Uno Scacchista

Annotazioni, Spigolature, Punti di vista e altro da un appassionato di cose scacchistiche

Partite apocrife, plagiate, inventate

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(Adolivio Capece)
Non sono pochi i personaggi della storia, della cultura, dell’arte, di cui sono state tramandate partite con la certezza che siano state davvero giocate da loro. Raramente le mosse sono state scritte dal personaggio protagonista della partita, ma quasi sempre lo ha fatto qualcuno che era presente, e che lo ha fatto dopo la conclusione della partita nella quale di solito si era verificata una combinazione finale brillante. Qualcuno quindi abbastanza esperto per capire che poteva valer la pena di tramandare ai posteri quella combinazione e abbastanza esperto per ricordarsi (o essere in grado di ricostruire) le mosse giocate.

Prendiamo per esempio Carlo Marx (5.5.1818 – 14.3.1883), l’autore de ‘Il Capitale‘.

Della passione per gli scacchi di Marx ci viene data testimonianza da un memoriale (‘Karl Marx zum Gedachtnis’) di Wilhelm Liebknecht, noto uomo politico del XIX secolo.

All’inizio degli Anni Cinquanta, scrive Liebknecht, nel nostro gruppo di esuli a Londra si giocava molto a scacchi; avevamo molto tempo libero e così ci esercitavamo assiduamente in questo ‘gioco di saggi’ sotto la guida di Ferdinand Wolf, un giornalista che aveva frequentato a Parigi i migliori giocatori. In realtà Marx era un virtuoso del gioco della dama, in cui era di gran lunga più bravo che a scacchi. Eppure insisteva nel giocare a scacchi e talvolta le nostre partite erano tempestose: in particolare Marx, quando si trovava in una situazione difficile, si innervosiva e se perdeva si infuriava…. ”

Un aspetto del carattere di Marx confermato dalla moglie, che quando invitavano a cena degli amici aveva proibito loro di giocare a scacchi con lui, poiché “se avesse perso qualche partita avrebbe reso a tutti un inferno il resto della serata”.

Nel suo memoriale Liebknecht ricorda che intorno al 1855 nel periodo di permanenza parigina, quando si nascondeva sotto il nome Roter Wolf (‘lupo rosso’), Marx ebbe occasione di giocare con il tedesco Gustav Richard Neumann (destinato a diventare un forte maestro ma allora solo 17enne e quindi alle prime armi dal punto di vista scacchistico); Marx una volta vinse con una combinazione brillante e Liebknecht a quanto pare ne fu colpito, tanto da prendere nota della posizione in cui Marx realizzò la combinazione conclusiva, e trascrivere le mosse finali.

Neumann – Marx
(1855?)

Il Nero, Marx, muove e vince:


Nello stesso tempo non sono pochi i personaggi della storia, della cultura, dell’arte, di cui sono state tramandate partite che in realtà sono state giocate da altri, di solito in torneo dove la trascrizione è obbligatoria.

Ecco allora le partite ‘apocrife’: partite che nel corso degli anni, a volte dei secoli, sono state attribuite ai personaggi più illustri, esempio tipico Napoleone. Ma di solito prima o poi si è scoperto da chi fossero state giocate realmente.

Facciamo un esempio, che ritengo non molto noto, relativo a Vincenzo Pecci, papa dal 1878 al 1903 con il nome di Leone XIII, autore della famosa enciclica “Rerum Novarum“. Di questo Papa si hanno notizie storiche che confermano la sua passione per gli scacchi almeno quando era cardinale nella arcidiocesi di Perugia.

Si sa per certo che suo avversario abituale era il reverendo Francesco Guida. E viene tramandata una partita che sarebbe stata giocata dai due nel 1857.
Vediamola.

Rev. Guida – Card. Pecci
(1857?)

Si tratta però di un falso, poiché è stato appurato che in realtà la partita venne giocata tra Ilya Shumov e Carl Jaenisch nel match disputato a San Pietroburgo nel 1854.  Poi nel 1860 venne pubblicata dalla “Schachzeitung“.


Vediamo un’altra partita, che pure spero poco conosciuta dai nostri Lettori.

