Bobby Fischer all’aeroporto di Narita, Tokyo, 13 luglio 2004
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(Adolivio Capece)
13.7.2004: Bobby Fischer è all’aeroporto di Narita, in attesa di imbarcarsi sul volo per le Filippine. Sta andando “a trovare la famiglia”: a Manila vive infatti la ragazza che qualche anno prima gli avrebbe dato una figlia (ma un’analisi del DNA fatta in seguito ha smentito la cosa).
D’improvviso Fischer viene bloccato dalla polizia giapponese, che gli sequestra il passaporto, dichiarandolo scaduto e quindi non più valido, e lo rinchiude in una cella in attesa di rimpatriarlo negli Stati Uniti.
Negli Stati Uniti Bobby è atteso da una condanna a dieci anni di carcere, condanna dovuta al fatto che nel 1992 Fischer ha violato l’embargo USA contro la Serbia-Montenegro, o per intenderci la Yugoslavia di Milosevic, giocando, proprio con Spassky, il “Match di rivincita”, vent’anni dopo quello di Reykjavik.
La sfida si svolse dapprima nel piccolo centro di Sveti Stefan e poi a Belgrado. Fischer vinse ancora. Una vittoria, per la cronaca, che gli ha fruttato una cifra di circa 2,2 milioni di euro. Immediatamente prima dell’inizio dell’incontro, a Fischer fu consegnata una lettera del Governo USA che gli vietava di giocare il match. Lui, dopo averci sputato sopra, la strappò platealmente di fronte ai giornalisti. Da qui la condanna, l’impossibilità per Bobby di rientrare in Patria e l’inizio del suo peregrinare.
A posteriori si è saputo che Fischer è vissuto per qualche tempo in Germania, poi un paio di anni a Budapest in Ungheria (frequentando la famiglia della campionessa Judit Polgar, della quale fu spesso ospite), poi nelle Filippine, a Manila.
Lo ha dichiarato lo stesso Fischer il 27 gennaio 2002 in occasione di un’intervista telefonica, effettuata durante un programma realizzato dalla Televisione islandese di Reykjavik per ricordare i trenta anni dallo storico match con Boris Spassky.
Poi, più o meno nel 2000, il nuovo trasferimento, questa volta in Giappone, a Tokyo, ma con regolari viaggi a Manila.
In pratica per una dozzina di anni, cioè dal 1992, Bobby Fischer ha viaggiato in lungo e in largo senza problemi. Fino al 13 luglio del 2004.
“Come mai proprio in Giappone?” gli ha chiesto Helgi Helgasson, il conduttore del programma realizzato dalla Televisione islandese. E Fischer allora rispose: “Meglio qui che in un carcere americano” Ma da quello che è saltato fuori poi, la vera motivazione sembra essere ben diversa…
Va detto che la TV islandese era riuscita a contattare nel 2002 Fischer, per ricordare i trenta anni del match di Reykjavik, grazie anche all’aiuto di Simonar Palsson, guardia del corpo di Bobby nel 1972 e a quanto pare divenuto poi suo buon amico. Tra l’altro Palsson durante la trasmissione ha affermato che Fischer avrebbe una figlia anche in Islanda, frutto di una relazione con una ragazza del luogo durante il Mondiale, ma la notizia non è stata confermata.
Quando Helgasson ha chiesto a Fischer come avesse fatto a viaggiare fino ad allora con tanta facilità senza essere arrestato, Bobby ha risposto che “le autorità americane non hanno il coraggio di farmi arrestare”.
A quanto pare qualcosa era cambiato. Forse la vera causa della modifica nell’atteggiamento delle autorità statunitensi è stata una intervista rilasciata a Radio Bomba, emittente delle Filippine, subito dopo l’11 settembre, in cui (purtroppo) Bobby ha manifestato soddisfazione per l’attentato alle “Torri gemelle”.

Torniamo alla attualità.
Dopo quasi un mese trascorso nella cella dell’aeroporto di Narita, il 10 agosto Fischer è stato trasferito nel centro di detenzione di Ushiku (prefettura di Ibaraki), a circa 50 chilometri da Tokyo. Non ha potuto sottrarsi ai fotografi, lui che notoriamente è allergico a fotoreporter e giornalisti. E quando ha visto le fotografie che gli sono state scattate, sembra abbia esclamato: “Mi fanno assomigliare a Saddam Hussein!”
