Uno Scacchista

Annotazioni, Spigolature, Punti di vista e altro da un appassionato di cose scacchistiche

Le origini degli Scacchi in Lombardia

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(Adolivio Capece)
Le prime notizie documentate relative al gioco degli scacchi in Lombardia risalgono agli ultimi anni del 1200 ed ai primi del 1300 e parlano di una “scuola lombarda” ricca di forti giocatori, scuola le cui regole facevano testo “in tutto il continente”.
Queste regole anche se ovviamente non uguali a quelle di oggi, pure vi si avvicinavano molto, distaccandosi nettamente da quelle arabe.

Ne abbiamo conoscenza grazie all’opera di un frate domenicano, Jacopo da Cessole, che tra il 1295 e il 1300 scrisse un testo a carattere moraleggiante in cui prese spunto proprio dal gioco degli scacchi, descrivendo i pezzi come se fossero persone reali, e dando notizie importanti appunto sulle regole in vigore a quell’epoca.
E a quell’epoca il gioco degli scacchi doveva essere molto diffuso, visto che per esempio, a Milano, stando agli “annali milanesi” del Trecento, “nelle piazze della città non era raro vedere, sotto costruzioni coperte esposte alla vista dei passanti, i nobili milanesi che giocavano a scacchi tra loro e con le loro dame, spesso tenendo accanto a sé i falconieri.”
E che dallo “Statuto” della città di Bergamo del 1331 risulta che gli scacchi furono “esclusi dai giochi vietati”, divieto dovuto probabilmente alle continue condanne della Chiesa, culminate con la condanna “ufficiale” nel 1255 in occasione del Concilio cosiddetto Biterrense, riunito a Bèziers.


Il “De ludo

Grande importanza per la diffusione degli scacchi ebbe il “De ludo“, opera del frate domenicano Jacopo da Cessole, piccolo paese vicino ad Asti.
Si trattava di un’opera che si proponeva di spiegare i compiti di ciascuno nella società ed il modo per realizzare tali compiti con saggezza e secondo virtù.
Si trattava dunque di un testo a carattere moraleggiante, ma per arrivare allo scopo il frate prese spunto dal gioco degli scacchi, descrivendo i pezzi come se fossero persone reali, e dando anche notizie importanti sulle regole in vigore a quell’epoca, quelle usate in Lombardia, che, come abbiamo detto, all’epoca facevano testo “in tutto il continente”.
In una pregevole edizione italiana del libro pubblicata a Milano nel 1829 dal Ferrario, nella nota editoriale si legge:
Questo trattato, scritto in lingua latina, ottenne a quei tempi somma celebrità. Esso fu tradotto in tedesco, in francese ed in altre lingue ed ebbe altresì la buona ventura di essere volgarizzato nella nostra in quel secolo che vien detto aureo… Jacopo da Cessole, in questa sua opera, ha felicemente accoppiato, grazie a racconti e novellette morali, l’utile col dilettevole: con il pensiero di trarre da un gioco, gli scacchi, i più seri insegnamenti del retto vivere….”

Fra’ Jacopo visse tra il 1250 e il 1325. La sua opera fu scritta molto probabilmente tra il 1295 e il 1300.

Approfondite ricerche su fra’ Jacopo sono state effettuate dal prof. Tommaso Kaeppeli dell’Ordine dei Frati Predicatori intorno agli Anni Trenta del Novecento.
Kaeppeli ha dimostrato che fra’ Jacopo era originario di Cessole d’Asti, che visse nel convento di San Domenico a Genova tra il 1317 e il 1322, che fu vicario dell’inquisitore di Lombardia e che morì dopo il 1325. Era anche lui dell’Ordine dei Frati Predicatori, quindi un domenicano.

Il titolo completo del testo di fra’ Jacopo è: “Cessol (Jacob) seu de Thessalonica. Incipit solatium ludi Schaccorum scilicet regiminis ac morum hominum et officiorum virorum nobilium” ovvero come sottotitolo “Liber de moribus hominum et officiis nobilium super ludo scachorum“, noto anche come “De ludo scachorum” o anche semplicemente come “De ludo“.
Dal testo si evince che fra’ Jacopo scrisse il libro in quanto “pregato da molti frati che erano dell’Ordine nostro e da diversi secolari”, dopo averlo predicato a voce per molto tempo.

Nel libro vengono menzionate le regole del gioco, come già detto quelle all’epoca usate in Lombardia, nettamente differenti da quelle arabe.
Per esempio, a differenza del gioco arabo, lo “stallo” non provocava la sconfitta bensì il pareggio, come avviene modernamente; e il fatto che un giocatore rimanesse con il solo Re non significava necessariamente la perdita della partita.

