Uno Scacchista

Annotazioni, Spigolature, Punti di vista e altro da un appassionato di cose scacchistiche

La magia degli scacchi a Trieste

12 min read

(Andrea Bruni)
Sono stato a Trieste per il 22° Festival di Scacchi. Per la notte, ho affittato un alloggio molto economico su indicazione di uno degli organizzatori, vicino all’orto botanico, con un bell’affaccio sulla città. La proprietaria mi ha atteso con gentilezza ed è stata molto cordiale anche se le sue lunghe unghie viola, i suoi capelli arruffati e un abbigliamento particolare mi hanno lasciato una certa angoscia al nostro saluto.

Debbo però ammettere che mi è subito passata appena uscito dalla casa per incamminarmi alla sala da gioco. Uno splendido salone ben illuminato al centro della città, con scacchiere posizionate a distanza con un plexiglass divisorio sopra la scacchiera e il divieto assoluto di stringersi la mano.

La prima partita la perdo in 25 mosse con Elia Riccobon 1924 punti Elo e candidato alla vittoria finale: arriverà sesto in classifica, con sei punti, a fine torneo. Quando giungo alla 20 mossa, dopo un’apertura solida di bianco e una buona impostazione di centro partita, forzo la situazione con un avanzamento di pedone azzardato e nel giro di poco sono a passeggiare per Trieste.

La seconda partita di nero la vinco con Pierre Valembois che viene dal Belgio e mi concede un matto in 23 mosse. Il pomeriggio dello stesso giorno sono di fronte con il bianco a Paolo Pozzi, 1742 punti che oltre a me vincerà anche con Elia Riccobon all’ottavo turno e finirà ottavo anche con il contributo dei miei Buchholz.

Dopo le prime tre partite di solito per me comincia il torneo.  Ho di fronte un giovanissimo under 10 con 300 punti Elo in meno e con il nero mi preparo, dopo circa un’ora e mezza di gioco, a muovere il mio alfiere bianco in b7 quando la mia mano si fa pesante, così stranamente pesante che da quel momento in poi non ricordo più nulla e mi ritrovo a firmare un 1-0 dopo 53 mosse senza aver capito cosa fosse successo.

Dopo essermi complimentato con il mio avversario e anche con i suoi genitori, che dall’esterno esultavano della mia sconfitta, sono corso a casa a falcate veloci con la curiosità di rivedere con calma la mia partita.

Il mio formulario, che fino alla 25 mossa risultava ordinato e scritto con cura, aveva dei tratti geroglifici incomprensibili. Con un certo sforzo di concentrazione sono riuscito a risalire agli errori fatali. Noi scacchisti diciamo sempre che a questo gioco non si perde mai, in quanto o vinci o impari qualcosa di nuovo. Così incassata la lezione me ne sono andato a dormire pensando che al quinto turno avrei incontrato un altro giovanissimo under 10, dello stesso vivaio, anche lui con 300 punti Elo in meno ma in compenso con me avevo tanta voglia di vincere.


La notte non era stata tranquilla, incubi strani, incidenti automobilistici, odore di aglio e prezzemolo, rumori stridenti con lampi in lontananza e un forte vento di bora avevano tormentato i miei sonni notturni di solito piacevoli e divertenti. Tutto ciò non mi aveva intaccato più di tanto in quanto il mio 5° turno di bianco lo avevo preparato con l’apertura Ivano, in onore di Ivano Pedrinzani che me l’ha insegnata e mi ha portato a conquistare qualche anno fa la terza categoria nazionale: mi sedevo alla scacchiera con molta serenità e determinazione.

Mentre mi accingevo, con una certa sicurezza, alla 36ª mossa mi sono accorto che sulla scacchiera qualcosa stava cambiando, come se i miei pezzi non volessero più rispondere ai miei comandi, come se una forza esterna ne avesse preso il controllo e io non riuscissi più a governarli. Mi sono messo a ridere, pensando alle follie di tanti scacchisti e con determinazione ho preso l’alfiere per piazzarlo al posto del pedone nero in e5. Con mia sorpresa dopo aver segnato la mossa mi sono reso conto che in e5 c’era si un mio pezzo ma la casa era occupata dalla Donna e non dall’Alfiere. Preso da una certa angoscia mi sono alzato per andare al bagno. Intorno a me tutto sembrava tranquillo. Con pochi secondi sull’orologio ho firmato un mezzo punto per uno stallo raggiunto dopo una partita incontrollata in cui il mio Alfiere nero in combutta con quello bianco si rifiutavano di eseguire i miei ordini. Mi sono alzato e a testa bassa mi sono diretto all’uscita senza neanche salutare, e fare i complimenti, a quel giovane scacchista che era stato veramente bravo a recuperare la partita. Sull’uscio ho incontrato uno degli organizzatori, quello che mi aveva indicato la casa, al quale avrei voluto raccontare l’accaduto ma dopo le prime parole non sono riuscito a trovare quelle adeguate per continuare il racconto e sapendo, per mestiere, leggere negli sguardi il pensiero degli altri ho evitato di approfondire e così l’ho buttata sulla bravura dei bambini che giocano a scacchi e sull’elasticità mentale mentre lui con un sorrisino sornione ha assecondato la mia affermazione ma negli occhi diceva qualcos’altro che al momento non ho capito.


