Scacchi islamici, forme astratte per cinque secoli – parte seconda
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(Roberto C.)
L’introduzione del gioco degli Scacchi in Occidente è avvenuta principalmente attraverso Spagna e Italia ed è strettamente legata alla conquista della penisola iberica, dove il gioco sarebbe stato presente già nella seconda metà del IX secolo [1] ed alla rapida conquista della Sicilia, dall’827 [2] all’878 [3], così da poter essere verosimilmente presente in questa nostra regione già dai primi decenni del IX secolo.
E che l’ingresso nel nostro continente dello Shatranj, il più diretto antenato degli Scacchi, sia stata precoce lo dimostrano tre antiche testimonianze, certamente non una casualità se presenti tutte e tre in Italia: in Piemonte c’è un codice datato 960-1001 dove se ne parla chiaramente, in Sicilia una pittura del 1143 e in Emilia Romagna un mosaico pavimentale del XII secolo.
La prima notevole testimonianza è il più antico documento europeo nel quale si parla dello Shatranj, custodito nella Biblioteca capitolare di Ivrea, in provincia di Torino.
“La prima testimonianza subalpina degli scacchi corrisponde infatti anche alla prima attestazione del passatempo in Italia. Essa è conservata presso la biblioteca popolare di Ivrea: si tratta di due diversi testi disposti sul recto e sul verso del foglio di un codice contenente scritti di Isidoro di Siviglia, copiato probabilmente durante l’episcopato di Warmondo, tra il 960 ed il 1001 [4]. Il recto [5] contiene una delle più celebri leggende sull’invenzione del gioco. Il verso [6] riproduce invece la parte iniziale del Versus de scachis (Versi di scacchi) componimento poetico attribuito alla fine del X secolo e considerato la più antica evidenza della presenza del gioco in Occidente: finora esso era conosciuto solo attraverso un manoscritto, grosso modo coevo a quello eporediese, del monastero di Einsiedeln, in Svizzera.” [7]
Quindi, prima di tutto, il codice di Ivrea diventa il più antico documento cartaceo italiano sul gioco degli Scacchi (Shatranj) essendo sicuramente di gran lunga più antico della famosa lettera che il cardinale di Ostia Pier Damiani scrisse nel 1061 al papa Alessandro II; infatti, tale codice, cosa ancora poco nota tra gli scacchisti per il fatto che l’informazione è circolata principalmente all’interno del mondo accademico, è precedente di un periodo variabile tra i 60 ed i 100 anni a quello che è considerato da molti, ancora oggi erroneamente, il più antico documento scacchistico italiano: una lettera del 1061, custodita in più copie nel monastero di Montecassino in provincia di Frosinone, che il cardinale di Ostia Pier Damiani scrisse al papa Alessandro II per informarlo della penitenza inflitta a un vescovo fiorentino che per gran parte di una notte “praefuerit ludo Scachorum” (cioè, “preferì giocare a Scacchi”, non tanto perché vi giocava ma perché talvolta gli Scacchi venivano giocati anche con l’ausilio dei dadi e con forti scommesse in denaro), piuttosto che dedicarsi ad occupazioni più consone al suo status religioso (cioè, principalmente alle preghiere) [8].
Inoltre essendo, in riferimento alla datazione degli esperti dei manoscritti, più antico del testamento di Urgel (1008-1010 circa) che si trova in Spagna e del manoscritto di Einselden custodito in Svizzera, databile dalla seconda metà del sec. X ed attribuito ad un anonimo monaco tedesco (990 circa) [9] risulterebbe anche il più vecchio d’Europa.
Qualche altro dettaglio sul codice 38 di Ivrea, Braulionis Episcopi et Ysidori epistule: nel f. 22 recto c’è narrata la più famosa leggenda sull’invenzione del gioco degli Scacchi, quella del raddoppio dei chicchi di grano: uno per la prima casella, due per la seconda, quattro per la terza e così via… (tale leggenda non è presente nel Ms di Einsiedeln), mentre nel verso del f. 22, invece, sono riportati i primi quaranta versi del Versus de scachis, un poema latino medievale il cui testo completo di 98 versi, contenente la descrizione del gioco riferita alle regole dello Shatranj, giocati già senza i dadi e con l’ordinamento iniziale dei pezzi identico a quello odierno, è nel codex 365 di Einsiedeln. Si precisa che l’altro Ms di Einsiedeln, il codex 319, dal titolo De aleae ratione che nelle sue due pagine contiene soltanto i 34 versi finali del “Versus de Schachis”.
Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 319(645), p. 298 e p. 299 – Manoscritto composito (http://www.e-codices.unifr.ch/it/list/one/sbe/0319) – (CC BY-NC 3.0)
La totale mancanza dei termini arabi in entrambi i codici (Ivrea ed Einsiedeln), già solo per questo, li rende documenti scacchistici di grande valore, mentre il contenuto del testo – parafrasando Dante Alighieri ci sentiamo di dire – ‘milluplica’ quel già grande loro valore. E per più di un motivo. La nomenclatura del gioco deriva da termini dello stato e non da quella dell’esercito: sono presenti i nomi in latino dei pezzi (rex, regina, comites, eques, rochus e pedes), c’è il primo riferimento storico alla regina (che a quel tempo muoveva di una sola casella in diagonale ed alla quale si poteva promuovere un pedone solo dopo la cattura della regina originaria) e l’utilizzo della scacchiera bicolore, ancora non resa obbligatoria e posizionata a scelta dei giocatori [10].
La seconda rilevante testimonianza si trova nella Cappella Palatina di Palazzo dei Normanni a Palermo: è la più antica pittura europea (molto probabilmente del mondo) che raffigura due giocatori di Shatranj.

