Uno Scacchista

Annotazioni, Spigolature, Punti di vista e altro da un appassionato di cose scacchistiche

Scacco matto all’assassino (6)

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Excursus sul rapporto giallo-scacchi nella letteratura poliziesca

(Fabio Lotti)

Excursus sul rapporto giallo-scacchi nella letteratura poliziesca

Riprende con la sua sesta puntata la rassegna di Fabio Lotti sugli incontri letterari tra gialli e scacchi, un rapporto fatto di riferimenti, situazioni, scene e, ovviamente, crimini. Qui le precedenti puntate. (UnoScacchista)


Il caso Maloney di Graham Hurley, time Crime 2012.

“L’indagine era diventata una partita a scacchi, uno contro uno. Finora Oomes aveva giocato in modo eccellente, aveva ancora tutti i pezzi, ma stava iniziando a mostrare la prima piccola breccia nella sua difesa e l’SOS annullato era una crepa che Faraday non poteva permettersi di ignorare. Come tutti i bravi scacchisti, poteva arrivare a Oomes di soppiatto, da dove lui meno si aspettava.” (283).

Siamo a Portsmouth, città povera e violenta dell’Inghilterra. Difficile vivere qui da semplice cittadino ma anche da poliziotto. Ne sa qualcosa l’ispettore Joe Faraday alle prese con malviventi ed un sistema poliziesco che non gli piace. Soprattutto il metodo poco ortodosso di Paul Winter che basa il suo lavoro sullo sfruttamento degli “informatori”. Il caso nuovo è la scomparsa di Stewart Maloney (prima, a dir la verità, c’è la morte a calci di un uomo), docente a contratto all’università, denunciata dalla figlia di nove anni. Qualche breve indagine lo convince che Stewart è stato ucciso in contrasto con le opinioni di certi colleghi che si trovano impegnati soprattutto nella operazione “Red Rum”, tesa a mettere le mani su un grosso commerciante di droga. Faraday è una specie di eroe raccolto in se stesso, quasi sbiadito nella sua testarda normalità. E forse per questo ancora più forte. Una buona lettura senza urletto finale di gioia e le solite cinquanta pagine di sovraccarico che si trovano ormai dappertutto.


In Strane cose, domani di Raul Montanari, Baldini Castoldi Dalai 2012, il protagonista del romanzo, uno psicologo, sta giocando una partita in internet con un ragazzo, analizzando le mosse con un software (bricconcello).

Diverse considerazioni, ora negative, ora positive, sugli scacchi. “Gli inglesi dicono che in nessun posto al mondo si spreca tanta intelligenza come nelle agenzie pubblicitarie e nei club scacchistici, e hanno ragione”. “In questo gioco non contano conoscenze, favori, appoggi. Non fa differenza se sei bello o brutto, ricco o povero. Non conta niente tranne il talento”. “Puoi coltivare il vizio della solitudine, il più delizioso di tutti i peccati”. “…perdere è molto più brutto di quanto sia bello vincere” (66-68).

Ricordo di una partita persa in un torneo per avere occhieggiato di continuo le gambe della ragazza dell’avversario (138). “Gli scacchi assomigliano proprio alla vita. Ma tanto” (183). Pulizia di scrittura, rispetto per la parola, un’ombra di malinconia che scivola lungo tutto il racconto, sprazzi di critica al mondo in disfacimento: guerre, integralismo islamico, economia in ginocchio, inflazione, povertà.

Se c’è qualche passaggio in cui si perde un po’ di “atmosfera” è nelle scene di movimento, di scontro fisico diretto, di “esterno” che mi pare la parte meno riuscita (si fa per dire). Alla fine la pagina si libra nel cielo come una mongolfiera. Ma sì, saliamo in alto che di lassù tutto si ama.


Com’è morto il baronetto? di H. H. Stanners, Polillo 2019.

Qui ritrovo i miei amati scacchi addirittura proprio all’inizio “Dereck Furniss scrollò la scatola per far cadere i pezzi degli scacchi che poi cominciò a disporre sulla scacchiera.” Il romanziere giocherà con il professor Harding (classico detective dilettante) durante la festa ad Astonbury che celebra il giorno dell’incoronazione del re Giorgio VI. Naturalmente abbiamo subito una morte sospetta, più precisamente del baronetto Jabez Bellamby trovato stecchito nella sua cava di gesso per un colpo sparato con la sua pistola (ha anche un ematoma sul viso). Per l’ispettore Marriot si tratta di suicidio, come riferirà al suo capo Philip Pannell, anche perché il morto aveva un sacco di problemi: finanziari, fisici (di salute) e sentimentali. La moglie se la intendeva con un amante (l’avvocato Newth) e lui stesso si era innamorato non ricambiato di Brenda Derwenth Smith, una bella sventola di venti anni, troppo più giovane di lui e affollata di corteggiatori.