Questa partita sarebbe stata giocata nientemeno che da Albert Einstein, e nientemeno che con il fisico statunitense Robert Oppenheimer, suo famoso collega, balzato agli onori della cronaca per il recente film di cui hanno parlato tutti.

Albert Einstein e Robert Oppenheimer (Life Magazine)

La fama di Oppenheimer (1904-1967) è legata soprattutto alla costruzione della prima bomba atomica con lui direttore del progetto Manhattan e alla successiva crisi di coscienza che lo indusse al rifiuto di lavorare alla bomba all’idrogeno.
Anche in questo caso si tratta quasi certamente di un falso, dato che inizialmente la partita venne indicata come giocata a Princeton nel 1933, ma poi quando fu appurato che Oppenheimer non era stato a Princeton quell’anno, fu indicata come giocata genericamente negli Stati Uniti nel 1940.
Un’altra cosa che fa pensare ad un falso è il fatto che il Nero ad un certo punto ‘abbandona’, cosa non frequente tra giocatori non troppo esperti che di solito arrivano allo scacco matto.
Nessuno però, almeno finora, si è preoccupato di cercare se, dove e da chi sarebbe stata giocata nella realtà.

A. Einstein – R. Oppenheimer
Princeton, USA, 1933 (?) – United States 1940 (?)


Veniamo ora a quelle che definisco partite ‘plagiate’. Le ho chiamate così, ma credo che qualche Lettore saprebbe trovare un temine migliore, per indicare quelle partite (e non sono poche) che vengono riportate in un romanzo o in un film e che sono state giocate nella realtà ma vengono attribuite ai personaggi (fittizi) del libro o del film.
Possiamo dire che l’Autore o il Regista sapessero giocare a scacchi e che abbiano magari anche letto, se non studiato, qualche libro?

Vediamo per primo “2001, Odissea nello spazio“, il famoso film di Stanley Kubrick, che ha reso celebre HAL, il computer di bordo che sapeva anche giocare a scacchi.
Stanley Kubrick (New York, 26 luglio 1928 – St. Albans, 7 marzo 1999) giocava a scacchi: imparò da piccolo e subito mostrò grande abilità nel gioco. Si dice che spesso, prima di girare scene delle quali non era del tutto convinto, Kubrick si fermasse per giocare una partita.
L’aneddoto più noto è relativo alla lavorazione de Il Dottor Stranamore: sembra che all’improvviso abbia bloccato tutto il set per il resto della giornata, si sia seduto alla scacchiera e abbia invitato a giocare chiunque ne avesse avuto voglia; la cronaca racconta che batté ogni avversario.

Un momento importante di “2001, Odissea nello spazio” è la partita tra HAL e il comandante dell’astronave, il capitano Frank Poole.
Ad un certo punto appare con chiarezza sullo schermo la posizione che prelude alla combinazione finale che permetterà al computer di dare scacco matto.
Appare con tanta chiarezza che è stato possibile appurare che la partita è stata giocata realmente tra A. Roesch e Willy Schlage ad Amburgo nel 1910 (17’ Congresso, torneo Sussidiario B).

Frank Poole – HAL
in “2001: Odissea nello spazio”, 1968


Restiamo in tema cinematografico per “James Bond 007 dalla Russia con amore“, il celebre film di Terence Young (con Sean Connery) tratto dall’omonimo racconto di Ian Lancaster Fleming, che penso tutti o quasi gli appassionati abbiano visto.

(da “From Russia with love”, 1963)

Il film presenta quasi subito una scena scacchisticamente perfetta per la precisa ricostruzione di un importante torneo sovietico; sulla scacchiera gigante che viene inquadrata è riprodotta una ben nota posizione della storia degli scacchi, ricavata da una partita realmente giocata tra Spassky (bianco) e Bronstein a Leningrado nel campionato dell’URSS 1960.

La partita viene attribuita ai due protagonisti del film, che sono appunto ‘fittizi’: Kronsteen (Cecoslovacchia) – una ‘deformazione’ del nome di Bronstein – e l’avversario McAdams (Canada).
Tuttavia rispetto alla posizione originale la posizione nel film viene presentata senza i Pedoni centrali in c5 e d4 (“per evitare possibili problemi di copyright”, hanno spiegato i produttori!).

