Uno Scacchista

Annotazioni, Spigolature, Punti di vista e altro da un appassionato di cose scacchistiche

Gli scacchi hanno bisogno di un mondiale ben diverso dagli ultimi tre

17 min read

(Riccardo M.)
Tessa è una bellissima gatta. Bianca e nera, come i nostri pezzi. Però ci dovremmo mettere d’accordo sul concetto di “bello”, che, come noto, è piuttosto relativo. Quello a Dubai appena concluso potrebbe anche essere considerato un bel mondiale …

… Bello perché è stato nelle prime 5 partite il mondiale con la minore incidenza di ”tratti deboli”, dal momento che i due contendenti hanno quasi sempre saputo scegliere le mosse migliori, prossime (si dice) “al 99,8 di livello motore”, mai mosse compromettenti o “a doppio taglio” come quelle che piacevano, ad esempio, a Mikhail Tal.

… Bello perché poi uno dei due contendenti ha vinto, anzi stravinto, il braccio di ferro con l’altro e ha segnato un punteggio inequivocabile, quasi come ai tempi eroici dell’ascesa di Robert Fischer. Intendiamoci: Carlsen probabilmente è assai più forte del citato Tal, forse pure di Fischer e forse è il più forte giocatore di tutti i tempi. Carlsen ha ampiamente meritato di stravincere il mondiale e Nepomniachtchi (il quale -non dimentichiamo il particolare- svolse nel 2018 alcune sessioni di allenamento con il norvegese) non è mai parso, per contro, troppo convinto delle proprie chances.

Ora guardiamo gli ultimi tre mondiali, le partite su tempi regolari escludendo gli spareggi: Carlsen – Karjakin una vittoria a testa e 10 patte (2016); Carlsen – Caruana 12 patte (2018); Carlsen – Nepomniachtchi 4 vittorie a zero e 7 patte (2021).

Con mondiali come gli ultimi tre non ci siamo, qualcosa non va. Così non si fa tutto il bene degli scacchi perché non si fa loro la migliore propaganda. Negli ultimi tre mondiali si sono prima avute ben 27 patte, interrotte appena da una vittoria per parte (Carlsen e Karjakin 2016) e poi si è visto il crollo di Nepomniachtchi nella seconda parte dell’ultimo match. “Non capisco cosa gli sia successo”, ha detto lo stesso Carlsen, apparso incredulo e perfino un pizzico dispiaciuto dell’enorme regalo avuto in partita-9.

Ritengo che sia molto probabile, in un match, che un equilibrio ad alto livello, con elevata tensione, si possa concludere con degli spareggi (2016 e 2018) oppure, spezzandosi l’equilibrio, con il cedimento netto (simile alla “rottura” di un cavallo lanciato al trotto) di uno dei due contendenti. C’è in effetti un terribile stress psicofisico, in quella lotta fra due menti, che può determinare un crollo nervoso da un momento all’altro, scatenato magari da un minimo particolare.

In un’intervista dopo l’ottavo turno dell’ultimo mondiale, il GM siberiano Vladislav Artemiev aveva del resto accennato ad una debolezza di Nepo, il quale pure (ricordiamolo) era giunto a questa sfida con Carlsen in vantaggio negli scontri diretti. Ma erano scontri avutisi in torneo e, come evidenziato da Artemiev, il gioco e i risultati di Nepo dipendono molto dal suo umore. Se le cose iniziano ad andargli bene, Nepo è difficilmente arrestabile, altrimenti accade il contrario. Lasciamo stare il commento tecnico, perché ne ha già magistralmente scritto Uberto nei giorni scorsi, e passiamo al tema centrale del mio post: tutte quelle patte di fila con alterni minimi vantaggi, come anche certi improvvisi cedimenti, non giovano alla causa degli scacchi. Dove sta allora lo sbaglio?