“Sul soffitto della magnifica Cappella Palatina di Palermo, facente parte del Palazzo dei Normanni, è visibile la prima pittura al mondo di una partita a scacchi, giocata fra due arabi accovacciati con in testa un turbante. La Cappella Palatina venne ufficialmente consacrata il 28 aprile 1140, in coincidenza della “Domenica delle Palme” e con molta probabilità le opere di decorazione finirono solo qualche anno dopo, e questa pittura, a tempera su base lignea ricoperta a gesso, risalirebbe al 1143 d.C.” [11]
“Ai migliori mosaicisti bizantini e ad abilissimi artisti mussulmani, cui fu consentito, dal grande senso di tolleranza di Ruggero II, di fornire il meglio delle loro tecniche pittoriche senza censura alcuna affinché l’abbellissero.” [12]
Infine la terza considerevole testimonianza: il più antico mosaico pavimentale europeo, molto probabilmente del mondo, con una chiara raffigurazione dei pezzi Shatranj, si trova nel presbiterio della basilica di San Savino a Piacenza.

“Al suo interno è conservata una pregevole decorazione pavimentale a mosaico del XII secolo che venne riportata alla luce durante i restauri dei primi anni del Novecento. Nella cripta sono raffigurati i dodici mesi ed i rispettivi segni zodiacali e nel presbiterio, un mosaico policromo di forma rettangolare, dove nei riquadri laterali a sinistra due soldati armati di scudi e mazze ed altri personaggi con in mano un calice mentre in quelli di destra un re seduto sul trono e un giudice che indica un libro aperto con la scritta LEX e la partita a scacchi. L’interpretazione più accettata ritiene che fossero le quattro virtù cardinali: i soldati a rappresentare la Fortezza, i bevitori la Temperanza, il re con il libro delle leggi la Giustizia ed il gioco degli scacchi la Prudenza.” [13]
Il suo linguaggio figurativo non può che ricordare le miniature spagnole del Libro del axedrez, dados e tablas, il famoso trattato sui giochi del 1283 ordinato dal Re Alfonso X di Castiglia, uno dei documenti più importanti per lo studio della storia e la comprensione dei giochi da tavolo [14] nel quale vi “troviamo il primo stadio documentato della trasmissione del gioco arabo ai paesi cristiani e insieme il germoglio dell’evoluzione verso il gioco moderno.” [15]
E proprio “partendo dal confronto di alcune immagini miniate dei Carmina Burana e del libro di Alfonso Il Saggio, lo studioso americano William Tronzo negli anni ’70 del secolo scorso, facendo notare un motivo iconografico ricorrente, la scacchiera con i pezzi in primo piano, divenne il portavoce del significato e del ruolo che il gioco degli scacchi aveva a quel tempo ed i suoi significati morali: attraverso l’insegnamento degli scacchi e delle virtù si insegnano le leggi.” [16]

I Carmina Burana costituiscono un corpus di testi poetici medievali dell’XI e del XII secolo, prevalentemente in latino, tramandati da un importante manoscritto contenuto in un codice miniato del XIII secolo, il Codex Latinus Monacensis 4660 o Codex Buranus, proveniente dal convento di Benediktbeuern (l’antica Bura Sancti Benedicti, fondata attorno al 740 da San Bonifacio nei pressi di Bad Tölz in Baviera); oggi è custodito nella Bayerische Staatsbibliothek di Monaco di Baviera.