Le regole del gioco in Lombardia all’epoca del De Ludo non contemplavano l’arrocco (che apparirà solo tra la fine del Quattrocento e i primi del Cinquecento) ma il Re alla sua prima mossa poteva “saltare” e dalla casa di origine (e1) passare direttamente nelle case b1, b2, c2, d3, e3, f3, g1, g2.
La Regina aveva un movimento limitato a un solo passo alla volta in diagonale; però alla prima mossa poteva “saltare” nelle case b1, b3, d3, f3, f1.
Il Pedone aveva un movimento simile a quello attuale, ma non esisteva la “presa al passo”. Inoltre una volta giunto sull’ottava traversa aveva l’obbligo di trasformarsi in Regina detta “Regina nova”; quest’ultima alla sua prima mossa aveva le medesime possibilità di “salto” della Regina nella posizione iniziale.

Il “De Ludo” inizia con il racconto dell’invenzione del gioco, ideato secondo fra’ Jacopo ai tempi del re caldeo Evilmerodach, che potrebbe storicamente essere identificato con il re Merodach-Baladan, che regnò sui caldei e sui babilonesi dal 722 al 710 avanti Cristo. Ideatore del gioco, secondo Jacopo, sarebbe stato un filosofo di corte, il cui nome in lingua caldea era Xerse e in lingua greca Filometor: questi avrebbe inventato gli scacchi per evitare che il re oziasse e si annoiasse.

In pratica fra’ Jacopo riprende la principale leggenda sull’origine del gioco, creando una versione caratterizzata da uno spunto moraleggiante. Combatte invece la teoria secondo la quale gli scacchi sarebbero stati ideati durante l’assedio di Troia, che comunque rimase da molti accettata ancora per molti secoli.

Ma perché fra’ Jacopo scelse proprio un re caldeo per raccontare la nascita degli scacchi? Probabilmente per un influsso della cultura ellenica, che considerava i caldei i più profondi sapienti ed i massimi cultori di scienze astronomiche, matematiche, mediche e di divinazione, continuatori della tradizione assiro-babilonese e quindi di quella ancora più antica dei Sumeri.
Prendendo poi spunto dal gioco, il frate descrive i pezzi come se fossero persone reali e spiega i compiti di ciascuno nella società ed il modo per realizzare tali compiti con saggezza e secondo virtù: il Re deve essere giusto, la Regina casta, gli Alfieri saggi consiglieri, i Cavalieri fedeli, i Vicari del re solidi come “rocchi”, cioè Torri. Ogni pedone rappresenta una categoria di lavoratori: il contadino, il fabbro, il notaio (messo allo stesso livello del lanaiuolo e del becchino), il mercante, il medico, l’albergatore, l’ufficiale comunale, il corriere.


I Visconti e gli Sforza

Ludovico il Moro

Appassionati giocatori di scacchi furono, ancora stando agli “annali milanesi” del Trecento, tutti i membri della famiglia Visconti, da Azzone a Valentina Visconti, figlia di Gian Galeazzo, che in dote nel matrimonio con Ludovico di Francia portò tra l’altro “una preziosa scacchiera con pezzi e pedine”. Il più accanito scacchista, però, stando alle cronache, fu Filippo Maria, che raccolse anche molti testi sul gioco, conservati nel Castello di Pavia.
A Milano nel Museo Poldi-Pezzoli è conservata una scacchiera di Bernabò Visconti e al Castello ci sono alcuni giochi completi.

La passione continuò nel tempo e dai Visconti passò agli Sforza.

Parlando qui di Leonardo da Vinci, abbiamo già detto che nel 1472 il ventenne Ludovico il Moro perse ben 30 ducati con Galeazzo Maria Sforza, che aveva appreso il gioco da ragazzino, probabilmente dal padre Francesco; Galeazzo (nella immagine di copertina) a 15 anni scrisse – 4 maggio 1459 – al padre da Cefagiolo e gli comunicò di aver visitato Cosimo de’ Medici e di aver ricevuto in dono, tra altri regali, “un tavoliere de osso con scacchi tucte intarsiate”.

Successivamente nel 1475 Galeazzo Maria trovò un ostico avversario nel conte Galeotto Belgioioso, tanto che seccato per le continue sconfitte decise di allontanarlo da Milano.

In una lettera (10 settembre 1475, conservata nell’Archivio Storico Lombardo) Galeazzo Maria scrisse da Villanova al visconte Ascanio Maria Sforza: “El conte Galeoto a Belzoioso ne ha richiesto licenza de venire a casa et non sapemo pensare la ragione se non è perché el voglia portare ad casa li dinari chel ha vinto ad zocare a scachi …. Et guardatevi bene dal zocare a scachi con lui perché è fatto così bon magistro che vincerà ad ogni partito”.

Nel novembre 1475 Galeazzo ordinò una nuova scacchiera avvertendo che la voleva “intarsiata e non dipinta” perché la pittura se ne andava troppo presto. Poi un quadro raffigura Galeazzo intento a giocare a scacchi mentre la sua bella amante Lucia da Marliano contessa di Melzo lo guarda (languidamente) distesa su cuscini di velluto cremisi.

Una plaquette del XV secolo raffigura Ludovico il Moro e Madonna Beatrice che giocano a scacchi, ma circolavano alcuni quadretti (disegni) in cui Ludovico giocava con le sue amanti (per es. Cecilia Gallerani, la dama con l’ermellino) nude.
Dall’Archivio Storico Lombardo risulta che nel 1498 tale Bartolomeo Turco, castellano sotto gli Sforza fu chiamato a corte da Ludovico il Moro che desiderava vederlo giocare a scacchi.