Anzitutto ritengo che fra le aspettative di un mondiale non ci possa essere soltanto quella che sia incoronato Campione del Mondo il miglior giocatore del mondo e neppure quella di avere una lunga serie di partite vicinissime alla perfezione, e tantomeno quella di assistere a dei clamorosi KO. E’ comunque vero che in ogni sport i miglioramenti straordinari della tecnica, della preparazione fisica e teorica, dei materiali, eccetera … hanno alzato a livelli un tempo impensabili la qualità delle competizioni, fino a raggiungere in vetta un equilibrio esasperatissimo. Ma ciò è sempre un bene?

Tanto per fare un paragone con altro sport, il tennis, il giorno non lontano in cui sarà qui raggiunta la perfezione, sapete come finiranno le partite? Vedremo sempre meno  scambi, perché avremo una sequenza di “aces” (o “prime palle”), palline scagliate a 299 km orari nell’angolo del settore del servizio, palline con effetto imprevedibile e imprendibili per nessun essere umano. E sarà la perfezione, siglata forse da un estenuante 6-7, 7-6, 6-7, 7-6, 7-6.  Vincerà chi farà meno “doppi falli” o chi avrà più concentrazione. Bravissimi? E questo si può chiamare spettacolo? No, assolutamente no a parer mio. Questa è noia, soltanto noia. Anche il tennis ha pertanto necessità di nuove regole, ad iniziare da una revisione del sistema di calcolo del punteggio. Per fortuna qualcuno già sta provvedendo e (mi sembra) con giusti criteri, ed è iniziata una fase sperimentale.

Altro riferimento ad altro sport: il tiro con l’arco. Secondo voi che gusto ci sarebbe a vedere una competizione nella quale tutti i concorrenti sono perfetti, infallibili, e centrano sempre il cerchietto centrale giallo del bersaglio per decine di volte di seguito? Penso che dopo un’iniziale ammirazione, il gioco verrebbe terribilmente a noia. O no? E verrebbe a noia semplicemente perché, riprendendo il titolo di un post dello scorso 3 dicembre su El Pais del leggendario giornalista spagnolo, esperto di scacchi, Leontxo Garcia, “La perfección es aburrida”: la perfezione è noiosa.

Con ciò non si vuol lodare l’imperfezione, capiamoci. L’ottimo Garcia inizia il suo articolo (scritto dopo le prime 5 partite patte dell’ultimo match) con questa affermazione: “Non più dello 0,01% degli appassionati di scacchi sono tecnicamente abbastanza abili da comprendere il gioco sottile e quasi perfetto di Magnus Carlsen e Nepo”. Lo 0,01% sarebbero circa 20.000 su 200 milioni, secondo le stime di Garcia basate su un sondaggio della società “YouGov”. E prosegue rimarcando “la paura del rischio e l’avvicinamento alla perfezione”. Se c’è perfezione -continua- probabilmente la partita finirà in parità e “se non c’è quasi mai un vincitore, l’emozione è una specie in pericolo”.

Leontxo Garcia in un’immagine da ChessBase

E l’emozione è in pericolo, vorrei aggiungere, anche quando la perfezione è spezzata bruscamente da una serie di sviste macroscopiche, da crolli nervosi e non da situazioni normali legate a combattività e a migliori capacità tecniche. Il mondiale appena concluso non ha visto il prevalere di un piano di gioco chiaramente superiore rispetto ad un altro, non ha mai visto in nessuna partita la capacità di realizzare un vantaggio derivato da una migliore strategia, ha visto toccare all’inizio la perfezione tecnica in situazioni quasi costantemente di alta ma non massima difficoltà, fin quando si sono avute determinanti e inattese sviste, sempre del russo, in posizioni giudicate equilibrate.

Leontxo Garcia riporta un’affermazione dell’anziano grande maestro argentino Miguel Quinteros: “Stiamo già uccidendo gli scacchi se non reagiamo subito”, ed un’opinione del grande maestro israeliano Arthur Kogan, il quale sostiene che partite come alcune di quelle viste a Dubai “annoiano anche giocatori di alto livello”, ovverosia perfino quello 0,01% indicato da Garcia. Infine Garcia ricorda come anche il vicepresidente della FIDE, Bachar Kouatly, auspichi radicali modifiche.

