Che foto, ragazzi! (2)
8 min read
(Fabio Lotti)
Ed ecco la seconda parte di un viaggio a riscoprire vecchie e nuove immagini. Ricordi, emozioni, sensazioni, riflessioni…
[La prima parte è stata pubblicata il 29 agosto scorso]
Una forza della natura Kortschnoj. Fisico robusto, potente personalità, gioco aggressivo quasi a voler mangiare i pezzi. Molte foto rimaste nella memoria riguardano il confronto con Karpov. Confronto duro, terribile. Grinta, occhiali scuri per evitare lo sguardo assassino dell’avversario, un ricordo angoscioso del mio amato Dragone della Siciliana. Ce l’aveva con tutti. Ecco l’inizio di un mio articolo di qualche tempo fa “Alexandr Kotov e Mikhail Judovich due falsari della storia, Botvinnik un anfitrione, Smyslov occupava posti che non gli spettavano, Igor Bondarevskij un uomo senza scrupoli, Geller genio e malvagità, Furman permaloso e vendicativo, Averbach un ruffiano, Keene ambiguo e “incancrenito dalla sete di profitto”, Karpov un ragazzino maleducato, Polugaevskij un vigliacco, Petrosian il diavolo in persona con sua moglie Rona più diavolessa di lui. Prendere o lasciare. Victor Korchnoj si presenta così nella sua Autobiografia in bianco e nero pubblicata da Caissa Italia. Più nero che bianco”. Prendere o lasciare, dicevo.

Io prendo e le immagini che mi arrivano sono, però, più da vecchio calvo che da giovane. Una vita dedicata agli scacchi, la grinta che si è sciolta nei muscoli rilassati dal tempo, ma gli occhi non promettono ancora nulla di buono. Per chi gli sta davanti, si capisce. Brividoso.
Istintiva simpatia per lo spilungone Marshall (gli spilungoni mi restano quasi tutti simpatici) anche per la sua somiglianza al mitico Sherlock (in certe pose mi ricorda pure Oscar Wilde). E se si mettono insieme scacchi e giallo è fatta.

Sherlock, dicevo, oppure uno di quei cow boy lungagnoni e dinoccolati che viaggiavano dappertutto con il loro infaticabile cavallo. Un Don Chisciotte degli scacchi come lo ha definito qualcuno. Se dovessi sintetizzare ancora una volta con una sola parola la sua pur lunga e luminosa carriera scacchistica userei senz’altro discontinuità. E’ stato uno dei campioni più altalenanti nella storia degli scacchi. Passare dalla polvere all’altare era per lui un fatto direi quasi naturale. Anche perché ha mille altri interessi. Non solo gioca a scacchi ma anche a dama, a bingo, a bridge, con il salta (una scacchiera con 100 caselle e 30 pedine numerate) e non gli dispiacciono neppure le scommesse. E a scacchi il talento da solo non basta. Con la mente non lo rivedo contro i più forti del momento ma di fronte a Richard Teichmann, una specie di “Wotan alla guida di uno stuolo di dei minori” come ebbe a scrivere Edward Lasker ed io me lo ricordo con una benda sull’occhio destro (mi pare) da antico filibustiere. Forse per dimenticare la batosta subita dal grande Capa, una specie di istintiva protezione verso un giocatore effettivamente più debole. Una vita frenetica, una morte improvvisa. Un saluto che mi sorge spontaneo. Simpatia.

Così come sorge spontaneo un saluto al Grande Maestro Andor Lilienthal, scomparso all’età di novantanove anni (miezzeca!). Un gigante in tutti i sensi capace di sconfiggere i più forti campioni del suo tempo: Lasker, Capablanca, Botvinnik, Smyslov, tanto per citare i più famosi. Imperdibile la sua vittoria con sacrificio di Donna contro il dio cubano. A vederlo la prima volta un po’ di effetto me lo ha fatto. Una specie di grattacielo ambulante. Chissà perché ma lo scacchista me lo sono spesso immaginato un po’ più piccolo del normale con una capa tanta. Un altro mio sbaglio nella lunga catena di errori. Enorme.

Dalle foto di Anand, noto più amichevolmente come Vishy, tanto per venire ai nostri giorni, non riesco a ricavare un granché. Se non una specie di alone misterioso che lo avvolge. Forse per la sua provenienza da un paese che ai miei occhi rimane ancora per certi versi indecifrabile. Sempre elegante, camicie e maglioni di razza, qualche sorriso, gesti che sembrano controllati. Mi incuriosisce e mi attira proprio per la mia incapacità a coglierne una emozione precisa. Al di là del rispetto e dell’ammirazione dovuti che non sono pochi. Indecifrabile.