Lasciamo perdere anche in questo caso il pessimo doppiaggio italiano del commento alla sequenza delle mosse conclusive.
Ma c’è da chiedersi: chi si è reso conto che togliendo i due Pedoni centrali non cambiava niente? Il regista che quindi sapeva giocare ed era quindi evidentemente giocatore di buon livello? Oppure un amico (forse un Grande Maestro?) del regista o dei produttori?
Due Pedoni centrali non sono come due Pedoni laterali che non influiscono sul gioco. Chi ha detto che si potevano togliere senza problemi? Sarebbe interessante scoprirlo.
Ma credo che nessuno si sia posto queste domande e devo ammettere che anch’io, che pure in alcuni articoli ho parlato del film, prima d’ora non mi ero mai occupato di questo aspetto – scacchisticamente importante – della questione.

Kronsteen (Cecoslovacchia) – McAdams (Canada)
in “James Bond 007 dalla Russia con amore”, 1963


Dai film ai romanzi, iniziando con Gesualdo Bufalino (1920-1996) che di saper giocare lo confermò lui stesso in una lettera del 1945 all’amico Angelo Romanò, quando era ricoverato presso l’ospedale di Scandiano (RE):
Ho trovato un degno avversario e passo il mio tempo fra torri e alfieri (tu forse ignori le metafisiche dolcezze e figure di questo gioco. Imparalo)“.

E parliamo di uno dei suoi testi più noti, “Diceria dell’untore“.
Nella “Nuova edizione accresciuta da pagine inedite e dagli archivi dell’opera” (Bompiani, 1998) nella Appendice, è riportato il diagramma della posizione finale (detta di Damiano) della partita a scacchi giocata e perduta dall’Io narrante contro il Magro.

Nella pagina successiva c’è la notazione della partita. Leggiamo:
Togli quelle medicine, metti a posto la scacchiera. E prenditi pure la mossa, te la regalo”.
Eseguii /…/ mi infuriai vedendo la sua Regina, col sussidio di un Alfiere alle spalle, penetrare entro i placidi tabernacoli del mio arrocco e venirsi a proporre impudicamente a una triplice presa in G1, immolandosi sì ma non senza ribadire intorno al mio Re un soffocante cemento di pezzi. Tanto da permettere all’accorrente Cavallo di infliggermi il più ironico e doloroso dei matti: il matto affogato. Ma mentre rovesciavo il mio Re come d’uso: ‘Uberius’, proclamò il mio avversario e soggiunse, improvvisamente meditabondo:Chissà perché il sacrificio di Regina dà a chi lo compie un così equivoco orgasmo, non lontano da quello amoroso?

Vediamo come viene presentata nel testo la partita:

“Se ne dà qui la notazione grafica e il diagramma della posizione finale (detta di Damiano):


Passiamo ad un altro Autore, Daniel Pennac, che pure conosceva gli scacchi. Ce ne dà conferma nel romanzo ‘Signor Malaussene’, quando il protagonista Benjamin va a trovare lo ‘zio’ Stojil, un vecchio guardiano notturno di origine slave.
Abbiamo tirato fuori la scacchiera, abbiamo sistemato i pezzi. Ha pescato i bianchi ed abbiamo cominciato a giocare. Zio Stojil mi disse che stava per morire e io ho detto stupidamente ‘mi avevi giurato di essere immortale …’ E lui: ‘È vero, ma io non muoio, arrocco.”
Arriviamo poi al punto essenziale.
Zio Stojil: ”d5!, piccolo. Se il tuo alfiere prende d5 la mia Regina prende c3! E se credi di cavartela fregandomi la Regina, il mio Alfiere nero ti dà scacco matto in a3. È lo scacco matto di Boden contro Schulder nel 1860, uno scacco matto da antologia. Eppure le lo avevo detto di non fidarti delle diagonali!”

In realtà la partita citata da Pennac fu giocata nel 1853 a Londra, ma comunque la citazione la dice lunga sulla conoscenza degli scacchi di Pennac.
Ricordiamo che Samuel Boden fu un buon giocatore e per 15 anni (1858-1873) fu redattore della rubrica scacchistica sul ‘Field’ (rivista sportiva mensile; dopo di lui subentrò Steinitz).
Poco si sa invece di Schulder, di nome forse Rudolph, che sembra fosse un giovane commerciante di origine tedesca.

