Reykjavik 1972: quell’indimenticabile match del secolo (2)
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(GM Sergio Mariotti)
… Pur tuttavia, il 6 agosto Spassky riesce a vincere una siciliana col Bianco, in 31 mosse. Riprende fiato. Patta la dodicesima partita col Nero, ma nella tredicesima, col Bianco, soccombe dopo una durissima lotta di 74 mosse.
[La prima parte di questo articolo è stata pubblicata ieri]
Il distacco si fa pesante, siamo sull’ 8-5. Seguono ben 7 patte. Fischer, da buon volpone, ccumula preziosi mezzi punti che l’avvicinano, lentamente ma sicuramente, alla mèta agognata. Gioca con estrema accortezza, sfrutta immediatamente il minimo errore del sovietico, sembra veramente imbattibile.
Il Campione del mondo Spassky, il giocatore che si era creato il mito dell’invulnerabilità, il rappresentante più forte in assoluto della temuta e riverita scuola sovietica, sta crollando a poco a poco, si sta sgretolando sotto i colpi tremendo dell’americano.
Com’è possibile … i russi non si capacitano. Sembra impossibile che Boris, il loro gigante roccioso, sempre calmo, impassibile, vincitore di tante magnifiche battaglie, ora invece si trovi in una così triste condizione di succubo. Ci dev’essere qualcosa, qualche misteriosa forza esterna che agisce, fiaccandolo, sul suo grosso cerebro, prima così scattante e adesso mezzo intorpidito. Ma che cosa? … Un gas? … Un veleno? … Stanno i disonesti yankee applicando al nobil giuoco le nefandezze della guerra chimica o di quella elettronica?
Perché Fischer ha tanto insistito per quel sistema d’illuminazione così forte nel salone e perché vuole sedersi alla scacchiera sempre sulla stessa poltroncina fattasi mandare espressamente da New York? Gli americani stanno barando, ecco … sic et simpliciter! Aah, ora si disturba finanche la lingua latina, qui al Campionato mondiale di scacchi … e perché no? Il motto della FIDE non è forse scolpito in latino? GENS UNA SUMUS … una e sospettosa, malfidente, maligna.
Qua bisogna subito fare dei controlli, tuona Nikolai Krogius da dietro i suoi lugubri occhialoni neri. Il KGB è in allarme. Il Grande Maestro Geller, il tarchiato secondo di Spassky col faccione da boxeur, è incaricato di pronunciare ufficialmente le gravi accuse al clan americano. E’ il 22 di agosto. Ci sarà da divertirsi. Ora sono i russi a rompere le scatole ai bravi organizzatori di Reykjavik, che finalmente cominciano a spazientirsi anche loro.
Ha inizio una rabbiosa caccia alle streghe.
Le poltroncine vengono radiografate, smontate, scollate, smembrate, impietosamente. Si trova, oibò, una pallina di mastice secco: la si analizzi! Niente di positivo per gli accusatori, ahimé! Si trovano in un lampadario due grossi mosconi stecchiti: forse sono stati fulminati dal raggio della morte del Pentagono … ilarità.
“Andate al diavolo, russi della malora”, va intanto sghignazzando Bobby Fischer, che si sollazza molto a vedere i sovietici stupidamente indaffarati alla ricerca di belzebù. Ma il diavolo è proprio lui, che, con la sua mefistofelica volontà di vincere e distruggere, sta giocando implacabilmente, sta mettendo in ginocchio non soltanto un grande giocatore di scacchi ma tutta una potentissima nazione.
Si arriva al 31 di agosto. Il punteggio è di 11,5 a 8,5 per l’ormai giulivo e baldanzoso Bobby. Si gioca la ventunesima partita del “match del secolo”. Un punto divide Fischer dalla tanto sognata corona di Campione del mondo. Spassky gioca coi pezzi bianchi.
La delegazione sovietica è in preda all’orgasmo. Nel Salone dello Sport-stadion il clima è febbrile, spasmodico. C’è ancora un filo di speranza: sembra che Boris abbia ancora qualche chance. L’arrivo della sua bella mogliettina ha tirato un po’ su un morale che era molto basso. Si tratta di una Siciliana (la partita, non la signora!) con la difesa Paulsen. Anche l’undicesima, vinta da Spassky il 6 agosto in 31 mosse, era una Siciliana! Bedda matri, la partita è avvincente. Gli spettatori sono affascinati. Nei circoli scacchistici del pianeta Terra si freme. Anche l’uomo della strada s’è fatto prendere dalla scaccomania che quel diavolaccio d’un Fischer ha fatto da alcuni mesi scoppiare al Polo Nord e che è dilagata con reazioni a catena ovunque, su tutto il globo terraqueo.
Nei bar di New York e di Chicago le scommesse fioccano. Gente che prima faceva fatica a distinguere le orecchie di un cavallo dai merli di una Torre, ora si permette il lusso di disquisire sulla difesa ortodossa, sull’attacco Rauzer e persino sulla tortura di Tartakower. Incredibile …
Due mondi, due sistemi di vita stanno di fronte a Reykjavik: la Russia e l’America. E’ la guerra, sì, la guerra! Chi vincerà, il comunismo o la libertà? “Posso dire che mentre siedo davanti alla scacchiera, sono un giocatore di scacchi e non un politico” dichiara Spassky, che, in effetti, la tessera del Partito non ce l’ha. “M’interessa soltanto la mossa migliore”, afferma seccamente l’americano, che qualcuno definisce addirittura “di destra”.
Ma bando alle chiacchiere. In Islanda si sta disputando un semplice match sportivo, delle semplici partite di scacchi. Accanitamente, mossa dietro mossa. A proposito di mosse, i due famosi contendenti giungono alla quarantunesima e … ancora suspence per tutti: si decide di aggiornare la partita. Sono state lunghe ore di aspra lotta. Spassky fa sigillare la mossa del Bianco. “Alfiere in d7”. Ahimé, non è la migliore. L’angosciosa analisi notturna lo dimostra senza pietà. Domani Fischer potrà pattare facilmente o anche vincere. Il Re in “h3” avrebbe offerto una maggiore resistenza.
Alle 12,50 di venerdì 1° settembre, Boris Spassky, ormai rassegnato, dall’albergo in cui ha trascorso una nottata allucinante pensando alle cupe, ineluttabili rampogne dei commissari culturali moscoviti, telefona al buon Lothar Schmid e con voce sommessa gli comunica la decisione di abbandonare.
‘Bubby Fissa’ (come lo chiamano i simpatici islandesi) è il nuovo Campione del Mondo. La supremazia russa negli scacchi internazionali è finita.
Fischer l’egoista, il rappresentante dell’aborrito mondo capitalista, nekulturnij Bobby, il giocatore che si autoproclama il più grande artista della storia degli scacchi ma che considera il denaro più importante dell’arte stessa; il pazzo eroe culturale del campus americano; lo stravagante ribelle all’autorità; il monomaniaco viziato, caparbio, insolente, scortese; il bigotto sabatista fondamentalista dai farneticanti temi astrali … ora se ne può tornare in California con una grossa borsa imbottita di dollari, e rintanarsi a Pasadena, dove si trastullerà tanto e poi tanto con lo scettro di “Re degli scacchi”.
P.S.: ho scritto questo articolo nel 1981 per la rivista (“numero unico”) “Campionato mondiale di scacchi”, editoriale “T&C”, direttore A.F. Corrarello. Il titolo originario era: “Quel fatidico primo settembre 1972 a Reykjavik”.