Ma quale sarebbe la direzione precisa di queste modifiche? Qui le opinioni dei nomi citati divergono, come divergono quelle di tanti altri scacchisti in giro per il mondo, da grandi maestri a tenutari di Blog a semplici appassionati e scribacchini come me. I più (tra i quali Kouatly) puntano su di una revisione delle cadenze di gioco, altri (anche in Italia) auspicano diverse e radicali soluzioni, fino alle più curiose e palesemente inutili e inapplicabili.

Bene, è intanto importante che se ne parli e che si porti legna al fuoco della opportuna innovazione. Leontxo Garcia non dà la sua opinione al riguardo, ma la conclusione del suo articolo dice molto; io la condivido in pieno e mi piace riportarla (in sintesi) qua:

“… i puristi su Internet sostengono che la scienza deve prevalere sullo sport e sull’arte… Un buon modo per preservare la purezza scientifica degli scacchi sarebbe allora quello di giocare la Coppa del Mondo in un monastero di clausura, senza pubblico o sponsor. E senza premi, a meno che un mecenate non sia disposto a finanziare che due esseri umani continuino a cercare la perfezione, nonostante i computer attuali siano già viciniQuesto approccio è difficile da applicare in uno sport il cui principio fondamentale è la logica”.

Io ritengo che qualunque sport, qualunque gioco, deve anzitutto divertire e appassionare affinché sia in grado di produrre nuovi proseliti e non allontanare i vecchi ammiratori. Per divertire e appassionare devono ridursi al minimo i momenti scontati, le perduranti situazioni di parità, gli equilibri eterni, la staticità, l’attendismo, persino la perfezione, ma pure devono ridursi al minimo le clamorose sviste e i crolli improvvisi; piuttosto debbono predominare gli attacchi, il coraggio, le iniziative, i capovolgimenti di fronte, l’incertezza, la voglia di combattere e primeggiare attraverso piani di gioco superiori e profondi. Deve poi sparire la paura di perdere: di perdere una partita, un torneo, dei posti o punti nelle classifiche. Deve anche sparire l’idea che nel perdere ci sia qualcosa di male, qualcosa di sbagliato, qualcosa da asportare, qualcosa da vituperare. Anche perdere è bello! Quest’ultimo concetto avevo provato già a sviluppare in un recente post, “Elogio della sconfitta”.

Sapere che perdere è qualcosa di normale, può aiutare a ridurre l’impatto psicologico di una sconfitta. E poi dovrebbero sparire o ridimensionarsi anche certi esagerati montepremi (a Nepomniachtchi perdente ben 800.000 euro) che fan sì che si giunga alla sfida finale già in un certo senso inconsapevolmente appagati da altri materiali traguardi.

Uno sport che sia privato di una competizione spettacolare e popolare per il suo Campionato del Mondo è uno sport che non arriverà mai pienamente nella profondità dei cuori dei più, è uno sport che, anche se largamente (ma superficialmente) conosciuto, sarà sempre in buona parte riservato a più o meno ristrette élites. Non si tratta, si badi bene, di fermare il progresso tecnico e le conoscenze umane, qui si tratta semplicemente di mettere il progresso al miglior servizio dell’ “homo ludens”, attenuandone gli aspetti negativi.

E non dimentichiamo inoltre (particolare fondamentale!) che oggi non esistono più giocatori abituati ai matches e che i matches portano di solito ad una tensione particolare (lo stesso Carlsen ha posto l’accento su questa tensione), una tensione che non tutti i grandi maestri sanno gestire e dominare nello stesso modo e con la stessa efficacia.

