York verticale, tutta in piedi rispetto alle città coricate europee, un Babbo Natale sotto fiocchi di neve offre caramelle ai passanti.
A volte gli scacchi si trovano invischiati in giochi di seduzione, smuovono la parte oscura e perversa del desiderio. Come in Chess stories, foto dell’affermato artista ucraino contemporaneo, Ruslan Lobanov, collaboratore della rivista Playboy e del gruppo di cosmetici L’Oréal, che ha fatto del nudo femminile, del suo uso dichiaratamente sensuale e provocatorio, la fonte di ispirazione.
A differenza dell’immagine di Parks è qui evidente l’intenzione manipolatoria: uno scatto studiato, all’interno di un parco di giostre e di baci rubati. La ragazza sollecita lo sguardo maschile a spiarla con calma. Bionda patinata, il punto grigio di un capezzolo svelato, vestito trasparente e ghiacciolo mordicchiato. È appoggiata a uno dei quattro giovanotti attorno alla scacchiera, comparse che non guardano nell’obiettivo della macchina fotografica, creature celibi, sonnolente, prive della tensione erotica che solitamente abita lo scacchista che muove il pezzo. A chi guarda la giovane interessano una cippa le Chess stories, le storie di scacchi. La ragazza si veste dello sguardo che la denuda.
Nessuno cade nell’inganno del titolo. Né si chiede se il libro che uno dei giovanotti ha in mano possa essere caso mai Strategia e tattica negli scacchi di Max Euwe (1937) o Le idee dietro le aperture degli scacchi di Reuben Fine (1943) o invece Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov, di Kiev, dove “in primavera fiorivano di bianco i giardini, si rivestiva di verde il Giardino imperiale, il sole penetrava in tutte le finestre, vi appiccava incendi. E il Dnepr! E i tramonti! E il monastero Vydubeckij sulle colline […]”.
L’oggetto dello scrutare è solo lei, la regina-vampiro, la Barbie, la Lulù di Frank Wedekind “le caviglie sottili, un cantabile; il polpaccio delizioso, le sue ginocchia, un capriccio; è l’andante possente della voluttà”. La foto di Lobanov è stata aggiudicata all’asta Ebay del 4 ottobre 2022 per 530 euro.

Le due ragazze, quella di Lobanov e quella della Cheborateva, sono maschere immobili nel tempo di un teatro dell’immaginario, dove messe a nudo sono le pulsioni più diverse, i pensieri inconfessabili. Uno specchio per toglierci i vestiti. Da rimpiangere senza alcun dubbio quelle labbra surrealiste di Lee Miller fluttuanti nel cielo leggere come nuvole, come ali di gabbiano e, sotto, una donna sdraiata, nuda, di spalle, persa nella sua rêverie, con ai piedi gli scacchi del suo amante, Man Ray.

In ogni caso bisognerebbe potere rovesciare lo sguardo da quello inerte sull’immagine a quello dello spettatore per leggere la capacità seduttiva che queste immagini femminili hanno su di lui, sulle sue emozioni. Come fece nel 1948 Rober Doisneau a Parigi, nascosto con la sua Rolleiflex dentro la galleria d’arte di Romi, in un servizio per la rivista Life. Sul lato della vetrina aveva esposto un quadro di una donna nuda di spalle, soggetto osé per l’epoca, e ripreso le reazioni dei passanti. In uno degli scatti di Doisneau la donna ignora il nudo, fluttua su un altro soggetto, mentre l’oggetto feticistico è pienamente presente nello sguardo maschile. Tutta la variegata gamma di emozioni messa a nudo. Sorpresa, scandalo, morbosità. Donne, inferno e rock’n’roll.

Claudio Mori, giornalista