Stanco e affamato mi sono recato in una caratteristica trattoria davanti al Teatro di Trieste, all’Hostaria Strehler che per un po’ mi ha fatto dimenticare le paranoie vissute nel pomeriggio. Entrato a casa però, amplificate forse dal vino della cena, il mio alloggio mi sembrava una dimora stregata. Mi sono guardato intorno come mai avevo fatto prima di allora, notando un calderone in un angolo della stanza e una vasta piantagione in balcone di erbe aromatiche e selvatiche. In una stanza, nella quale non ero mai entrato, si trovavano candele consumate in ogni angolo come a formare un cerchio in terra. Chiusa la porta di scatto ho urtato una bottiglietta di vetro che cadendo è andata in mille pezzi mentre sulla stessa mensola giacevano altri contenitori in vetro, ciocche di capelli e stoffe trafitte da spilli. Mantenendo la calma e facendo richiamo alle mie storiche convinzioni materialistiche mi sono messo a cercare una scopa per raccogliere i cocci ma ho solo trovato, inchiodata a una parete, una ghirlanda di corda con attaccate penne di oca e cornacchia.

Preso dal panico, sono uscito di casa e mi sono fermato di fronte, dall’altra parte della strada. Mi sono addormentato lì, sulla panchina. Con le prime luci del giorno, sono rientrato a casa e tutto mi sembrava più normale, le mensole, le erbe, le ghirlande, anche un bell’arredamento. Di buon umore sono andato a fare una bella colazione in uno degli storici caffè di Trieste, all’antico caffè San Marco dove trovi oltre alla libreria anche le scacchiere a disposizione, un po’ come sarà Todomodo a Roma tra cento anni.

Per scacciare i cattivi pensieri, e vista la splendida giornata di sole, sono andato al molo a prendere il traghetto per raggiungere il castello di Miramare di cui mi avevano raccontato la qualità della visita, anche se il biglietto ha un costo a differenza degli altri musei di Trieste che sono gratuiti, come lo è il PAG Progetto Area Giovani del Comune di Trieste che sostiene e sviluppa progettualità e forme di partecipazione per e con i cittadini dai 14 ai 35 anni.

Puntuale alle 16 mi sono ritrovato all’ultima scacchiera a giocare contro Omar Perossa, con il nero, che dopo una combattuta partita mi ha concesso la sua resa per la mia seconda vittoria.

Durante la notte, mi sono svegliato immerso in una nuvola bianca con un odore acre che proveniva dal piano di sopra. Ho provato ad alzarmi senza riuscirci e sono di nuovo crollato nel sonno.  Appena ha suonato la sveglia sono balzato in piedi, fuori i lampi e la pioggia non invitavano ad uscire, ma io in un attimo ero già fuori di casa e titubante ho girato la città con il ricordo angoscioso della nuvola bianca che mi aveva avvolto nella notte. Incominciavo a pensare che l’affittuaria fosse una strega che si dilettava in malocchi e cose di questo genere e di cui io ne ero diventato la vittima.


Non guardavo più neanche gli accoppiamenti su internet ed ero anche convinto che i “malvagi ragazzini” si mettevano d’accordo tra loro per semplici patte per poi mettere le loro maggiori energie contro di me.

La mia settima partita è stata un incubo. Di fronte ancora un giovanissimo con oltre 400 punti Elo in meno di me. Teso e concentrato avevo raggiunto una buona posizione alla 29 mossa ed ero certo di rifarmi. Poi è entrato in sala un cameramen a fare riprese video ed il rumore della macchina ha come messo in moto l’autonomia dei miei pezzi che non rispondevano più ai miei desideri. Convinto di un malocchio in atto, dopo ogni mossa mi alzavo per andare al bagno e rompere l’incantesimo. Ovviamente il mio comportamento non è passato inosservato e l’arbitro dopo cinque – sei volte di questa ginnastica si è avvicinato per chiedermi come stavo.

