Elogio della sconfitta
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(Riccardo M.)
“È terribile perdere. La sconfitta provoca profondo dolore. Ogni volta che la subisco, io mi punisco mentalmente e penso nella mia mente all’intera partita. Dove ho sbagliato?”. Sono parole di Garry Kimovic Kasparov, risalenti a molti anni fa.
Ebbene, forse Kasparov, parlando così, non sapeva (ancora) che sbagliato è (almeno dal mio punto di vista) soltanto questo modo di ragionare, di vedere la sconfitta come dolore, proprio o altrui. Del resto parecchi grandi campioni sono diventati tali grazie soprattutto (o anche) perché riuscivano, lottando con tutte le forze e con tutti i mezzi a loro disposizione, a tenere il dolore lontano da sé, lasciandolo in casa dell’avversario di turno.
Assai simile a Kasparov, anzi ben peggio, era ad esempio Alekhine. Lo ricordava così Reuben Fine quando nel 1933 Alekhine andò al Marshall Chess Club (dove Fine era il campione) e i due giocarono alcune partite amichevoli: “…. In queste partite riuscii bene o male a tenergli testa, e lui s’infuriò talmente da pretendere che venisse organizzato un match di partite rapide con una piccola posta; non poteva sopportare l’idea che qualcuno riuscisse a batterlo, sia pure in una partita amichevole. Negli altri giochi la sua volontà di vincere era altrettanto grande ed esclusiva: quando perdeva a ping-pong, schiacciava la pallina per la rabbia … un grande genio, ma un uomo malato“.
Non la pensava probabilmente come Alekhine e Kasparov un assai meno noto giocatore inglese, tale Baruch Harold Wood (1909-1989), del quale si ricorda una combattuta patta con Max Euwe nel torneo di Hastings 1949-1950.
Wood, che fu anche autore ed editore, non lesinava di raccontare tra il serio e il divertito di una sua incredibile avventura occorsa in una partita per corrispondenza, una sconfitta rapidissima senza praticamente giocare, un errore colossale alla prima mossa, forse unico nella storia degli scacchi. Come si fa a perdere in due mosse in una partita per corrispondenza? Presto detto:
Wood aveva il Nero e al primo tratto del Bianco (1.e4) rispose scrivendo nella cartolina “1… b6 e, qualunque mossa voi facciate, io gioco 2… Ab7”. Wood aveva pensato probabilmente ad un espediente per risparmiare tempo e risparmiare una cartolina, ma il suo avversario lo prese terribilmente sul serio e così rispose: “2.Aa6 e, dopo 2.Ab7, 3.Axb7”. E fu subito 1-0.
Wood si sarebbe infatti ritrovato con ben due pezzi in meno dopo appena tre mosse (si perde anche la Torre). Eppure non fece drammi. In fin dei conti era solo una partita …
Un altro personaggio, stavolta non del mondo scacchistico, che (come Wood) non la pensa come Kasparov intorno alla sconfitta è un nome di oggi poco noto ai mass media ma che ha avuto un momento di celebrità allorché un suo ‘pensiero sulla sconfitta’ venne attribuito per errore nientemeno che a Pier Paolo Pasolini. Si trattò di una giovane maestra elementare, Rosaria Gasparro, insegnante a San Michele Salentino. Queste sue parole sulla sconfitta apparvero nel 2014 su di un blog:
“Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta.
Alla sua gestione.
All’umanità che ne scaturisce.
A costruire un’identità capace di avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati.
A non divenire uno sgomitatore sociale, a non passare sul corpo degli altri per arrivare primo.
In questo mondo di vincitori volgari e disonesti, di prevaricatori falsi e opportunisti, della gente che conta, che occupa il potere, che scippa il presente (figuriamoci il futuro),
A tutti i nevrotici del successo, dell’apparire, del diventare…
A questa antropologia del vincente preferisco di gran lunga chi perde. E’ un esercizio che mi riesce bene. E mi riconcilia con il mio sacro poco.
Ma io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo so! E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù…”
Si dice che l’equivoco nacque in quanto Rosaria Gasparro avesse citato alla fine il nome di Pasolini, intendendogli però attribuire soltanto le ultime tre righe (“Ma io sono un uomo …”), che sono tratte da un articolo del regista bolognese pubblicato sul n. 42 di “Vie Nuove” il 28 ottobre del 1961. Altri dicono che l’intera frase trascritta dalla Gasparro fosse stata precedentemente pronunciata dal politico italiano Graziano Del Rio nel corso di un intervento all’Assemblea Nazionale del suo partito.
Ma allora? Quelle parole sono di Del Rio o anch’egli le recuperò altrove? Indietro a cercare negli anni finiremmo forse per arrivare fino a Teodoro Paleologo marchese di Monferrato (1291-1338), con il suo manoscritto intitolato “Elogio della sconfitta”, manoscritto conservato nella traduzione francese di Jehan de Vignay nella Bibliothèque Royale di Bruxelles e dato alle stampe in italiano a cura di M. Di Branco e A. Izzo (ed. Viella, 2015).
Alla sconfitta ha dedicato dei versi anche il grande poeta libanese Kahlil Gibran. Eccoli:
SCONFITTA
Sconfitta, mia Sconfitta, mia solitudine e mia riservatezza,
tu mi sei più cara di mille trionfi,
e sei più dolce al mio cuore di tutta la gloria del mondo.
Sconfitta, mia Sconfitta, mia consapevolezza e mia sfida,
grazie a te so che sono sempre troppo giovane e veloce
per restare intrappolato da allori che appassiscono.
In te ho trovato il mio distacco
e la gioia di essere evitato e disdegnato.
Sconfitta, mia Sconfitta, mia spada scintillante e mio scudo,
nei tuoi occhi ho letto
che essere incoronati è come diventare schiavi,
che essere capiti è essere rimpiccioliti,
che essere colti non è che raggiungere la propria maturità
e come un frutto maturo cadere ed essere mangiati.
Sconfitta, mia Sconfitta, mia audace compagna,
tu ascolterai i miei canti, i miei pianti e i miei silenzi.
Nessun altro all’infuori di te mi parlerà di battiti d’ali,
e di mari tempestosi
e di montagne che bruciano nella notte.
Tu sola scalerai la rocciosa parete della mia anima.
Sconfitta, mia Sconfitta, mio immortale coraggio,
tu ed io insieme rideremo alla tempesta,
e insieme scaveremo le tombe per tutto quanto muore in noi,
con ferma volontà rimarremo nel sole,
e saremo per tutti una minaccia.

Tornando a giorni a noi più vicini, ricordo anche le parole illuminate di un nostro famoso calciatore, Beppe Bergomi, per il quale “… i nemici del calcio sono tanti, ma il peggiore, il più pericoloso, è l’assenza di una cultura della sconfitta”. Aggiungerei io a questo punto: “… i nemici dello sport” …
Rosaria Gasparro (e pure Wood, e pure Del Rio e pure Bergomi) non sarà mai una campionessa mondiale di scacchi anche se per assurdo dovesse diventare la più brava giocatrice del mondo. Ma per noi (e pure per Wood, per Del Rio e per Bergomi e certamente per Teodoro Paleologo marchese di Monferrato) quelle riflessioni vanno bene così.
Se volete leggere qualcosa in più sulla figura di Baruch Harold Wood, è ideale questo articolo (in inglese) pubblicato su British Chess News.
L’immagine sotto il titolo raffigura B.H. Wood ed è tratta, appunto, da quell’articolo, senza indicazione dell’autore della fotografia e dell’anno.
Buone sconfitte a tutti!