La spagnola, ovvero: a volte ritornano!
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(Riccardo M.)
No, per una volta concedeteci di non riferirci al 1561, al vescovo Ruy Lopez de Segura, al suo trattato “Libro de la invencion liberal y arte de juego de Axedrez” e alle centinaia di varianti e sotto-varianti di un sistema di apertura, “la partita spagnola”, che è tra i più utilizzati nella moderna storia degli scacchi. Parliamo invece oggi un poco di qualcos’altro, di un male che porta lo stesso nome di quella partita e di un nuovo male terribilmente attuale e minaccioso, il COVID-19. Consentitemelo. (1)
Sapete che non fu la Grande Guerra, con i suoi 17 milioni di morti, la più grande catastrofe del XX secolo? Lo fu invece, tra la primavera del 1918 e i primi mesi del 1920, l’influenza detta “spagnola”, che fece ammalare circa mezzo miliardo di persone, un terzo circa della popolazione mondiale, raggiungendo quasi ogni angolo del globo (eccetto, pare, l’isola di Marajò, alla foce del Rio delle Amazzoni), e che provocò fra i 50 e, secondo alcune stime, i 100 milioni di morti. E questo accadde in tempi in cui i contatti fra le genti di tutto il mondo erano mille volte inferiori a quelli di oggi! In Italia le vittime furono circa mezzo milione, su quasi 5 milioni di contagiati, eppure all’inizio circolava un documento, diffuso dalle prefetture, che tranquillizzava la popolazione dicendo che si era in presenza di nulla di diverso dalla consueta influenza. Anche qualche settimana fa qualcuno in Europa e in Italia tranquillizzava e minimizzava attraverso non dissimili espressioni.
Purtroppo …. a volte ritornano!
Eh, sì, “a volte ritornano”, abbiamo scritto nel titolo, e questo vale anche per certe cattive abitudini, volte a sottovalutare il pericolo, a nascondere i mali, forse sperando che nasconderli sia equivalente ad eliminarli.
C’erano già state nella storia altre terribili pandemie, ad esempio due pestilenze, quella che fra il 1347 e il 1353 (quando in alcuni paesi -si disse- non restò nessuno nemmeno a suonare le campane) uccise circa un terzo della popolazione europea e metà di quella italiana, e poi quella descritta dal Manzoni nella Milano del 1630. E qui il nostro scrittore evidenziava un’altra cattiva abitudine, inutile abitudine, quella della “caccia all’untore”, al propagatore della peste.
Stranamente la spagnola del 1918-1919 (2) colpì, a differenza di quanto sta facendo oggi il “COVID-19”, più i giovani degli anziani, e qualcuno in quel caso teorizzò che probabilmente molti anziani erano stati immunizzati da una precedente nota influenza, la cosiddetta “russa” del 1889.

Non si accertò mai da dove il morbo del 1918 fosse partito (forse in Kansas, forse in Francia?), mentre il nome di “spagnola”, che quasi universalmente si diffuse, pare gli sia stato attribuito in quanto uno fra i personaggi più famosi ad ammalarsi (ma ne sopravvisse) fu il re di Spagna Alfonso XIII e perché la Spagna, dove pure il virus era arrivato qualche mese dopo altri Paesi (che, a differenza della Spagna, erano pure in guerra), fu la prima a scriverne diffusamente e anche quella più duramente colpita rispetto ad altri. Si narra che Alvaro y Ballano, vescovo di Zamora, cittadina della Castiglia, contraddicendo una disposizione del governo che vietava di frequentare luoghi affollati, avesse invitato l’intera cittadinanza a prender la comunione nella chiesa di San Esteban, in quanto la malattia era dovuta “ai peccati della gente e al conseguente braccio divino vendicatore”. Accorsero migliaia di persone a comunicarsi, e Zamora divenne in breve tempo un cimitero, mentre il contagio esplodeva ovunque nella penisola iberica.
L’influenza “spagnola” fu un evento memorabile che sconvolse il mondo e lasciò una traccia indelebile. Tuttavia ebbe una scarsissima bibliografia, nemmeno lontanamente paragonabile a quella sulle due guerre mondiali. Tra le opere più recenti pubblicate in Italia sono da segnalare “L’influenza che sconvolse il mondo” di Richard Collier (Mursia, 2006) e “1918, l’influenza spagnola” di Laura Spinney (Marsilio 2018).