E Ludovico doveva essere davvero sensibile agli scacchisti come dimostra una supplica rivolta al duca nella quale si legge “Jacopo de conti clarico milanese filio quandom da Maystro Ambrosio che zugava a scacchi a mente”.
Infine, come dimostrano molte lettere conservate nell’Archivio Storico di Milano, Ludovico il Moro utilizzò il gioco per ‘mascherare’ la sua relazione con Isabella d’Este, che pure notoriamente era una grande appassionata di scacchi.

Leggiamo poi nel libro “La corte di Ludovico il Moro” di Malaguzzi Valeri: “Nelle sala del Palagio sull’Adda, i Da Ro riunivano amici e letterati e le partite a scacchi servivano da intermezzo per le poesie e le novelle che rallegravano Ippolita Sforza Bentivoglio”.

Ancora con riferimento agli Sforza, va ricordato nella prima metà del Cinquecento, Francesco II, che ebbe l’opportunità di giocare anche con l’eclettico Girolamo Cardano, scienziato, medico, filosofo, matematico, ecc., che in molte sue opere si definì ‘appassionato scacchista’ sottolineando la propria bravura nel gioco.

Infine vanno ricordate le opere scacchistiche della pittrice cremonese Sofonisba Anguissola.


Isabella d’Este

Grande giocatrice fu Isabella d’Este Gonzaga, marchesa di Mantova, che amava anche possedere giochi di artistica fattura e ne commissionò ai più famosi maestri intagliatori del tempo (tra i più noti il milanese Cleofas Donati) a volte “tirando sul prezzo”, come mostrano alcune lettere pervenuteci.
La corte di Isabella era all’epoca il fulcro europeo degli scacchi. Isabella faceva venire i migliori giocatori “professionisti” dalla Spagna per giocarci e prendere lezioni.
Tutto questo è storicamente documentato.
Come sappiamo, Isabella ospitò a fine Quattrocento – inizio Cinquecento, tra il 1499 e il 1503, fra’ Luca Pacioli e Leonardo da Vinci. Pacioli era a sua volta un noto cultore del gioco e fu l’autore di un volume contenente una ricca raccolta di posizioni al quale, come è stato dimostrato, mise mano anche Leonardo che realizzò personalmente alcuni diagrammi e disegnò i pezzi che poi servirono da modello per realizzare i diagrammi stessi.

Ricordiamo ancora una volta che Leonardo aveva elaborato anche un “rebus” scacchistico (soluzione: io arroccherò) riportato sul “foglio di Windsor” nr 12692 r
All’epoca il movimento dell’arrocco non esisteva ancora e quindi, anche se la cosa non è confermata, Leonardo potrebbe essere l’ideatore della mossa.

Va ricordato infine che la corte di Isabella ospitò per un certo tempo anche Raffaello Sanzio (di cui quest’anno si ricordano i 500 anni dalla morte, avvenuta il 6 aprile 1520) che forse potrebbe pure essere annoverato tra i giocatori di scacchi; anzi sembra – anche se la cosa non è formalmente documentata –  che Raffaello abbia imparato il gioco da ragazzino, quando frequentava la corte dei Medici a Firenze, e che abbia giocato con il coetaneo Giovanni, il secondogenito di Lorenzo il Magnifico, che diverrà papa con il nome di Leone X.


Girolamo Savonarola

Pur non riguardando direttamente gli scacchi in Lombardia, può essere utile ricordare Girolamo Savonarola, che con le sue predicazioni influenzò comunque la regione.
Nel 1496 e 1497 fece mettere al rogo anche gli scacchi in due famosi “bruciamenti di vanità“; si era in Firenze e furono raccolti giochi di ogni tipo, vesti lussuose, pitture peccaminose, che poi furono pubblicamente bruciati in piazza dei Signori.

Un testimone dell’avvenimento scrisse che venne eretta in piazza una specie di piramide a otto facce, alta trenta cubiti, e che nel rogo c’erano “non piccole quantità di scacchieri, stampi da fare carte e tavolieri, dadi, carte e simili altri strumenti di Satana.

Che il Savonarola sapesse giocare a scacchi è confermato da alcuni suoi biografi, per esempio l’Ibertis ne “Il dramma Savonaroliano” e il Ridolfi in “Vita di Savonarola“: entrambi riportano il contenuto di una predica tenuta a Firenze l’8 maggio 1496.

Parlando dei ‘Brevi‘ del papa che erano stati emessi in materia di fusione e smembramenti dei conventi fiorentini, prima assegnati alla Congregazione lombarda, poi a quella tosco-romana, poi di nuovo a quella lombarda, il Savonarola disse: “…E ora qua e ora la! Questo mi pare il gioco degli scacchi nella difesa del Re: che quando è rinchiuso si leva d’uno scacco e poi torna a quel medesimo“.

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