E poi sapete dirmi per quale motivo si gioca il mondiale con la formula del match, dal momento che l’intera fase che designa lo sfidante non prevede alcun match? Sarebbe un po’ come se nello sci si disputassero qualificazioni attraverso prove di slalom e poi la finale mondiale con una prova di discesa libera, oppure nel ciclismo qualificazioni attraverso prove in linea ed una finale a due a cronometro: non avrebbe alcun senso, no? L’approccio di un giocatore ad un torneo è abbastanza diverso da quello che può avere verso un match individuale.

Molti scacchisti e tifosi di scacchi hanno inevitabilmente una concezione del Campionato del Mondo che è influenzata dalla storia medesima dei mondiali, ovverosia dalla presenza quasi ininterrotta di matches individuali, tutti senza dubbio di pregevole livello tecnico al di là dell’incidenza crescente delle patte. Ma cosa ne facciamo oggi dell’altissimo livello tecnico se manca lo spettacolo, se mancano le emozioni, se manca la suspence, se certi più o meno nascosti colpi di fioretto vengono completamente compresi quasi soltanto da un pubblico di livello magistrale, se da un momento all’altro subentra un crollo?

Mi si dirà: allora, Riccardo, cosa proponi tu per un mondiale di scacchi? Vediamo di provare a dare una risposta.

Io proporrei anzitutto di guardarsi intorno e di prendere esempio da qualche disciplina sportiva che è riuscita a trovare (forse casualmente) la soluzione ideale per il proprio mondiale. Una di queste è il ciclismo su strada: il mondiale di ciclismo (lo conoscete? lo avete mai seguito?) si svolge in un’unica corsa, in un’unica difficile, lunga, avvincente, faticosa giornata nella quale non manca mai la lotta e nella quale qualunque risultato è possibile. Il Campionato del mondo di ciclismo rappresenta una giornata indimenticabile per gli appassionati di questo sport: da sempre è una gara avvincente, spettacolare, combattuta senza risparmio, che si corre fra due ali di folla entusiasta e al termine della quale prevale colui che (fra un paio di centinaia di partecipanti) per una giornata è stato il corridore più bravo, più furbo, più completo, più fortunato, più intelligente, più coraggioso: l’eroe di questo singolo, particolarissimo, giorno; chiunque sia costui.

Questo è il primo punto: noi dobbiamo staccarci dalla convinzione che il Campione del Mondo di scacchi (o di altri sport) debba essere per forza il giocatore più forte del mondo e che pertanto debba emergere da uno scontro titanico fra il difensore del titolo, cioè il Campione del mondo in carica, ed uno sfidante che sia uscito da una articolata e talvolta poco chiara fase eliminatoria.

Dovremmo compiere uno sforzo ed essere finalmente capaci di operare un “reset” sulle nostre radici scacchistiche, iniziare a ragionare liberandoci dal conformismo: Arthur Schopenhauer scriveva che noi perdiamo tre quarti di noi stessi “per essere come le altre persone”.

Perdonatemi se ripeto: il Campionato del mondo di scacchi non ha l’obbligo di determinare il giocatore più bravo e più forte, dal momento che questi è già ben individuato da tutta una serie di risultati che si hanno nel corso dell’anno e che poi vengono numericamente tradotti in un punteggio Elo che non è mai bugiardo, un punteggio che rispecchia con molta esattezza i valori di tutti.

Sui tetti di Parigi (Paul Second)

Sul tetto del mondo ci saranno comunque sempre i più forti, qualunque sia l’esito di un “mondiale”, non preoccupatevi …

Naturalmente negli scacchi non si può disputare il titolo mondiale in un sol giorno, come accade nel ciclismo (a meno di disputarlo Rapid o Blitz), ma si può ben prendere esempio da quell’idea che sa privilegiare l’obiettivo di avvicinare i protagonisti al cuore degli spettatori e appassionati, facendo vivere loro dei momenti intensi ed indimenticabili, ovvero: tutti insieme, e in tanti, a correre per il massimo titolo!