Caruana. Da tutte le foto che mi vedo davanti traspare un riserbo, una timidezza di ragazzo composto, talora pure eccessiva. Difficile trovarlo che ride a bocca spalancata (e infatti non l’ho trovato), il suo sorriso è lieve, spesso impercettibile. Ma dietro questa riservatezza si nasconde una grinta formidabile che viene fuori durante le partite. Qualcuno l’ha paragonato a Fischer, qualcuno a Karpov. Qualcuno si lamenta che non sia più aperto e disponibile ai media. A me basta che rimanga così. Riservato nella vita e magnifico nel gioco. Contenuto.

Petrosjan ( o Petrossjàn, o…?) mi ricorda un po’ la figura del vecchio zio che ogni tanto ci viene a trovare per portarci qualche regalo. Di corporatura robusta, aspetto mite, paziente, pure un po’ sordo tanto per rendercelo più simpatico. Poi te lo ritrovi davanti alla scacchiera che ti stritola lentamente come un boa conscrictor e allora la simpatia va a farsi fottere. E infatti mica restava tanto simpatico agli altri giocatori (specialmente a Korchnoj ricambiato con egual moneta) e fu oggetto di feroci attacchi che lo paragonavano spesso ad una sanguisuga attendista. Una sanguisuga attendista che è riuscito, guarda un po’, a diventare campione del mondo battendo un certo Botvinnik. Tanto per gradire. Ed è lo stesso Botvinnik ad elogiare lo stile dell’avversario e a confessare di non comprendere fino in fondo le sue intenzioni. Così come succederà con Spassky, anch’egli interdetto di fronte alle manovre pantanose di Petrosjan. Semmai destò impressione la sua batosta con Fischer, perché molti ritenevano che potesse bloccare l’indiavolato americano. L’inizio dell’incontro sembra confermare questa valutazione: una vittoria, una sconfitta e tre patte di seguito. Il momento della verità arriva alla sesta partita. Fischer prende il sopravvento e poi dilaga, vincendo le restanti tre partite.

Uomo tranquillo, amante della musica, da alcune foto con la moglie Rona e il figlio Vartan un bel quadretto di serenità famigliare. Rassicurante.

Tartakover mi ha fatto venire in mente l’attore Yul Brinner. Sono andato a controllare e…spiccicato! Estroso inventore di aforismi tra i quali il noto “La minaccia è sempre più forte della sua esecuzione”, vita mondana, frequentatore assiduo di casinò, poliglotta, brillante intelligenza. Dietro alla brillantezza, però, un discreto velo di superficialità, secondo il giudizio di Reti. Il quale Reti, questa volta secondo il giudizio di Tartakover, sarebbe diventato il miglior giocatore di scacchi del mondo ma mai campione del mondo. Come a dire volemose bene. Vitale.

E allora vediamo un po’ questo Reti, corporatura massiccia, pure poeta e artista, niente di che dal punto di vista fotografico. Aria un po’ triste, bonaria, quasi distratta. E distratto lo fu davvero. Soprattutto da altri interessi e dunque alti e bassi lungo la sua carriera scacchistica. Considerato primo al mondo nel 1920, una vita stressante, scrive per le riviste, tiene conferenze e simultanee pure alla cieca, praticamente un globtrotter degli scacchi come tanti della sua epoca. A stargli dietro mi viene il fiatone. Irrefrenabile.

Larsen bello, elegante (anche senza cravatta), occhi chiari, capelli biondi, il classico tipo nordico che sprizza energia da tutti i pori, e poi me lo ritrovo da vecchio con gli occhiali abbassati, una candida camicia bianca, un mezzo sorriso quasi a volerci salutare. Grandi successi negli anni sessanta per il nostro “principe di Danimarca”, tranquillo anche nelle sconfitte, massima imperturbabilità (bisogna vedere dentro), inventore di 1.b3 ma anche giocatore tagliente e spavaldo, soprattutto nel ritenersi campione del mondo nel 1972. Solo che davanti a lui ci fu un certo Fischer e si sa come andò a finire. Un saluto e un grazie di cuore.