Che gli potevo dire? Che i miei pezzi non rispondevano più ai miei comandi? Ho risposto: no tutto bene, perché? Mi ha guardato con sufficienza e mi ha lasciato stare, invitandomi a restare al tavolo per le norme sulla sicurezza sanitaria. Ho firmato la mia sconfitta alla 55^ mossa, con i pezzi bianchi e neri che festeggiavano la vittoria contro di me.


Ho fatto i complimenti al mio avversario e sono corso in enoteca. Non avevo altro luogo dove fermarmi a pensare cosa stesse succedendo. Ho scoperto che i triestini hanno un vino tutto loro. I terreni da queste parti sono aridi e sassosi e inoltre ricchi di ferro. Non senza fatica, mi raccontava l’oste che sono coltivati vitigni autoctoni a bacca rossa chiamato anche “sangue del Carso”, ordinata subito una bottiglia, ai primi sorsi ho rilevato con gusto delle buone doti di struttura, intensità e freschezza, all’olfatto profumi di lampone. Mi sono un po’ distratto pensando ai vignaioli di questa terra come espressione di lavoro intenso e devo ammettere che il risultato del vino bevuto è stato sorprendente. Alla conclusione della prima bottiglia, mentre decido di mangiare qualcosa vedo da lontano l’affittuaria della mia casa, che cammina per la via. Incuriosito la seguo con lo sguardo, sicuro oramai di non tornare a dormire nella sua abitazione e attribuendole la responsabilità del mio deludente torneo come risultato del suo malocchio. Dopo un po’ di questa scena, la “strega” esce dal mio campo visivo e si perde dietro a un palazzo. Sono già sulle sue orme e senza pensarci troppo pago la bottiglia e la inseguo. La vedo entrare in un sottoscala di un palazzo semiabbandonato: sui citofoni non ci sono nomi. Mi guardo intorno e non so che fare. Mi nascondo dietro l’angolo per vedere cosa succede. Niente, non succede nulla. Penso che sarà uscita da una porta secondaria e decido di andare a vedere. Prima di entrare però, dopo aver digerito la paura, chiamo il mio amico romano vigile urbano e lo lascio all’ascolto, hai visto mai? Scendo due rampe di scale, come quelle della sede dell’Accademia di Scacchi a Roma, che mi portano davanti ad una porta di ferro. Provo a spingerla, si apre. Dentro il solito buttafuori da film. Sta sulla porta e mi guarda con aria curiosa, butto a bassa voce il mio nome un po’ distorto, “ah sei il romano, entra pure”.  Mi ritrovo in uno stanzone enorme che mi ricorda una sala scommesse e mi accorgo che in effetti si può scommettere su tutto: quanti caffè vende in quel giorno l’antico caffè di San Marco; quante persone entrano nell’ufficio turistico di Piazza Unità, quante persone arrivano in stazione in giornata, quanti biglietti del museo Revoltella si sono venduti in quel giorno. Mi fermo incuriosito e divertito, un posto incredibile, da raccontare. Mentre continuo a guardare le quotazioni di queste strane scommesse, appare sul monitor il mio nome associato ad un altro che non conosco, ci metto poco a capire: sono le quotazioni del torneo di scacchi. Conosco in quel momento il mio avversario del turno 8, un anziano giocatore classe 1938, con 250 punti Elo meno. La mia quota di vittoria è bassa, ne deduco che qui è considerata molto probabile e quindi si vince poco. Il pareggio non si può puntare quindi se la partita finisce patta tutte le quote puntate vanno al banco, mentre la mia sconfitta è ben valutata: 10 a 1.

Uso il bancomat per ogni spesa e difficilmente vado in giro con soldi in contanti in tasca. Ho 10 euro, e non credo che in questo ambiente accettino carte di credito, quindi per evitare brutte figure mi avvicino allo sportello e punto 10 euro. Il tipo curvo e con occhiali spessi neanche mi guarda e mi rilascia una ricevuta con scritto la quota e Bruni perdente. Decido di andare via e nessuno mi nota, così come non l’hanno fatto quando sono entrato. Passo la nottata su una panchina dei giardini pubblici desiderando l’alba e l’ora della partita.

Alle 16, con il bianco in moto, comincia la mia ottava partita del torneo. Sono teso, da una parte voglio vincere sulla scacchiera ma dentro di me non nascondo la curiosità di ritornare nella sala scommesse e verificare la corrispondenza della mia puntata.  Mentre sono a metà partita mi sorge il dubbio sull’irregolarità della scommessa su me stesso, ma non credo che al botteghino mi chiedano i documenti e quindi decido di mettere un pezzo in presa e chiudere velocemente la partita firmando la mia 5 sconfitta del torneo. Dopo aver consegnato il formulario non mi sento a mio agio in questo ruolo da imbroglione e ci metto un po’ a digerire la scelta, ma mi consolo pensando che la mia curiosità è legittima e quando racconterò questa storia, perché sarà una storia da raccontare, forse in molti capiranno la motivazione di errori fatali durante i tornei, sviste, momentanee amnesie e tutte quelle narrazioni intorno alle sconfitte sulla scacchiera.