L’obiettivo di un mondiale dev’essere infatti quello di realizzare un’occasione unica di coinvolgimento degli sportivi di ogni parte del mondo, di catturare nuovi spettatori e di far così proseliti in ogni continente. Un mondiale non deve limitarsi ad accontentare esigenti palati scacchistici, ammirati nel vedere giocata la mossa suggerita dai programmi anche se questa non schioda la posizione dalla parità e il risultato dalla patta. Un mondiale deve saper sollevare altri sentimenti, più ampie passioni e interessi.

Questo non succede abbastanza negli scacchi da qualche tempo, e così sta accadendo che i mass media trascurino alquanto il nostro sport. E ce lo siamo meritati perché non siamo stati capaci di escogitare una formula in grado, nonostante (?) il sostegno di internet, di trascinare la gran parte degli animi di coloro che conoscono gli scacchi e giocano, e non soltanto quello 0,01% di palati raffinati propri di grandi maestri e maestri. E coloro che sanno giocare a scacchi nel mondo dovrebbero essere, secondo quanto calcola Leontxo Garcia, non meno di 200 milioni.

Sintomatico del calo dell’interesse verso quest’ultimo mondiale di scacchi, almeno nel nostro Paese, è stato anche il minore spazio concessogli dai quotidiani nazionali. Ricordiamoci infatti che sui siti specializzati non giungono di solito coloro che non sono già appassionati.

La domanda basilare che dobbiamo porci è quella che pone Leontxo Garcia, ovvero: “Cosa sono gli scacchi? Uno sport? E sono scienza o sono divertimento?”. Per chi vede negli scacchi uno sport, dovrebbero essere anzitutto divertimento. E allora un Campionato del Mondo deve avere uno scopo prioritario: coinvolgere il mondo sportivo, attirare quanti più spettatori/lettori/visitatori sia possibile in tutto il mondo. Solo così si può aspirare alla crescita di uno sport. La si vuole o no questa crescita degli scacchi? La si cerca o si fa finta di cercarla e ci si accontenta di quel che si ha? Temo che, in giro per il mondo, alcuni “addetti ai lavori” negli scacchi siano come certi politici il cui scopo non è l’ottenimento della crescita di un Paese ma esclusivamente la difesa del loro seggio in Parlamento, il prevalere del proprio partito e le interminabili discussioni oziose nell’attesa di cose che non accadranno mai.

Coraggio allora, e fuori con delle proposte serie! Ce ne possono essere a decine, basta liberarsi dai pregiudizi e dalle ombre ingombranti del passato.

Proviamo a pensare a qualcosa di diverso, ma facciamolo subito, da oggi. E proviamo a realizzarla! E senza necessità d’inventarci assurde stupidaggini “capablanchiane” che stravolgerebbero le fondamenta e la Storia millenaria del nostro bellissimo gioco.

Io ci provo, ma non è detto che non esistano soluzioni migliori di questa mia proposta. E’ per tale motivo che invito anche voi a provare a cercare qualcosa di nuovo. Cercate, suggerite, e non vi limitate a criticare le proposte degli altri, anzi, arricchitele!

Ebbene, anzitutto da altri sport (come, appunto, il ciclismo) si dovrebbe imparare a giungere ad un mondiale con cadenza annuale, perché cadenze più lunghe affievoliscono giocoforza, o intercettano di meno, l’interesse del pubblico. Si può ben organizzare un mondiale annuale anche negli scacchi, basta semplificare le fasi eliminatorie.

Preparazione teorica (Soy Luciò)

Poi occorrerebbe che alla fase conclusiva (da disputarsi nella seconda parte dell’anno) acceda almeno un giocatore di ogni continente, magari facendo perno, per le qualificazioni ad una fase finale, sui “tornei zonali”. Ebbene, sì, sto proponendo un torneo all’italiana per l’assegnazione del titolo mondiale!