Ma non è tutto così chiaro per il professor Harding. Diversi i sospettati ognuno con il suo bel movente e altri particolari a rendere complessa l’indagine… Altro punto fondamentale della vicenda è il classico problema degli orari, a partire da quello della morte, dentro il quale si muovono i personaggi assai complicato ed arduo da sbrogliare. Narrazione trattata con una cura davvero felicemente minuziosa nella complessità della trama, nella caratterizzazione dei protagonisti e dell’ambiente con citazioni imprescindibili di Sherlock Holmes. Alla fine spiega tutto il professore. O quasi…E gli scacchi hanno qui il loro bel rilievo.

Ora veniamo a noi mettendo in rilievo la parte che ci interessa. Come dicevo all’inizio, mentre si svolge la festa in onore di Giorgio VI appena incoronato, lo scrittore Derek Furniss e il professore Harding stanno giocando a scacchi “ Derek Furniss scrollò la scatola per far cadere i pezzi degli scacchi che poi cominciò a disporre sulla scacchiera…” “Come iniziamo? Vuoi prendere i bianchi?”. In cuor suo il professor Harding sorrise. Aveva già deciso nel caso fosse stato lui il primo a muovere, di provare con il Ponziani, dove il romanziere non sarebbe stato minimamente avvantaggiato dalla sua competenza in fatto di aperture standard.” “D’accordo”, disse, sistemando una torre nell’angolo. “Prendo i bianchi”. “Aveva appena fatto la mossa chiave 3P-B3, quando il telefono nell’atrio squillò e Furniss uscì dalla stanza, lasciando la porta aperta. Una telefonata strana…Si piegò verso la scacchiera con aria seccata e la fronte corrugata per la concentrazione. Il professor Harding aspettò con ansia, perché quello era il momento critico dell’apertura. Una disattenzione o un passo falso in quella fase iniziale poteva minare l’intero sviluppo e rendere ineluttabile la sconfitta finale. Cominciò a ripetersi mentalmente la sequenza memorizzata di possibili mosse con cui l’avversario poteva rispondere. “Se Kt-KB3, allora P-Q4; se P-Q4 allora Q-R4; se P-B4 allora P-Q4”. Purtroppo Furniss non scelse nessuna di quelle possibilità ortodosse ma giocò K Kt-K2 e Harding, colto alla sprovvista, rispose frettolosamente trovandosi subito in una posizione di svantaggio in cui si dibatté impotente per quasi un’ora, prima di accettare l’inevitabile e arrendersi. “Pessima partita! Sono stato una vera frana e credo che anche tu abbia commesso un paio di errori. Comunque facciamone un’altra”. Era mezzanotte quando spinsero da parte la scacchiera e rimasero seduti a fumare per un po’, con un drink a portata di mano.

Poi il professor Harding decide di andare in biblioteca. “Prese il manuale di Staunton, Tarrasch e Winter e cercò inutilmente una menzione di K Kt-K2 come possibile proseguimento dei pezzi neri nel Ponziani”. Poi sfoglia Modern Chess Openings di Atkins, ma nemmeno lì riesce a individuare K Kt-K2 come una variante conosciuta. Anche in altri testi sugli scacchi che consulta nessuno dei grandi maestri riporta una risposta a quella mossa. Poco più avanti torna al tavolino sistemando i pezzi per scoprire “dove aveva commesso lo sbaglio iniziale che gli era costata la partita. Dopo aver parlato con un personaggio della storia riesamina ancora una volta la posizione…”Una brevissima analisi lo convinse che la mossa del suo amico, K Kt-K2, lungi dal celare una minaccia, rappresentava la risposta più debole e inutile che un bravo giocatore potesse essere indotto erroneamente a fare in un attimo di distrazione. Era stato solo il fatto che fosse così inaspettata a conferirle una  certa efficacia. Si scompigliò i capelli mentre rammentava disgustato la propria sconfitta e poi, spingendo da parte il tavolino, si avviò lentamente verso la camera”. (pag7-20). Altro incontro con l’amico romanziere e “”Hai vinto!” disse Furniss. “Maledizione a te e alla tua apertura Ponziani. Dovrò assumere la French Defence, se questa cosa continua”. Il professore sorrise. “Sono felice di avere trovato il modo di batterti. A parte la prima volta, quando hai reagito in una maniera assurda che non figura sui manuali, ho vinto tutte le partite”. (pag.57) Altre citazioni pag.164 e 197, 243. Infine, parlando con Furniss, “…eppure qualcosa ti ha sconvolto, come ho capito successivamente ricordando la tua bizzarra risposta alla mia apertura Ponziani. Solo qualcosa di profondamente sconcertante potrebbe averti indotto a giocare quel 3 KKt-K2!”. (pag.280).