E proprio nella cella di Ushiku, subito dopo Ferragosto, gli è stato comunicato che la richiesta di estradizione da parte degli Stati Uniti era stata accettata dal Ministero degli Esteri giapponese. Bobby ha così tentato quella che sembrava l’ultima carta, l’appello alla Suprema Corte, che equivale un po’ alla nostra Cassazione.
Non appena la notizia dell’arresto di Fischer si è diffusa, sono iniziate manifestazioni di solidarietà per l’ex campione del mondo. Migliaia di lettere e di mail sono state inviate all’Amministrazione statunitense e ai giornali, a favore di Bobby.
Immediatamente un gruppo di sostenitori ed estimatori del campione, capeggiato da John Bosnitch, ha ingaggiato una avvocata giapponese, Masako Suzuki, che ha studiato negli Stati Uniti ed è esperta di problemi legati all’immigrazione: Masako per prima cosa ha presentato ricorso al Ministero della Giustizia avverso all’estradizione, poi ha fatto chiedere a Bobby addirittura ‘asilo politico’, ipotizzando che tutta la vicenda fosse solo una strumentalizzazione politica in vista delle elezioni presidenziali americane di novembre (quelle fra George W. Bush e John Kerry).
Un’ipotesi abbastanza fantasiosa, ma che rispecchia una dichiarazione di Russel Targ, il marito della sorella di Fischer.
Ma non è finita qui. Poiché, a quanto pare, esiste in Germania una legge in base alla quale chi è nato prima del 1975 ed ha padre tedesco viene considerato cittadino tedesco sulla base di una semplice richiesta, l’avvocata Suzuki ha fatto presentare a Fischer la richiesta, in quanto il padre di Bobby, Gerhardt Fischer, era appunto di nazionalità tedesca, emigrato negli Stati Uniti allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Quindi ha chiesto all’Ambasciata della Germania di opporsi all’estradizione di Fischer.
Quasi contemporaneamente, Fischer ha chiesto asilo politico anche alla Serbia-Montenegro, dove, come abbiamo detto, nel 1992 ha giocato il “match di rivincita” con Spassky.
Inizialmente il presidente del Montenegro, Filip Vujanovic, aveva dato il suo benestare. Ma poi, quando il Consolato degli Stati Uniti in Montenegro ha fatto sapere di aspettarsi che Fischer fosse giudicato nel suo Paese di nascita, Vujanovic ha fatto subito marcia indietro e in una intervista alla radio di Podgorica (capitale del Montenegro) ha affermato di non essere disposto ad andare contro i desideri degli Stati Uniti.
A questo punto, visti inutili tutti questi tentativi, Bobby Fischer ha deciso di rinunciare alla cittadinanza americana e il 6 agosto ha telefonato all’ambasciata degli Stati Uniti a Tokyo comunicando questa sua volontà.
“Tecnicamente Fischer diventerà un apolide. I gruppi che lo appoggiano in Giappone cercheranno di farlo iscrivere come rifugiato presso l’Ufficio dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati a Tokyo” ha dichiarato in una conferenza stampa l’avvocata Masako Suzuki.
Ma anche questo tentativo è fallito, per una banale procedura burocratica: la rinuncia non può essere fatta via telefono, ma di persona all’ambasciatore. Però Fischer è chiuso in cella e quindi non può recarsi all’Ambasciata….
Il colpo di scena forse più clamoroso di tutta la vicenda si è tuttavia verificato ai primi di agosto.
“Mi sposo!” ha annunciato Bobby, “con Miyoko Watai, la presidente della Federscacchi Giapponese, con la quale da anni ho una relazione.”
Una ennesima trovata? No, l’amore sarebbe di lunga data, almeno stando alle dichiarazioni di Miyoko Watai (59 anni) riportate anche dal settimanale italiano L’Espresso, che nel numero in edicola nell’ultima settimana di agosto 2004 (n. 35) ha dedicato un bel servizio di quattro pagine al “caso” Fischer. L’articolo, scritto con sorprendente competenza, è a firma Pio Rossi.
