Il gioco del telefono
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(Riccardo M.)
Qualcuno dei nostri lettori meno giovani ricorda forse il “gioco del telefono”? Leggiamo insieme, sulle pagine della Enciclopedia Treccani, la sua definizione: “E’ un gioco di società, oggi raro, fra più persone che, disposte in fila o in cerchio, si sussurrano rapidamente all’orecchio, a una a una, le parole d’una frase suggerita dal primo della fila; a trasmissione compiuta, l’ultimo del gruppo dice ad alta voce tutta la frase, che arriva per lo più curiosamente alterata”.
[Immagine di apertura di Ivan77]
Lo giocai davvero da bambino, quando ci si divertiva con poco o, come in questo caso, con niente. “Raro”, sì, forse sparito, il “gioco del telefono”. Ma pur sempre il telefono resta un amico indispensabile e un dispensatore di suggerimenti e avvertimenti. Come il seguente:
“L’attività di propaganda degli scacchi in Italia non procede con quello slancio e quei risultati che invece così brillantemente si hanno in altri Paesi d’Europa. Quanti sono i giocatori di scacchi in Italia? Probabilmente più di quanti non si creda. E’ che, per forza di cose, sono isolati e abbandonati. Prendiamo i giocatori di una grande città: tolti i giovani e qualche scapolo maturo amante di passare la sera al caffè o al circolo, la più parte è assillata durante la giornata da varie e più o meno snervanti occupazioni. Meglio allora alla sera starsene tranquillamente in famiglia. Però costoro, se avessero a portata di mano un avversario, sarebbero ben felici di svagarsi, invece di rileggere le scarse novità del giornale o di sentire qualche programma non sempre attraente della radio.
Lancio allora un’idea.
Tutti ormai abbiamo in città il servizio telefonico automatico. Non si potrebbero attuare associazioni di dilettanti scacchisti per giocare partite col telefono? Uno di loro potrebbe fare le funzioni di segretario e ricevere ogni giorno le prenotazioni dei soci che intendessero giocare alla sera, ed accoppiare così gli avversari. Oppure i giocatori potrebbero raggrupparsi direttamente loro a seconda della forza di gioco, dell’amicizia, e stabilire fra loro le modalità del gioco.
E chissà che, per questa via, non si risveglino migliaia di scacchisti finora ignoti e che possano mettere anche gli scacchi italiani finalmente al livello più decoroso, ovvero almeno alla pari con le altre nazioni?”.
Sapete di cosa si tratta? Questo era lo stralcio di una lettera, datata 2 novembre 1932, che un certo E.Ferraris, un lettore, scriveva al direttore della “Italia Scacchistica”, il marchese Stefano Rosselli del Turco.

Simpatica, vero? E’ per me, oggi, soltanto uno spunto di riflessione, null’altro. Prima del 1932 due persone qualunque che vivevano nei posti più remoti della Terra difficilmente potevano conoscersi, dialogare, giocare a scacchi.
L’umanità ha dietro di sé una storia secolare, forse tre milioni e mezzo di anni, ma è solo negli ultimi 80 anni circa che ha potuto godere dei telefoni fissi prima, della TV e dei cellulari poi: la grande esplosione della comunicazione! Il progresso e la tecnologia, in questi 80 anni, hanno cambiato la vita e le abitudini dell’uomo e hanno forse modificato quelli che ci parevano i suoi bisogni fondamentali. Alcune attività sono scomparse, altre sono sorte, altre (come gli scacchi) hanno avuto nuovi incredibili strumenti a disposizione.
Era il 1922 quando iniziavano le prime trasmissioni radio, era il 1940 quando iniziò a trasmettere la TV. Era il 1954 quando apparve la prima radio tascabile a transistor. E da lì, dall’ultimo dopoguerra, passi giganteschi. Senza internet, oggi noi non avremmo mai comunicato su queste pagine con voi.
Ma affinché l’intera umanità, nessuno escluso, possa pienamente godere o continuare a godere delle enormi innovazioni acquisite in questo piccolo spicchio di tempo (80 anni su 3 milioni e mezzo di anni!), occorrono due fattori: il primo è che l’umanità stessa abbia la percezione e la comprensione della loro straordinaria, rivoluzionaria importanza, il secondo (che dovrebbe essere una conseguenza del primo) è che la pace e la solidarietà, e quindi il progresso e la civiltà, abbiano una volta per tutte il definitivo sopravvento sull’odio, sugli egoismi, sulle divisioni razziali e sulle guerre. Possiamo sperare? Non lo so.
Nell’attesa, facciamoci un’altra partitina via WhatsApp! Non ci crederete, ma io e il mio caro amico Bruno abbiamo raccolto a Natale del 1999 quel lontano suggerimento del signor Ferraris e siamo arrivati ormai, mossa dopo mossa, alla partita numero 709. Non so chi sia in vantaggio, ma questo non è importante perché non c’è un regolamento né un traguardo né premi, né ci sarà mai un vincitore.
Evviva il telefono!
Sono l’amico di Riccardo, Bruno, e fra quelle 709 partite c’è di tutto: ogni tipo di apertura, ogni tipo di finale, ogni tipo di sacrificio (non c’è però traccia di alcun sacrificio di Donna, evidentemente sia io che lui siamo molto rispettosi del genere femminile e deprechiamo ogni tipo di violenza sulle Donne). Ci sono partite immortali e cappelle invereconde. Tutto rigorosamente stampato (chi volesse averne una copia si può mettere in lista). Abbiamo cominciato comunicando per telefono (direttamente o tramite segreteria), continuato per mail, proseguito per SMS e ora per Whatsapp. Siamo arrivati in 20 anni a 709 partite e contiamo entro il 2040 (quando il pianeta Terra sarà ridotto forse in macerie) a farne 1500. Gli scacchi sopravviveranno a tutte le catastrofi. Magari ci fosse un regista disposto a girare un film con il titolo “Lo scacchista”, sulla falsariga della famosa opera di Roman Polanski, “Il pianista”, in cui il protagonista, un pianista ebreo, salva la pelle e l’anima, nonostante la distruzione di Berlino del 1945, alla vigilia della resa del Terzo Reich, grazie ad un vecchio pianoforte rimasto quasi intatto, trovato in una casa distrutta dalle bombe. Egli ricomincia a suonare e le sue note vengono udite da un ufficiale delle SS, che si ferma ad ascoltarlo e, ammirato, salva quel relitto umano portandogli da mangiare. La stessa cosa avverrà per gli scacchi, se sapremo farli sopravvivere in mezzo alla desolazione e alla disperazione di un mondo che stiamo distruggendo con le nostre follie.