Morte di un dottore di D. M. Devine, Mondadori 2018

Silbridge in Scozia. “Ebbi la certezza che Henderson fosse stato assassinato solo due mesi dopo la sua morte. Se ora ci ripenso, credo di averne avuto la sensazione quasi dall’inizio…”. Chi parla e racconta in prima persona proprio all’inizio della storia è Alan Turner, socio del fu dottor Henderson che ha un incontro nello studio con il sindaco Hackett. Più scontro che incontro. Sul fatto che sta per arrivare Elizabeth, la bella seconda moglie del defunto, una sgualdrina per il sindaco e, sempre secondo lui, anche l’amante di Alan. Dal colloquio si capisce che era morto per asfissia di una stufa a gas, dopo aver battuto la testa contro il parafuoco nel suo studio, dove era stato trovato proprio dalla stessa Elizabeth.

Tutto ruota attorno a questa morte creduta solo una disgrazia dall’ispettore Gordon Munro, mentre gli abitanti della città pensano, come il sindaco, che gli assassini siano i due amanti…

Dialoghi lunghi (a volte esagerati) che danno un ritmo lento al racconto, passato e presente che si intrecciano, dubbi, assilli, incertezze, tormenti. Perfino una partita a scacchi e una citazione improrogabile di Sherlock Holmes. Ma la domanda principale è “Chi sarà l’assassino? E’ questo? E’ quello? E’ Elizabeth o, addirittura, lo stesso narratore bugiardo?” Mah…Finale tenero e sentimentale. Lieto solo per qualcuno.

Per quanto riguarda gli scacchi ad un certo punto Alan Turner va nella casa della sua fidanzata Joan Griffiths. Qui trova suo padre seduto ad un tavolino che sta scrivendo una lettera. “Sul tavolino c’era una scacchiera, con le pedine disposte in una posizione da metà partita”. Sta giocando per corrispondenza con lo svedese Johansson che non vuole arrendersi anche se è sotto di due pedoni e non ha più speranza. Gli scacchi erano tutta la sua vita. “Giocava sempre almeno una decina di partite simultaneamente per corrispondenza, e poteva passare anche un’intera giornata a riflettere sull’una o sull’altra. Era bravo, certo; ma quanto lo fosse di preciso, non stava a me dirlo, anche perché non ero abbastanza competente. Avevo imparato a giocare a scacchi alla Glasgow University, dove mi ero conquistato la reputazione di essere un giocatore ardito, anche se non sempre affidabile. Ma Griffith era molto più abile di me. Lui vinceva sempre tutte le partite che facevamo con monotona facilità, eppure non sembrava mai stancarsi dei nostri incontri. Tanto che ormai mi ero abituato al modo in cui si metteva a gongolare con aria trionfante dicendo .”Scacco matto, credo” mentre faceva l’ultima mossa”. Quella sera, però, Griffith commette incredibilmente uno svarione che permette ad Alan un attacco doppio con il Cavallo a Re e Regina. Ma non abbandona, comincia a consumare più tempo per ogni mossa e a guardarlo in cagnesco. Dietro di lui la figlia Joan, fidanzata di Alan, lancia a quest’ultimo dei segnali urgenti e inequivocabili per cui alla fine è costretto a compiere gli errori necessari per perdere la partita con la consueta “Scacco matto, credo”. L’agitazione gli avrebbe fatto male al cuore. (pag. 32/34).

Alla prossima.


Fabio Lotti è nato a Poggibonsi (Siena) nel 1946. Laureato in Materie Letterarie, è Maestro per corrispondenza e collaboratore di riviste scacchistiche specializzate. Ha pubblicato vari testi teorici, tra i quali “Il Dragone italiano“, “Gambetti per vincere” e “Guida pratica alle aperture“.

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