Facciamo attenzione, perché la spagnola si attenuò nell’estate del 1918 e riesplose, ben più grave e in tutta la sua virulenza, fra ottobre e dicembre di quell’anno, il periodo dove si contò il maggior numero di decessi nel mondo. Di conseguenza non abbassiamo troppo la guardia nemmeno quando, speriamo presto, ci diranno che le misure più restrittive potranno rientrare e che (ci auguriamo) il COVID-19 non sarà una nuova “spagnola”.

Sappiamo che, purtroppo, ancora non esiste un vaccino in grado di difenderci da ogni tipo di influenza. Non solo, sappiamo pure che esiste una parte della popolazione che non crede all’utilità dei vaccini e, anzi, testardamente li aborrisce. C’è anche una parte non irrilevante, e profondamente pessimista, della popolazione mondiale che, purtroppo, si comporta come il vescovo di Zamora Alvaro y Ballano: secondo costoro l’essere umano è inevitabilmente soggetto alle giuste vendette, divine o da parte della natura ferita, e deve redimersi.
Vendette? Eppure la vita umana su questa terra è oggi di gran lunga migliore di quella che era 200 anni fa: leggendo uno studio del giovane economista inglese Max Roser (Università di Oxford), veniamo a sapere che 200 anni fa era in povertà il 94% della popolazione mondiale, mentre oggi questo numero si è ridotto a meno del 10%, che 200 anni fa sapeva leggere solo il 12% della popolazione mondiale, oggi siamo a circa l’85%; che 200 anni fa appena l’1% della popolazione mondiale viveva in un sistema democratico, oggi circa il 56%. I numeri potrebbero essere non precisissimi, ma la tendenza è ben chiara.
E l’aspettativa di vita? Nell’antica Roma era di soli 25 anni (!), a metà dell’800 in Europa e in Italia non superava i 35 anni, nel 1950 era intorno ai 67, oggi abbiamo superato gli 80 anni. Antibiotici e vaccini, che hanno permesso di sconfiggere malattie quali vaiolo, malaria, poliomielite, hanno consentito di raggiungere questi eccellenti, meravigliosi, risultati.
Ringraziamo, insomma, la scienza e il miglioramento generale delle condizioni igieniche nel mondo. Ma la scienza è sempre chiamata a nuovi traguardi, ad esempio nell’ambito dei tumori, la cui incidenza nelle cause di mortalità è enormemente cresciuta negli ultimi decenni. E la scienza si appella alla politica, che a sua volta è chiamata a convogliare rilevanti somme di denaro nel settore della ricerca e della sanità. E la scienza e la politica si appellano, insieme, alla ragionevolezza umana, che non solo a volte antepone futilità a certi importanti investimenti sociali ma che spesso, come nel caso delle assurde teorie dei cosiddetti “no-vax”, si mette incivilmente di traverso sulla strada del progresso.
I progressi dell’ultimo secolo debbono invece essere mantenuti e possibilmente incrementati, e ciò non è facile in quanto viviamo in un mondo sempre più complesso: Internet aiuta indubbiamente la diffusione della conoscenza, ma contemporaneamente aiuta anche la diffusione delle cosiddette “pandemie informative”, ridicole deformazioni della realtà che facilmente attecchiscono fra le masse, deformazioni quale quella che vedrebbe nel “coronavirus” un’arma batteriologica o una creazione di una cricca di miliardari. Non a caso è intervenuta in questi giorni l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), che per combattere questo tipo di disinformazione ha chiesto l’aiuto delle maggiori “piattaforme web”. Ricordo, a proposito, che già da alcuni anni il WEF (World Economic Forum) considera la disinformazione on-line il più grave rischio tecnologico e geopolitico mondiale, sullo stesso piano, ad esempio, del terrorismo o degli attacchi informatici.
Perché attecchisce così rapidamente la “pandemia informativa”? Anzitutto perché certi messaggi arrivano in modo sintetico e semplice, quindi più facili ad essere recepiti e assorbiti da chi ha limitate conoscenze o limitata attenzione, in secondo luogo (il cosiddetto fenomeno del “bias di conferma”) per la inevitabile tendenza umana a ricercare e privilegiare informazioni e teorie che più si accordino con i nostri consolidati schemi di pensiero, le nostre più profonde ideologie o subliminali pregiudizi.