A volte la storia personale si insinua di prepotenza nelle foto. Un po’ quello che mi succede con Rubinstein. La sfortuna, il dolore, le difficoltà della vita (soprattutto la sua fine) che intristiscono anche un ritratto forte e vigoroso. Di lui ricordo certi finali che allora destarono profonda meraviglia. Lo ripenso sempre con affetto e la sua storia ci insegna che spesso, purtroppo, più del talento valgono le amicizie ed i rapporti con certe persone che “contano”. Malinconia.

Simpatia irrefrenabile per Gunsberg. Non so nemmeno perché. Forse per il fatto di avere manovrato Mephisto, la macchina terribile di Kempelen (mi pare) che giocava a scacchi (me lo immagino stretto fra i congegni a meditare le mosse). Forse per essere stato sottovalutato, almeno per un certo periodo di tempo. Eppure ha dato filo da torcere a quella bestia di Steinitz e a tanti altri campioni dell’epoca. Fatto sta che appena lo trovo tra le mie scalpitanti letture un sorriso si affaccia spontaneo.

E ammirazione irrefrenabile per Pillsbury. Lascio da parte la sua grandezza di scacchista che tutti conosciamo e lascio pure da parte il fatto che come Gunsberg si era infilato, zitto zitto, nel Mephisto. Mi butto invece sulla sua sbalorditiva abilità nel gioco alla cieca. Impressionante, soprattutto per il sottoscritto che fatica a muover pezzi con gli occhi sbarrati. Me lo immagino, poi, giocare contemporaneamente a scacchi, a dama, a whist (gioco di carte per chi non lo sapesse), mentre recita a mente una litania di parole che non finiscono più con un sigaro dietro l’altro a comporre un quadretto memorabile. Li mortacci! (sempre con ammirazione).

Cigorin a vederlo piazzato davanti alla scacchiera come una montagna, tutto nero con la barba anch’essa nera, mi mette un po’ in apprensione. Una specie di Mangiafuoco che doveva incutere un certo timore all’avversario. Suo amore vero della vita gli scacchi, perde i genitori molto presto, viene messo in un orfanotrofio dove conosce Re e Regine di cui, poi, si occuperà a tempo pieno. Ciò che me lo avvicina particolarmente è la sua passione per il gioco per corrispondenza. Secondo Lasker in questo campo non aveva rivali e si può ben considerare l’artefice della vittoria in un famoso match telegrafico con il circolo di Londra. Il suo stile romantico contro il revisionismo di Steinitz, per cui analisi razionale e calcolo sistematico la vincevano sul gioco combinativo, non riuscì a prevalere ed ho ancora negli occhi il matto memorabile in h2 proprio all’ultima partita del secondo incontro. E un po’ mi dispiace. Si rifece con Tarrasch e questo mi dispiace un po’ meno che il Dogmatico un po’ mi sta sulle scatole (si fa per dire). Ma quello che mi colpisce di più in questo omone che sembra uscito dalle fiabe, semplice, modesto e pure disinteressato, è l’inesauribile amore per gli scacchi e per la loro diffusione. Un coraggio, una caparbietà, una voglia di fare e di agire, a cospetto degli ostacoli che gli si pararono davanti (soprattutto come direttore di riviste scacchistiche) che me lo rendono ancora più grande rispetto al suo gioco che pure grande fu. Illimitato.

Termino con Carlsen senza farla troppo lunga. Dalle foto forza, potenza, caparbietà legate ad un filo di supponenza. Classe. Quattro volte campione del mondo. Micidiale.
Che foto, ragazzi!
(Fine, per ora)
Fabio Lotti è nato a Poggibonsi (Siena) nel 1946. Laureato in Materie Letterarie, è Maestro per corrispondenza e collaboratore di riviste scacchistiche specializzate. Ha pubblicato vari testi teorici, tra i quali “Il Dragone italiano“, “Gambetti per vincere” e “Guida pratica alle aperture“.
Appassionato anche di letteratura poliziesca possiamo trovarlo sul blog qui http://theblogaroundthecorner.it/category/ospiti/letture-al-gabinetto/, qui http://theblogaroundthecorner.it/category/le-lunghine-di-fabio-lotti/, qui https://www.sherlockmagazine.it/rubriche/l_angolo_giallo_di_fabio_lotti e qui https://www.thrillermagazine.it/collaboratori/195/fabio-lotti.
Bell’articolo con praticamente la storia dei “demoni degli scacchi” degli ultimi tempi. Splendide foto
Per gli amici scacchisti-giallisti sono uscite le letture di ottobre http://theblogaroundthecorner.it/