Ricordi in bianco e nero
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"Shadows on the chessboard" di Karol Bartnik
(Fabio Lotti)
Presento alcuni incontri durante i miei excursus scacchistici che riportai in “Partita a scacchi con il morto” del sottoscritto e di Mario Leoncini, Prisma 2004.

A Montecatini Terme ho conosciuto e fatto amicizia con un Grande Maestro. Per giunta italiano dalla punta dei piedi alla cima dei capelli. Fresco fresco allora di giornata perché proprio in questa bella città della Toscana conseguì la norma definitiva che lo ha reso socio dell’esclusivo club dei Cervelloni della scacchiera. Michele Godena non ha l’aspetto né presenta le stimmate del Genio, che so gli occhi incavati e stralunati di chi vive su un altro pianeta. Tutto in lui è normale, una faccia facciosa che vien voglia di dargli un morso, due occhioni azzurro tenero specchio dell’anima, la bocca votata al sorriso gentile. A scacchi lo riterresti bravo ma non più di tanto. A certi livelli occorre anche una bella dose di “cattiveria” che non riesci a scorgere in lui. La trasformazione avviene durante il gioco o quando analizza. Allora dalla sua normalità esce la spada di fuoco che lo tiene lontano da noi. La bonomia diventa dura fermezza, il sorriso naturale corollario della sua superiorità. Sulla scacchiera si intreccia il ricamo dorato della mente, i giudizi, seppure espressi con il solito tono lieve e discreto acquistano l’arcana infallibilità degli antichi oracoli. Faccia facciosa non è più il puffo simpatico che vorresti per sempre con te, ma il Grande Stregone che ti incanta, il Saggio che ti illumina. Michele Godena è un Grande Maestro di scacchi e un Grande uomo, quindi un vero Grande Maestro. Nel pettegolezzo astioso che si crogiola al vento dell’invidia di maestrucoli da strapazzo egli mantiene un contegno di rispetto verso tutti. L’ho sentito io stesso riprendere qualcuno di tali mediocri spingilegno che sputacchiava intorno la sua stizza umorale, e questo mi ha fatto piacere. A Michele Godena va tutta la nostra stima, tutta la nostra riconoscenza, tutto il nostro affetto.

Difficilmente dimenticherò il mio primo impatto con il solare G.M. Igor Naumkin nella splendida isola d’Ischia. La prima impressione, che poi è rimasta immutata, fu quella di una irrefrenabile simpatia. Simpatia dovuta non solo al suo aspetto fisico da rotondo, pasciuto fattore di campagna, ma anche dal suo modo di fare e di agire con estrema naturalezza. Qui l’uomo sopravanza l’artista degli scacchi che non è poco. Mi ricordo di alcuni Maestri nostrani che hanno perduto con Igor senza capirne il perché. La sua ben nota golosità infantile, il gusto per la buona tavola che traspare da tutta la sua persona (mi vengono in mente certi fratacchioni gaudenti della novellistica medievale) e, soprattutto, da due occhietti soddisfatti e imbambolati ce lo fanno apparire meno distaccato e lontano dalla nostra mediocre normalità. Quando vince, o comunque riesce ad essere premiato, lo vedete aprire la busta con la frenetica curiosità del bambino che apre il pacco-dono di Natale. Se si tratta di banconote tutto va bene, ma se si tratta di assegni allora sono smorfie e lagnanze a non finire. Dice che non glieli pagano e ce ne vuole per fargli cambiare idea! “ Gli scacchi sono un gioco che non sa di niente. Se uno risponde bene è sempre patta “ sentenzia spesso con la sua voce sottile, scuotendo le gote paffute. E non sai se faccia sul serio o se ti prenda in giro. Ma forse lo pensa davvero e l’ho visto più volte arrivare in ritardo ad un incontro con l’aria assonnata e distratta di chi deve svolgere un lavoro per nulla gradevole. Poi sulla scacchiera le cose cambiano e all’improvviso il disincantato Naumkin diventa un sornione micidiale che non lascia scampo all’avversario. E Allora il dubbio rimane “ E’ proprio così o ci fa? “. Aggiungo un saluto affettuoso ora che ci ha lasciato.
Tra i pezzi grossi dello scacchismo extracomunitario mi piace ricordare il duo Mrdja-Dragojlovic. Li metto insieme perché li ho visti giocare l’uno contro l’altro a blitz. Uno spettacolo nello spettacolo. Sia per la loro innegabile bravura, sia per la loro “recitazione”. Soprattutto da parte di Mrdja, vero istrione della scacchiera. In tre o cinque minuti (secondo il tempo prefissato) ti viene snocciolato tutto il repertorio del più istintivo e sanguigno teatro popolare: battute, lazzi, smorfie e accidenti vari. Il più simpaticamente aggressivo è Mrdja che non sta mai zitto “ A blitz sono 2600! “ grida compiaciuto. Dragojlovic, che pare un gigante uscito da una delle tante fiabe lette da bambino, sopporta, tiene duro e spesso si rifà con il gioco. Che non finisce mai. Perché l’uno non vuole cedere all’altro. Si assiste allora a veri e propri blitz tematici ed un giorno li ho visti giocare per ben otto volte una nota variante del Dragone della Siciliana.