All’interno dell’articolo c’è un riquadro (“Una regina per il re”, a firma Pio D’Emilia) appunto con una intervista alla Watai, “da molti anni sua ammiratrice e amica, che ora sostiene di essere anche sua amante”. Eccola:
“Signora Watai, lei ha annunciato di voler sposare Bobby Fischer. È un matrimonio di comodo per fargli ottenere la liberazione e il permesso di soggiorno in Giappone?”
“Conosco Bobby dal 1973, avevo 28 anni. Venne in Giappone, aveva appena vinto lo storico match mondiale in Islanda. Fui scelta per giocare una partita con lui. E me ne innamorai subito. Da allora siamo sempre stati in contatto, io andavo da lui, in America, e lui veniva da me in Giappone. Abbiamo vissuto come moglie e marito per vent’anni. Solo che, essendo entrambi persone molto riservate, abbiamo cercato di tenere la nostra relazione segreta. Ma abbiamo molti amici che possono testimoniare il nostro amore e la nostra convivenza di fatto.”
“A che punto sono le pratiche di matrimonio?”
“Ci siamo già sposati, formalmente, davanti a due testimoni, nella cella dove Bobby è rinchiuso (a Ushiku – NdR). Per la legge giapponese è sufficiente. Ma ci sono dei problemi tecnici: la firma di Bobby deve essere autenticata. E questo secondo alcuni funzionari della Ambasciata USA a Tokyo può avvenire solo se Bobby si presenta in Ambasciata. Ma ciò non può avvenire, primo perché è ancora detenuto, secondo poiché potrebbe essere trattenuto contro la sua volontà ed estradato. Abbiamo perciò chiesto che un funzionario del consolato venisse in carcere e autenticare la sua firma. Gli avvocati dicono che si può fare.”
“E poi Fischer ha rinunciato alla cittadinanza USA…”
“Anche qui stessa situazione. La sua rinuncia va autenticata. Per questo chiediamo che venga un funzionario del consolato, autentichi la sua firma in calce al certificato di matrimonio e poi prenda atto della sua rinuncia alla nazionalità. E tutto finisce bene. Bobby non è un criminale, ha le sue idee, magari un po’ radicali, ma sono idee. Non ha commesso alcun reato, tranne quello di sfidare l’embargo contro la Yugoslavia. L’appello per la sua liberazione è già stato firmato da oltre un migliaio di intellettuali, da professionisti, da semplici cittadini. Bobby è una persona eccezionale, un genio. E da più di due mesi è rinchiuso in una cella, come un pericoloso terrorista. E ora hanno deciso di estradarlo.”
La battaglia legale che seguì per evitare l’estradizione, vide Bobby ricevere il sostegno degli scacchisti di tutto il mondo e tra questi anche quello dell’ex rivale ed amico Spassky attraverso un’accorata lettera: forse per questo il Governo USA non insistette più di tanto.
Alla fine a soccorrere Fischer arrivò l’Islanda, dove Bobby era stato protagonista dello storico mondiale con Spassky nel 1972: il governo islandese, nonostante l’opposizione americana, concesse a Fischer un passaporto e poi anche la cittadinanza. A questo punto il Governo Giapponese fu praticamente costretto a dare il via libera alla scarcerazione di Bobby e a permettergli l’espatrio proprio in Islanda.
Così alla fine di marzo Bobby Fischer lasciò la cella per volare nella sua nuova Patria. Accolto con tutti gli onori all’arrivo in aeroporto, Fischer è poi tornato al suo tradizionale isolamento. Ha fatto sapere di voler far causa al Governo Americano e di non essere intenzionato a tornare a giocare.
Da allora Bobby ha vissuto tranquillo nell’isola…
… Fino alla fine di novembre del 2007, quando è stato ricoverato in ospedale, a Reykjavik, per problemi renali. Sembrava una malattia da poco, facilmente curabile, invece in poche settimane gli sarebbe stata fatale: morì nella notte tra il 17 e il 18 gennaio 2008.