Uno scaccomatto del Seicento dipinto da un caravaggesco
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(Rodolfo Pozzi)
Nelle Gallerie dell’Accademia di Venezia ho “scoperto” un quadro che non avevo mai visto prima tra le numerose opere d’arte che mi hanno affascinato avendo come tema partite di scacchi.
Sono rimasto subito colpito dal contrasto tra chiarore e oscurità e dalle espressioni dei personaggi: un giovane che ha tutta l’approvazione e il sostegno di una figura femminile che tiene la mano sulla sua spalla, e l’avversario, più anziano e probabilmente più esperto, che, di fronte all’evidenza dell’imminente sconfitta, osserva incredulo e rammaricato la conclusione inevitabile.
Pacatezza e calma dominano tutta la scena pervasa dalla luce.
Si legge sul Catalogo Generale dell’Accademia:
“Autore: Pittore caravaggesco. Titolo: Giocatori di scacchi. Catalogo: 633.
Datazione: Secondo decennio del XVII secolo. Supporto: Olio su tela, cm 95 x 132.
Provenienza: Legato Girolamo Molin, 1816. Sala 3.
Dapprima attribuito al Caravaggio e poi a Bartolomeo Manfredi, e infine a un caravaggesco minore.
La tela rappresenta tre personaggi elegantemente vestiti secondo la moda del XVII secolo, intenti nel gioco degli scacchi, uno dei soggetti preferiti dai seguaci del Merisi (Michelangelo Merisi, il grande pittore noto come Caravaggio) che prediligevano scene di genere ambientate all’interno di cupe osterie.
Il punto di vista ribassato fa scivolare l’occhio lungo il tavolo inclinato, dove sta la scacchiera e un brano di natura morta composto da un piatto, un’ampolla e un bicchiere.
I giocatori sono bagnati da una luce che descrive con attenzione naturalistica la consistenza tattile delle loro vesti dalle cromie accese e ne restituisce con vivido realismo i copricapi piumati che campeggiano su uno sfondo bruno ed indistinto”.
Nella scacchiera la casella bianca d’angolo non è posizionata alla destra dei giocatori, e i pezzi, anche quelli catturati, si distinguono con evidenza.
Il conduttore dei Bianchi ha il Re in a1 e un Alfiere in e2; quello dei Neri ha il Re in c1 (con una curiosa grande faccia nella parte centrale del corpo), un Alfiere in h2 e un Cavallo in h4, e sta piazzando in a3 una Torre che dà lo scaccomatto all’avversario, visibilmente sorpreso.
Probabilmente, come mi suggerisce l’amico Roberto Cassano, non si tratta di una partita ma della soluzione di un “partito”, cioè di un problema a scommessa tanto in voga nelle taverne e nelle osterie già nel medioevo.
“Partito” – dal “Dizionario enciclopedico degli scacchi di A. Chicco e G. Porreca”, Mursia 1971 – indicava una posizione con combinazioni particolarmente ingegnose, che potevano derivare da partite giocate o essere il frutto della fantasia del compositore.
Le monete che si vedono sul tavolo rappresenterebbero quindi la posta della competizione.
Nato a Como nel 1930, liceo classico, laurea in Economia e commercio, felicemente sposo, padre, suocero e nonno, dirigente industriale in pensione, appassionato di speleologia, preistoria e archeologia. Negli anni ‘50 e ‘60 animatore dell’attività scacchistica a Como e Delegato Provinciale FSI, ora Past President della Chess Collectors International Italia. Principali pubblicazioni (oltre a numerosi articoli): “Il Circolo degli Scacchi di Como dal 1945 al 1955”, Milano 1956; “I giochi di scacchi mongoli, riflesso della cultura nomade delle steppe”, Como 2002; “Scacchi: giochi da tutto il mondo” (con Gianni Gini), Lecco 2007.