Il Grande Maestro Lexy Ortega mi ha fatto subito un’ottima impressione. Viso aperto, simpatico su un corpo scattante. Una parlantina spagnolesca che ben si adatta ad un atteggiamento istintivamente spavaldo. Come il suo giuoco pungente, aggressivo, ricco di novità e di idee personali. Credo che sia uno dei pochi Grandi Maestri che riescono a battere con relativa facilità i giocatori di livello inferiore. L’ho visto infliggere pesanti sconfitte a pur bravi Maestri nostrani, attraverso un repertorio di aperture tutto particolare che deve comunque costare ore ed ore di studio e di analisi. Perché spesso si tratta di linee di gioco minori che in mano di qualche altro potrebbero portare a situazioni oltremodo spiacevoli. Ma lui sa farle fruttare ugualmente con le opportune “modifiche“. D’altra parte sembra non prendersela nemmeno troppo quando perde. Diverso tempo fa tirò fuori un cappellone michelangiolesco contro Elena Sedina a Montecatini Terme senza batter ciglio. Sorrise, e strinse la mano alla sua avversaria, lasciando da parte le solite litanie. E’ venuto un paio di volte al nostro circolo di Siena a tenere lezioni sul nobile giuoco. Ho perso sfortunatamente la prima, ma ho assistito alla seconda. Ascoltare Lexy Ortega è un vero piacere. Per la sua immediatezza, la sua spontaneità, la sua indiscussa competenza.
Fiorentino Palmiotto è una pietra miliare nel gioco degli scacchi. Te lo ritrovi dappertutto come organizzatore di tornei e come giocatore. Con la sua immediatezza da bolognese genuino, con il suo portamento distinto. Sempre pronto a parlare di sé, dei suoi luminosi trascorsi, a rifilarti le sue pubblicazioni che si porta dietro da anni. Allora apre la sua cartella e ti mostra sempre con la medesima passione partite di sapore antico, vecchie battaglie di un tempo che fu. Il primo impulso è quello di fuggire, ma non puoi. Non per indelicatezza e maleducazione, ma perché il vecchio leone ha saputo quasi subito conquistare la tua curiosità con un’arte accattivante intessuta di sapienza, di esperienze personali, di aneddoti gustosi. Una bella fetta di storia degli scacchi d’Italia, e oltre, ti passa davanti con la genuinità e il calore di una conversazione tra vecchi amici.
Di Elmar Ausmins ho un ricordo ben preciso. San Benedetto del Tronto, 2 luglio 2001. Prima partita del torneo. Bianco Lotti, Nero Ausmins. Est-indiana, variante dei quattro pedoni. Netto vantaggio del sottoscritto in apertura. Breve momento di gloria con frequenti apparizioni intorno al mio tavolo degli Inarrivabili. Crollo fisico alla quarta ora di gioco, cappelle varie e partita persa. Ausmins, rintanato di sghimbescio sulla sedia mi apparve subito una faina che fiuta la preda. Anche l’aspetto fisico contribuisce a favorire questa impressione. Piccolo, minuto, il mento un po’ affilato, due fessure vivaci e scaltre al posto degli occhi. Analizzammo, parlammo per un po’ a ruota libera e dal freddo killer delle sessantaquattro caselle venne fuori un essere timido, pacato, nostalgico della sua terra e della sua famiglia. Quel torneo non fu buono per lui. Cercai di rincuorarlo con un “ Forza, non te la prendere “. Mi fissò allora con aria decisa come un rimprovero per la mia inopportuna delicatezza. “ Vincerò il prossimo torneo “ sibilò sicuro e se ne andò con un ghigno che non prometteva nulla di buono per i suoi avversari.
Vorrei presentarvi tre Maestri senesi che hanno dato e danno lustro al circolo di scacchi del CRAL del Monte dei Paschi di Siena. Si tratta, in ordine alfabetico, di Marco Gorelli, Mario Leoncini e Alessandro Patelli.
Marco Gorelli è il ragazzo (ora un po’ cresciuto) più serio e “posato” che abbia conosciuto. Senza grilli per la testa, sempre calmo e disteso fino all’esasperazione. Mai che lo abbia sentito alzare la voce o visto gesticolare, in modo non dico minaccioso, ma quantomeno nervoso. Nei rarissimi momenti di rabbia sfrenata si sfoga allora con un “Capperoni!” che ti fa gelare il sangue nelle vene. Eppure non è un agnellino. Ha il suo bel carattere fermo e risoluto e, se è convinto di una cosa, non lo smuovi nemmeno con le cannonate. Di media statura e di normale corporatura, ha una vaga somiglianza con Karpov. Anche nel gioco, poco appariscente ma preciso e tremendamente funzionale. Specialmente a blitz, dove ti costringe alla resa attraverso una serie di mosse grigie solo all’apparenza, senza mettere a disagio l’avversario con pose da Grande Maestro o stupidi gridolini di gioia.

