Uno Scacchista

Annotazioni, Spigolature, Punti di vista e altro da un appassionato di cose scacchistiche

I 23 minuti che salvarono il mondo

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(Uberto D.)
Non è da tutti aver salvato il mondo dalla distruzione ed essere praticamente uno sconosciuto. Eppure, quella decisione mi costò ventitré minuti di assoluta agonia e innumerevoli notti insonni. E tutto ciò per aver seguito il mio istinto.

Mi chiamo Stanislav Yevgrafovič Petrov e sono nato a Vladivostok nel 1939, solo pochi giorni dopo la firma del Patto Molotov-Ribbentrop. Non ricordo nulla della Seconda Guerra Mondiale, tranne che mio padre Yevgraf era pilota di caccia. A 17 anni entrai nell’Aeronautica Militare dell’Unione Sovietica, con grande sollievo dei miei genitori, che non avrebbero più dovuto pensare a me.

Laureato in Ingegneria delle Radiocomunicazioni, la mia carriera non era stata particolarmente brillante, ma a 44 anni, in piena Guerra Fredda, arrivai ad essere Tenente Colonnello della Difesa Aerea ed uno dei supervisori del sistema satellitare OKO, il nostro sistema di segnalazione di eventuali attacchi missilistici USA. Era il 1983, esattamente il 26 settembre, e per gli strani incroci del destino risultai essere la persona giusta al posto giusto, nel momento giusto.

Non erano tempi facili e le relazioni con gli USA erano molto tese. Erano passati solo 25 giorni da quando un mio collega, il maggiore Osipovich, aveva abbattuto un Boeing sudcoreano che era entrato nel nostro spazio aereo. Non aveva avvertito i superiori di essersi accorto che era un volo civile ed aveva eseguito l’ordine di abbattimento senza dubbi, perché ciò non era previsto nel profilo del militare “ideale”. Il risultato furono 269 morti. 269 innocenti.

Particolare della copertina di “Time” del 12 settembre 1983

Ma torniamo a me. Quella notte ero in servizio alla base militare Serpukhov-15, in sostituzione di un collega che si era sentito male (ah… il destino). Improvvisamente sullo schermo comparve la scritta rossa “LANCIO”, a segnalare un missile partito dagli USA verso l’URSS. Rimasi pietrificato. Mentre suonavano le sirene cercai di verificare se l’allarme fosse attendibile. Lo era, accidenti, confermato da tutti i report di controllo previsti e seguito da un altro lancio e poi da ben altri 3 lanci, il che stava a significare un attacco con 5 missili intercontinentali, tutti dalla stessa base USA.

La procedura era chiara: chiamare il mio superiore, informarlo dell’attacco e, di fatto, scatenare la rappresaglia nucleare. Insomma, dare il via alla Terza Guerra Mondiale. Non volevo essere io a condannare a morte immediata centinaia di milioni di persone e cercai di seguire quello che il mio istinto di analista mi suggeriva: non era possibile che gli USA attaccassero con solo 5 missili da una sola base e sentivo che quelle segnalazioni dovevano essere il frutto di un errore.

Così, davanti ai miei 120 uomini che aspettavano ordini, dissi al mio superiore che si trattava di un falso allarme e che non era necessaria alcuna azione militare. Poi, sudando in silenzio aspettai, aspettammo, tra l’urlare delle sirene e il lampeggiare delle segnalazioni luminose, il trascorrere del tempo di volo stimato dei missili per avere la conferma che nulla avesse colpito l’Unione Sovietica: in totale 23 interminabili minuti.

Nessuno di voi potrà mai comprendere come io abbia vissuto quegli inesorabili secondi.

Era stato davvero un malfunzionamento tecnico ma, come ovvio, non ricevetti nessun onore per la mia decisione. Il tutto venne messo a tacere perché i nostri sistemi non potevano aver sbagliato e, anzi, ricevetti un rimprovero ufficiale per non aver riportato correttamente le mie azioni sul registro.

La mia carriera venne bloccata e non fui promosso a Colonnello come previsto. Lasciai l’Aeronautica dopo pochi mesi e qualche anno dopo andai in pensione anticipatamente per poter assistere mia moglie Raissa malata. Avevo salvato il mondo, ma non potei fare nulla per lei. Rimasi solo, disperatamente solo, con quei 23 minuti che si ripetevano continuamente nella mia testa.

Ho dovuto aspettare il crollo dell’Unione Sovietica per vedere l’importanza e la criticità della mia decisione finalmente raccontate e dopo tanti anni di tormento sono riuscito ad avere l’approvazione e la gratitudine che mi erano sempre state negate.

Sono morto il 19 maggio del 2017 a Frjazino, cittadina vicino Mosca, ma il mondo lo ha saputo solo quattro mesi dopo. Che ci volete fare… la mia vita è sempre stata vissuta nell’ombra e, in fin dei conti, non ero un eroe: avevo fatto solo il mio dovere. Ma se oggi potete leggere queste righe e godere del sole di fine settembre, è perché 36 anni fa, alle 00:14 del 26 settembre 1983, c’ero io di turno alla base Serpukhov-15 e non il maggiore Osipovich o qualche altro “soldato perfetto”.

Oggi, se volete, celebrate lo “Stanislav Petrov Day” e ricordate che l’uomo è sempre in grado di prendere decisioni migliori di quelle di un computer. Non delegate decisioni vitali ad un algoritmo: potreste non avere una seconda possibilità.



Approfondimenti multimediali

Il documentario “The Red Button” (“Il Pulsante Rosso”) contiene lunghe interviste a Petrov
Cliccate sulla foto per guardare il trailer (in inglese)


Il trailer (in inglese) del pluripremiato docu-film “The Man Who Saved the World” del 2014

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