E’ proprio questa pandemia informativa a farmi paura, talvolta più paura degli stessi virus. Un brivido mi ha colto anche quando alcuni giorni fa ho letto che la diocesi di Roma aveva acconsentito alla riapertura delle chiese della capitale a seguito delle parole di Papa Bergoglio, il quale avrebbe affermato che “le misure drastiche non sempre sono buone”. Una decisione sconcertante dopo parole sconcertanti, forse fraintese. Lungi da me (sono tra i primi peccatori di questa terra … per punteggio Elo!) porre sullo stesso piano Papa Bergoglio e il vescovo spagnolo Alvaro y Ballano, ma ritengo che non è mai questa la giusta via in momenti così delicati per la salute dei cittadini e per la protezione della stabilità e coesione sociale. La cultura è apparentemente ferma, in questi difficili giorni, perché sono giustamente (forse anche un po’ tardivamente?) chiusi teatri, scuole, cinema e circoli; ma la cultura non si ferma, dal momento che anche restando a casa abbiamo la possibilità di parlare, leggere e conoscere; così come allo stesso modo, per tutti i credenti, di qualsivoglia religione, non dovrebbe fermarsi la preghiera anche se non ci si reca in chiesa.

Questo è allora il momento giusto per riflettere, è il momento giusto per tornare, tutti, a guardare le cose nella loro giusta dimensione, a ritrovare l’essenziale in quella scala di valori che troppo spesso in tanti, a partire da me, mostriamo di dimenticare nelle nostre quotidiane azioni.
E’ anche il momento, per noi italiani ed europei, di riconsiderare quegli aspetti artatamente ingigantiti della vita sociale e politica che più hanno tenuto banco sui mass media e nei bar negli ultimi anni/mesi, dalla immigrazione … alla prescrizione … alla lotta (sic!) per lo scudetto, e simili.
Questo è pertanto anche il momento di capire, se ancora non l’abbiamo fatto, che aveva ragione il maestro Confucio quando diceva, 2.500 anni fa, che “abbiamo tutti due vite: la seconda inizia quando ci accorgiamo di averne una sola”.
E noi scacchisti in particolare? Beh, anche noi dobbiamo adeguarci e rispettare le norme, così come rispettiamo le regole degli scacchi. E questa è l’occasione migliore, anche per noi, di scoprire nuovi sistemi di comunicazione: ci si potrebbe, ad esempio, dare appuntamento e vedersi ogni sera sullo schermo del nostro PC per commentare le partite del Torneo dei Candidati in corso (nonostante tutto) ad Ekaterinburg. Come? Attraverso uno dei tanti sistemi di teleconferenza. E’, credetemi, piacevole e funzionale, e pare quasi di essere tutti al circolo attorno ad un tavolo. Come dite? Non siete sufficientemente tecnologici? E allora potete accontentarvi delle migliaia di pagine di UnoScacchista, seguirci qui ogni giorno e andare magari a rileggere e rivedere qualche articolo o qualche partita pubblicata mesi fa o anni fa e che non avete avuto ancora il tempo di seguire più attentamente.
OK? Ne saremmo doppiamente felici, anzitutto perché ci piace sapervi per sempre lettori affezionati del nostro Blog e poi perché ci piace altresì sapervi, in questo difficile periodo, il più possibile in salvo nelle vostre case.
E infine (ma prima e più intenso di ogni altra cosa!) un nostro pensiero particolarmente caro deve andare oggi, oltre che ai malati, a tutti quegli operatori sanitari i quali, ovunque nel mondo, si trovano indefessamente in prima linea a combattere il malefico virus.
Vi lascio con una speranza, quella che prima o poi la scienza saprà trovare un vaccino universale in grado di prevenire ogni tipo di influenza.
Ci si riuscirà, vedrete.
(1) ogni considerazione sopra riportata rispecchia soltanto il pensiero personale dell’autore dell’articolo e non necessariamente quello della Redazione di UnoScacchista.
(2) nell’immagine di apertura: una (bellissima!) fotografia scattata nelle vie di Londra nel 1919.
Condivido appieno il tuo scritto. E sono più che convinto che usciremo da questa emergenza provati ma più saggi e, forse addirittura, compattati al meglio per affrontare con successo le nuove sfide che in futuro certo non mancheranno
Penso anch’io che sarà così. Grazie Gino!
bravo Riccardo! un articolo completo e “sensibile”, con il quale concordo in tutto. Sì, ne usciremo bene, se dimostreremo di essere adulti e sufficientemente responsabili.