Mario Leoncini, ex-vicepresidente della Federazione scacchistica italiana, è un segaligno occhialuto veramente interessante. Dotato di ottime capacità organizzative è sempre in cerca di nuove soluzioni per ringalluzzire l’apatico mondo di Re e Regine. Trovi in lui una fine ironia anche su se stesso, ed una curiosità intellettuale sempre vivida che te lo rende più vicino di quello che può apparire a prima vista. Il suo sito internet sugli scacchi è, a detta di molti frequentatori, uno dei più interessanti. Ha un gioco per lo più tagliente, ama gli spazi aperti e le combinazioni, ma non disdegna di entrare in finali dove far valere la tecnica dovuta allo studio. Quando non gioca, al circolo, e si mette a guardare gli altri, è un vero e proprio rompiballe. Con i suoi commenti e le sue battute. Specialmente verso il sottoscritto. Che lo sopporta, e ricambia con qualche minaccioso grugnito.
Di Alessandro Patelli ho un ricordo ben preciso. Fu mio scolaro per un anno al liceo scientifico “Galileo Galilei” di Siena, e fu anche colui che mi avviò per primo lungo gli aspri sentieri della dea Caissa. Correva l’anno 1971, se la memoria non mi inganna, e di lì a poco sarebbe avvenuto l’incontro del secolo che tutti conosciamo. Alto, robusto, dai modi educati e gentili, diventati via via più risoluti con il passare degli anni, Alessandro è il giocatore senese che ha ottenuto i migliori risultati anche contro avversari di prestigio internazionale. Meticoloso nello studio teorico, predilige il gioco brillante, a doppio taglio, dove può spaziare con la sua fervida fantasia. Tenace e grintoso l’ho visto portare a buon termine finali molto lunghi ed estenuanti, che avrebbero letteralmente schiantato il sottoscritto. Da quando è diventato papà di Aurora gli si illumina anche il naso. E’ superfluo sottolineare che il circolo sta facendo un bel risparmio di luce elettrica.

Vi è un altro personaggio scacchistico senese sul quale bisogna proprio che mi soffermi. Trattasi del Candidato Maestro Luigi Barbafiera, detto il Barba, il quale, dal momento che se ne è andato in pensione, non fa che girare come una trottola tra vari tornei italiani. Se vedete uno alto, imbiancato e con il naso rosso è probabile che sia lui. Se lo sentite proferire l’espressione “capra reale” rivolta a qualcuno, allora è lui di sicuro. Buon giocatore di blitz, altalenanti le sue prestazioni nei tornei, ultimamente, però, in rapida ascesa. Chi dice che da vecchi (per modo di dire) si rincoglionisce il Barba è lì a smentirvi, soprattutto con la sua volontà incrollabile di stare appiccicato per ore sulla sedia senza batter ciglio. E allora sconfiggerlo (negli Open B) risulta un’impresa. Da quando è stato eletto tesoriere del circolo è diventato tirchio come un rabbino (non se l’abbiano a male i rabbini) e non c’è verso di tirargli fuori qualche spicciolo se non dopo lunghe lotte estenuanti.
P.S. Di Mario Leoncini non perdetevi “La grande storia degli scacchi”!
Fabio Lotti è nato a Poggibonsi (Siena) nel 1946. Laureato in Materie Letterarie, è Maestro per corrispondenza e collaboratore di riviste scacchistiche specializzate. Ha pubblicato vari testi teorici, tra i quali “Il Dragone italiano“, “Gambetti per vincere” e “Guida pratica alle aperture“.
Un sentito ringraziamento ad Ale e Mario veri trascinatori degli scacchi senesi.
L’amico Fabio descrive e chi meglio lui il multiforme estroverso, introverso e intrigante mondo degli scacchi e dei suoi paladini
Fabio nell’ articolo spicca la tua elevata intelligenza,simpatia e semplicità. Complimenti