La posizione del diagramma, riportata in molti manuali come

 “Scacco matto di Boden”,

si verifica dopo le mosse:

(“il Re è mattato dal tiro incrociato dei due Alfieri e bloccato da due pezzi del proprio schieramento” scrive Pennac).


Concludiamo la parte sulle partite ‘plagiate’ con George Perec, ma non senza prima aver invitato i Lettori a rileggersi i post da noi pubblicati sul corposo romanzo “Il segreto del millennio” di Katherine Neville, in cui l’Autrice ci parla nientemeno che del ‘Fegatello’, nome dato ad una particolare continuazione della Difesa dei Due Cavalli.
Chissà se la Neville era davvero una brava scacchista oppure si è fatta aiutare…

George Perec aveva molta passione per l’enigmistica, per gli scacchi e anche per il gioco del Go.
Morì a quarantasei anni, il 3 marzo 1982, di un male incurabile manifestatosi d’improvviso, che lo distrusse in pochi mesi.
Perec, figlio di ebrei polacchi, una delle maggiori glorie della letteratura francese contemporanea, nel suo romanzo più celebre “La vita istruzioni per l’uso” (1978) narra la vita degli abitanti di Rue Simon-Crubellier 11 (via immaginaria): una casa di 10 piani, 10 stanze per piano, 100 elementi che Perec così descrive:
“Immagino uno stabile parigino cui sia stata tolta la facciata… così dal pianterreno alle soffitte, tutte le stanze sono visibili”.

George Perec, Parigi 1936 – Ivry-sur-Seine 1982

Il racconto procede tra le stanze, seguendo il movimento ad ‘L’ del Cavallo: le tocca tutte tranne una: i capitoli sono infatti novantanove, non cento.
Nel capitolo LXIX, la descrizione dell’ufficio di Cyrille Altamont:
Sotto il quadro di Organ Trappa, un tavolinetto a due ripiani: su quello inferiore una scacchiera i cui pezzi riproducono la posizione della partita giocata a Berlino 1852 fra Andersen e Dufresne, dopo la diciottesima mossa del Nero, un attimo prima che Andersen iniziasse quella brillante combinazione di matto che ha dato alla partita il nome di Sempreverde“.
Nel libro c’è il diagramma che riporta la posizione e a fianco la notazione delle mosse finali.

“La vita, istruzioni per l’uso”, Georg Perec, 1978 (pp 340-341, Rizzoli)

E arriviamo finalmente alle partite ‘inventate’.

Per capire cosa intendo per ‘partite inventate’ invito innanzitutto a rileggere il post su Samuel Beckett e in particolare il testo relativo al romanzo “Murphy” in cui a un certo punto è trascritta e annotata l’assurda partita, che si svolge in una casa di cura per malattie mentali, tra l’infermiere Murphy (Bianco) e il paziente Endon (Nero).

E ora per concludere vediamo il simpatico racconto di Michel Tournier, “La colubrina ovvero l’assedio della fortuna” (Salani Editore, 2000, traduzione di Francesco Bruno (originale “La couleuvrine“, Gallimard, 1994),
Ad un certo punto viene pubblicato il diagramma con la posizione iniziale dei pezzi e l’indicazione del nome dei singoli pezzi.
Poi nelle pagine successive vengono riportate le mosse di due partite tra Faber (Bianco) e il comandante Exmoor (Nero) che vince pur avendo affermato di non saper giocare a scacchi e di non conoscere neppure le regole del gioco.

Partite strane, per non dire sorprendenti. Vediamo la prima:

Faber – Exmoor
in “La coulevrine”, 1994

Avete capito come fa a vincere il comandante Exmoor che non sa giocare a scacchi e non conosce neanche le regole del gioco?
No? Allora vediamo la seconda partita:

Faber – Exmoor (seconda partita)
in “La coulevrine”, 1994

Avete capito adesso? No? Ancora no? Eppure è semplice … Il Nero non fa altro che riprodurre ‘a specchio’ le mosse del Bianco.

Si ripropone la domanda: Michel Tournier sapeva giocare a scacchi oppure le due sorprendenti partite sono state ideate (inventate) da un suo amico bravo (bravissimo, anzi) giocatore?

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