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Gli Shatranj furono utilizzati per oltre cinque secoli fino a quando ebbe inizio la trasformazione voluta dagli europei [17] verso forme più slanciate e consone al gusto del giocatore del nostro continente, fino ad arrivare ai pezzi inglesi Staunton con i quali da tempo si giocano i tornei in tutto il mondo.

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Questo testo è un estratto aggiornato della conferenza del 24 gennaio 2014 al Museo di Villa Guinigi (Lucca).
[Se ti interessa, puoi partire da qui per conoscere molte altre curiosità e aneddoti, attraverso una guida turistica ai luoghi degli scacchi in Italia]
[1] MAKARIOU S., Le jeu d’échecs, une pratique de l’aristocratie entre islam et chrétienté des IX-XIIIe siècles, in Les cahiers de Saint Michel e Cuxa, vol. XXXVI, 2005, pp. 127-140
[2] COSTANTINO A., Gli arabi in Sicilia, Antares, Palermo, 2000
[3] MANCINI M., Contatti linguistici: Arabi e Italoromania, estratto da XII. Sprachkunde und Migration, 2005, pp.1-10
[4] GAVINELLI S., Alle origini della Biblioteca capitolare, in Storia della Chiesa di Ivrea dalle origini al secolo XV, a cura di G. Cracco, Cittadella 1988, pp 535-565, qui alle pp. 538-539; A. Lucioni, da Warmondo a Ogerio, ibid, pp. 119-189, qui alle pp. 119-135
[5] Biblioteca capitolare di Ivrea, codice 38, Braulionis Episcopi et Ysidori epistule, f. 22 recto.
[6] Biblioteca capitolare di Ivrea, codice 38, Braulionis Episcopi et Ysidori epistule, f. 22 verso.
[7] RAO R., Scacchi e società nel Piemonte medievale in Giochi e giocattoli nel Medioevo piemontese e ligure, Rocca de’ Baldi, Centro Studi storico-etnografici, Museo storico-etnografico “A. Doro”, 2005, pp. 147-161
[8] In questa lettera la parola ‘scachus’ viene adoperata ben sette volte, il che fa di questa lettera (anche se, dopo il ritrovamento del codice di Ivrea, non risulta essere il più antico documento scacchistico italiano) uno dei testi più significativi, non solo per la storia degli scacchi in Italia ma per la storia degli scacchi in genere.
[9] EALES R., Chess: The History of a Game, Batsford, London, 1985
[10] SANVITO A., ANTICHI MANOSCRITTI, raccolta di antichi documenti europei, Caissa Italia editore, 2008
[11] SCERRATO U., Arte Islamica in Italia, p. 360, in Gli Arabi in Italia, Gabrieli F. e Scerrato U., 1979.
[12] FERLITO G., “Il primo dipinto al mondo di una partita a scacchi è in Sicilia“, Scacco!, aprile 1993, pp. 192-193
[13] CASSANO R., LEONCINI M.: L’ITALIA a SCACCHI – Guida turistica ai luoghi degli scacchi, Le Due Torri, Bologna, 2014 pp. 41-42
[14] Il Libro del axedrez, dados e tablas, è il più ampio e autorevole trattato sui giochi da tavolo scritto in una lingua europea che si conserva in Europa: l’originale si trova nella Real biblioteca del monastero di San Lorenzo di Escorial vicino Madrid ed una copia del 1334 è nella biblioteca della Real Academia de la Historia a Madrid; composto da 98 pagine illustrate con numerose miniature che documentano lo stato e le regole del gioco degli scacchi medievali nei regni cristiani dell’islam.
[15] Padre Félix M. Pareja Casañas, La fase araba del gioco degli scacchi, estratto da Oriente Moderno, Anno XXXIII, n.10, 1953, pp. 407-429
[16] CASSANO R., LEONCINI M.: Op. cit.
[17] CHICCO A., Gli scacchi a Firenze e nel contado in Medioevo Scacchistico Toscano, suppl. a L’Italia Scacchistica 1985, pp.5-15