Uno Scacchista

Annotazioni, Spigolature, Punti di vista e altro da un appassionato di cose scacchistiche

I due giocatori di scacchi

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(Fabio Lotti)
Un ricordo da ragazzo nel mio piccolo paese di Staggia…
I due nuovi arrivarono quando Gigi, detto i’ Lardoso, stava finendo una litania di smoccolamenti da far venire giù il soffitto. Aveva fatto un tiro al biliardo di una precisione millimetrica, troppo millimetrica, per cui la palla del suo avversario, colpita con micidiale destrezza, era passata proprio nel bel mezzo dei birilli senza buttarne giù neanche uno. Da qui il richiamo a tutti i santi che trovano dimora in paradiso. 

E, sempre quei due, arrivarono al clou di alcune partite a carte fra vecchietti imbarbariti per un asso che non veniva e il buco di culo che arrideva ora a questa, ora a quella coppia con smadonnamenti della parte sfortunata. Metteteci il “pubblico” attorno ai tavoli da gioco che sghignazzava e mandava lazzi e frizzi per ogni dove, metteteci una radio che spargeva canzonette a tutta randa, metteteci il tanfo del fumo denso come nebbia che si attaccava alla pelle insieme al sapore forte del vino toscano e potete immaginarvi l’ambiente in cui si ritrovarono i due giocatori di scacchi.

Sì, avete capito bene. Erano due giocatori di scacchi che si accomodarono in un angolino del bar Italia del mio paese, tirarono fuori la scacchiera con i relativi pezzi e si misero a muovere come se intorno regnasse una pace perpetua. All’inizio cacati in pieno, insomma nemmeno degnati di uno sguardo, troppo impegnati i miei compaesani a svolgere il loro compito giornaliero di baruffe più o meno amichevoli che finivano immancabilmente con pacche sulle spalle e riconcilianti bevute al bar.

Il primo ad accorgersi della loro presenza fu quell’indemoniato di Attilio che non stava mai fermo e si spostava da un tavolo all’altro come morso da una tarantola. O meglio fu attirato da quegli strani “aggeggi” mai visti e dall’atteggiamento composto dei giocatori che non litigavano, non fumavano né si mandavano a quel paese secondo prassi consolidata. Era un caldo boia e se ne stavano incollati nelle loro giacchette come se ci fossero nati, uno con i baffetti da sparviero e l’altro con un atteggiamento professorale che metteva pure soggezione. Dopo Attilio si aggiunse i’ Bavoso  che dietro ad ogni una sua parola seguiva immancabilmente lo sputacchio e poi un altro e un altro ancora incuriositi dal nuovo giuoco. Si formò così un piccolo gruppo che alla fine della partita, dopo la stretta di mano (la stretta di mano?) dette vita a sguardi stupefatti e ad una accesa discussione. Mai vista una cosa simile. Che fossero froci?

La partita a scacchi (Raffaello Sorbi, 1886)

Ogni settimana, dunque, i due tizi, evidentemente stranieri che non spiccicavano parola, arrivavano il sabato sera, si sistemavano nell’angolino più lontano del bar, collocavano i pezzi e si mettevano a giocare in un rispettoso silenzio reciproco. La curiosità aumentò, aumentò il numero degli spettatori che si accalcavano intorno al loro tavolo e, per una sorta di miracolo, piano piano diminuirono le baruffe, si smorzarono le voci, si abbassò il volume della radio e calò nel bar un silenzio quasi irreale. A fine partita ognuno diceva la sua, commentava anche senza conoscere le regole del giuoco, faceva il tifo per l’uno o l’altro. Davvero un miracolo.

La cosa andò avanti per tre mesi. E per tre mesi, al sabato, i frequentatori del bar Italia erano in fremente attesa dei due giocatori. Giocavano le solite partite ma con minore accanimento e con un occhio rivolto alla porta. Al loro arrivo via dal biliardo, via dalle carte, spenta la radio, molti intorno al tavolo a vedere i contendenti con le loro belle giacche stirate a puntino, neppure sudaticci per il bollore che friggeva dappertutto, gli sguardi fissi alla scacchiera, le mosse lente e studiate svolte con fascinosa eleganza.

Poi, all’improvviso, non si presentarono più. Invano l’attesa fino a quando si seppe che se ne erano andati.  Allora il sabato diventò il solito giorno della settimana con il fumo denso e appiccicoso, l’odore aspro del vino, la radio a tutto volume, le bevute, i motteggi, le prese per il culo e i moccoli che volavano nell’aria come le rondini a primavera.


Fabio Lotti è nato a Poggibonsi (Siena) nel 1946. Laureato in Materie Letterarie, è Maestro per corrispondenza e collaboratore di riviste scacchistiche specializzate. Ha pubblicato vari testi teorici, tra i quali “Il Dragone italiano“, “Gambetti per vincere” e “Guida pratica alle aperture“.

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4 thoughts on “I due giocatori di scacchi

  1. Altri tempi! Oggi lo scacchista se ne sta per lo più da solo, in un angolo, col cellulare in mano mentre gioca serie interminabili di blitz. Lo riconosci solo perchè ogni tanto gli scappa una “porcaccia!…” da far rombare il cielo, per poi ricominciare la sua immersione silenziosa e frenetica nelle spire invisibili degli scacchi online.

  2. Grazie, ragazzi! Di Patrizia ricordo l’ultimo libro “Figlia di re. Un matrimonio per l’Italia” una bella ricostruzione storica scritta con gradevole sapienza.

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