Gli scacchi a Rebibbia
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(Rosario Lucio Ragonese)
Questa mia esperienza è dei primi anni ’80, altri tempi e condizioni diverse da oggi, per molti aspetti. Fui contattato da una psicologa che lavorava presso la Casa Circondariale di Rebibbia e fui subito interessato a vedere l’interno di un carcere con il loro potenziale umano.
Sconvolgente, molto diverso da qualsiasi immaginazione.
Visita al casellario giudiziario, richieste, autorizzazioni e passò oltre un mese.
Cominciai a provare una strana sensazione già qualche giorno prima del primo incontro; molti nel quartiere dove abitavo a Roma, Quarto Miglio, mi guardavano strano. Capii solo dopo qualche giorno che i Carabinieri erano venuti a chiedere informazioni su di me ai vicini. Naturalmente, non sapendo il motivo, sembrava che chissà cosa avessi fatto! In un quartiere dove mi vedevano di rado le congetture potevano essere molteplici e certamente anche negative.
Siamo abituati a vedere film con sbarre e celle; naturalmente non ho visto né sbarre né celle.
Il primo impatto con “Rebibbia” non l’avevo immaginato ed è stato meglio così. Entri in un grandissimo portone che si chiude con un rumore sinistro, poi metti tutto il materiale, scacchi, scacchiere ed orologi sul tavolo e minuziosamente una guardia controlla pezzo per pezzo. Bisogna ricordarsi che all’epoca i pezzi di plastica erano riempiti con la sabbia “per fare peso” e qualcuno di questi che aveva perso il “tappo” era vuoto e leggerissimo. Certo io non avevo mai pensato di nascondere qualcosa lì dentro. Ma il controllo, vi assicuro che è stato scrupoloso.
Finito questo primo passo, dopo il controllo dei documenti e l’apposizione di qualche firma, faccio la conoscenza della doppia porta, con guardia in mezzo, e arriviamo in un grande corridoio, poi altra doppia porta, sempre con guardia, e finalmente siamo dentro.
Qui quello che succede non ha niente a che vedere con l’esterno.
Tutto tranquillo, la psicologa mi spiega che solo il venti per cento dei detenuti partecipano all’attività ricreativa e che gli altri, la maggioranza, preferiscono rimanere in cella. Mi sembra strano ma mi accorgerò che tante sono le cose che sembrano strane.
Vedo passare un gruppo che in maglietta e calzoncini va a disputare una partita di calcio, si sente in lontananza il gruppo di percussionisti e arriviamo nel salone dove mi aspettano una ventina di persone. Saluti e ringraziamenti. Mi attendevano e chissà adesso cosa si aspettano da me. Non è stato facile rompere il ghiaccio: è palpabile la mancanza di libertà.
Chiariamo subito che non esistevano i telefonini e che sono l’unico ad avere l’orologio. Quando hai qualcosa che gli altri non hanno ti accorgi di essere “unico”. Ancora più unica la psicologa: lei è l’unica donna. Strana sensazione: tutti gli occhi puntati sul “Maestro”, così sono stato presentato, e sull’essere esterno.
Mi ricordo di essere un organizzatore, metto le scacchiere sui tavoli e poi distribuisco le scatole con i pezzi (sì all’epoca c’erano delle scatole di plastica marrone per contenere i pezzi) e dico come sempre, come se fossimo fuori, “metteteli a posto”.
Lo fanno!
Prende la parola la psicologa, esalta le mie capacità e il motivo per cui facciamo questa esperienza.
Parlo pochi minuti, stranamente, non sono a mio agio, la diversità dell’ambiente è evidente. Poi spiego le regole della simultanea (sì ho spiegato delle regole in carcere) e iniziamo. Finalmente torno nel mio mondo, sto giocando a scacchi e questo lo so fare in qualsiasi ambiente. Dimentico dove sono e gioco …
Venti partite. Dopo un’ora è tutto concluso e si mettono a posto i pezzi. Adesso siamo amici e tutti pongono domande e tutti vogliono sapere qualcosa.
Poi arriva la domanda “Maestro, quando torni?” e la mia risposta “Guardate che è difficile entrare” risposta rivelatesi ridicola. Con la replica in romanesco “Ma che sta a di’. Basta che rubbi ’na machina”. E risata generale.
Sì, dentro alcune parole, alcune frasi, hanno un altro significato. Il tempo non esiste. Quello che fuori è importante dentro ha un altro valore. Veramente non si sa come parlare, più sei te stesso e più commetti gaffes.
Lasciarli e sapere che rimarranno dentro ti da una strana sensazione, l’emozione di essere libero che non avevi mai provato e la tristezza per quegli individui che hai conosciuto e che rimarranno “dentro” puniti per qualcosa che non saprai mai.
La seconda volta ci sono andato con un altro spirito: sapevo di incontrare degli amici. C’era qualcuno nuovo e mancava qualcun altro, era la premiazione del torneo interno e un detenuto, per la premiazione e per essere premiato dal Maestro, era rimasto dentro quando sarebbe potuto uscire e tornarsene a casa. La soddisfazione della premiazione invece della libertà!
L’aneddoto alla fine della giornata è meraviglioso e per certi versi triste.
All’uscita io e la psicologa ci ritroviamo nella doppia porta e manca la guardia che ci deve aprire, attendiamo un po’, poi la psicologa si rivolge a un detenuto che passa dietro noi e dice “ Come si fa a uscire?” Domanda lecita fuori, ma non dentro. Risposta pronta e sempre in romanesco “A sapello“. Incassata questa figuraccia, arriva la guardia, e usciamo.
Qualche mese dopo sto all’Isola Tiberina con la mia ragazza, adesso mia moglie, e ci viene incontro un’altra coppia. Il ragazzo apre le braccia e mi abbraccia gridando “Maestro!” e al mio stupore aggiunge “Ci siamo conosciuti a Rebibbia!” la voce è rimbombata per tutto il Fatebenefratelli (per i non romani è l’Ospedale romano sull’Isola Tiberina)… almeno questa è stata la mia prima sensazione. In realtà ero felice di aver incontrato un simpatico ragazzo e che adesso stava fuori!!
Il valore di questa esperienza è semplicemente lo stesso di quando si dona qualcosa, chi riceve ottiene una cosa e chi dona riceve un’emozione indicibile e incommensurabile.
Cosa ti resta e cosa dai. Da questa esperienza ti resta un mondo sconosciuto, un mondo di persone normali, un mondo di persone che vogliono rimettersi in gioco e che devono soltanto aspettare per averne la possibilità. Dai veramente poco perché basta la tua presenza che viene vista da loro come l’elemento esterno, quello che sa cosa c’è fuori e può raccontare un mondo fantastico, gli scacchi e la scacchiera, che esistono dentro e fuori con le stesse regole e con le stesse emozioni. È facile dire che gli scacchi non hanno barriere di lingua, di religione, di condizione sociale e a Rebibbia questo l’ho toccato con mano: molti stranieri, lingue diverse, religioni diverse e non ho visto nessuno barare. Un posto speciale!!
Ci piace pubblicare questo ricordo di Lucio subito dopo la conclusione del primo Torneo Intercontinentale Online per carcerati, che si è svolto dal 13 al 15 ottobre con il patrocinio della FIDE. A testimonianza di quanto ha raccontato Lucio sugli scacchi come gioco senza barriere di nessun tipo, ha vinto la Mongolia battendo in finale lo Zimbabwe, mentre la Georgia ha vinto il torneo femminile davanti alla Russia. Ma davvero stavolta l’importante era partecipare!