La porta della sala scommesse è chiusa, provo a bussare ma non ci sono rumori all’interno, insisto, in fondo devo ritirare la mia vincita. Sento dei passi e una mano sicura che apre il catenaccio interno. Faccio per entrare ma quello mi ferma sulla porta dicendomi che è chiuso. Poi mi guarda bene e come se mi riconoscesse mi invita ad entrare: “Vieni, vieni”. Lo seguo per lo stanzone completamente spoglio, senza più il bancone delle scommesse e le pareti riempite con i cartelloni delle quote. Saliamo le scale ed entriamo ai piani superiori del palazzo. Qui è tutto un altro ambiente, sono uffici ben tenuti, finestre ampie e stanze luminose. “Aspetta qui”. Mi siedo su un bel divanetto ed un ragazzo mi chiede se voglio un caffè. Dico di no prima ancora che finisce la frase. Si apre una porta e mi invitano ad entrare: “Vieni il regista ti vuole conoscere”. Dopo mezz’ora esco dall’ufficio con in tasca il biglietto stretto della mia scommessa e un assegno per la mia partecipazione involontaria come comparsa al remake della Stangata di George Roy Hill, la storia di una truffa che due imbroglioni appioppano a un merlo, soffiandogli un malloppo. Con i soldi del mio inconsapevole lavoro vado nella mia cara trattoria di Trieste a spendere tutto in vino buono e pesce di qualità.


Nell’ultima partita del torneo, finalmente svelato il mistero delle mie pessime prestazioni scacchistiche, arrivo con largo anticipo, mi sottopongo alla misurazione della temperatura, presento il foglio sanitario richiesto e vado a prendere posto alla penultima scacchiera. In attesa del mio avversario penso che in fondo è stata una bella lezione sportiva e umana, altro che film e scommesse: mi sono seduto a giocare con troppa presunzione e quanto ottenuto è l’inevitabile risultato. Mi prometto che al prossimo torneo eviterò di giocare con avversari troppo giovani e proporrò alla Federazione di cominciare a pensare a tornei separati per adulti e giovani. Mentre rido di questa sciocchezza comincia il tempo e parte la partita. Il mio avversario ha 100 punti Elo in meno, ma è quasi coetaneo e lui è con il bianco. Alla mia 28^ mossa trovo la soluzione vincente Dxf1+

29) Dxf1, e2;
30) De1, Ac3;
31) Dxc3, e1=D+;
32) Dxe1, Txe1+;

E finisce così il mio torneo di Trieste con 3,5 punti con 5 sconfitte. Ma la cosa peggiore e che maggiormente mi ferisce non sono neanche i 63 punti Elo in meno, che mi riportano sotto la soglia della mia categoria, ma essere consapevole della difficoltà di tornare al Circolo e non essere creduto nel mio racconto e in più dover subire il commento sarcastico: “mi auguro che tu non abbia messo la maglia del nostro circolo”.

Tornerò a Trieste, perché mi sono trovato bene, la città è accogliente e, a parte il risultato, mi sono divertito nelle partite confermando il principio che non bisogna sottovalutare né i propri avversari e nemmeno la realtà, che a volte è più misteriosa di quello che appare. Attendo il prossimo torneo per riprendermi i miei 63 punti Elo che adesso sono in tour su chissà quale schermo cinematografico.


Andrea Bruni, 56 anni, romano di nascita e romanista per simpatia vive e lavora tra Roma e la Provincia di Rieti e spesso è in giro per l’Italia. Gioca a scacchi da quando suo zio Angelo gli fece i complimenti per avergli indicato una mossa da lui non vista durante un torneo. Frequenta tornei a tempo lungo ed è socio della Scuola Popolare di Scacchi di Roma. In questo periodo è impegnato nella costituzione del settore scacchi all’interno del CSEN dove lavora come Project Manager della progettazione sociale e sportiva con il quale è il Responsabile del Progetto Scacchi Metafora Educativa.

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1 thought on “La magia degli scacchi a Trieste

  1. Complimenti per la narrativa.
    Mi ha fatto rivivere , più o meno, la stessa mia esperienza da non classificato.
    Tutti gli avversari incontrati , giovanissimi , mi hanno fatto sentire di essere una preda di un branco che si è messo d’accordo di scotenarmi lentamente . Incredibile ho arroccato lungo e corto 000+00.= 5 .

Rispondi a Giuseppe BaratoAnnulla risposta

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