E così (ed è solo un esempio perfettibile) si potrebbero avere per questo torneo 2 qualificati dallo zonale sudamericano, 3 da quello nordamericano, 4 da quello europeo, uno da quello africano, 3 da quello asiatico, uno da Oceania/Sud-Est asiatico, cui aggiungere il campione del mondo dell’anno precedente e il secondo classificato: 16 giocatori, girone unico all’italiana, 15 turni con un giorno di riposo.

Non mi si dica ora che meglio del concorrente africano potremmo trovare 100 o 200 giocatori europei od asiatici, perché questo ragionamento non rientra nello spirito del vero sport, quello che vuole abbracciare e unire i popoli sotto una bandiera olimpica. Nel mondiale di ciclismo, ad esempio, corrono fianco a fianco campioni italiani, francesi e belgi insieme a sconosciuti ragazzi eritrei o mongoli che giungono al traguardo anche mezz’ora o un’ora dopo il vincitore. E non mi si dica che si espone così il concorrente di Eritrea o di Mongolia a “brutte figure”. Quali brutte figure? Si dovrebbe smetterla di considerare la sconfitta come una macchia, un disonore, un risultato da schifare, ed iniziare invece ad ammirare il confronto fra continenti diversi e ad apprezzare l’opportunità per i meno bravi di migliorare e diventare ambasciatori degli scacchi nei loro Paesi.

Proviamo così ad immaginare un torneo valido per il Campionato mondiale con 16 partecipanti e (ad esempio) questi nomi qualificati: Carlsen (campione in carica) e Nepomniachtchi (vice campione), + gli altri 14 usciti come vincitori dai rispettivi tornei zonali e che potrebbero (o forse no) essere: Firouzja, Giri, Grischuk e Duda (per l’Europa), Mamedyarov, Radjabov e Ding Liren (Asia), Caruana, So e Aronian (Nordamerica), Le Quang Liem (Est Asiatico/Oceania), Cori e Fier (Centro e Sudamerica), Bassem Amin (Africa).

I giocatori della stessa nazionalità dovrebbero ovviamente incontrarsi fra loro nei primi turni. E il punteggio? Ecco, propongo una mezza rivoluzione anche qui: 7 punti assegnati ad ogni partita vinta, 3 punti alla patta, 1 punto alla sconfitta.

Avremmo così un mondiale con rappresentanti di ogni continente e quindi l’interesse pressoché certo in ogni continente, avremmo giocatori di diverso punteggio Elo e quindi la propensione a giocare più spesso per il punteggio pieno. Detta propensione aumenterebbe poi grazie alla circostanza che la patta verrebbe conteggiata meno della metà dei punti assegnati alla vittoria. Avremmo sicuramente, di conseguenza, un poco di più di ricerca del punto pieno, di attenzione a varianti intraprendenti, a brillantezze, magari a quei sacrifici che rappresentano il peperoncino del nostro gioco.

La preferibilità del sistema “7-3-1” rispetto (ad esempio) a quello “5-2-0” o a quello “3-1-0” sta anche nel fatto che col primo dei tre la classifica “si muove” per tutti e gli antipatici “zero” spariscono subito dal tabellone. Tra le altre cose faccio notare (ma è ovvio) che un premio più alto per la vittoria ha senso soltanto nei tornei.

Qualcuno potrebbe sospettare che il calendario del torneo all’italiana possa alla fine falsificare la classifica, in quanto negli ultimi turni chi non è più in lotta per il primo posto tende a “mollare”. Ma vogliamo scherzare? Voi, se partecipaste ad un Mondiale e foste a metà o in fondo alla classifica, “mollereste” negli ultimi turni? Fareste questa pessima figura? Vi lascereste andare o addirittura “comprare”? Non credo proprio: se accadesse ciò, perdereste dignità e punti Elo in un colpo solo.

Ogni turno, inoltre, avendo 8 partite, presenterebbe probabilmente almeno una o più partite combattute e incerte, mentre oggi abbiamo (col match) una sola partita al giorno e quindi, in caso di partita banale o decisa da un solo errore banale, avremo parimenti un giorno banale, un giorno quasi “sprecato”, specialmente per gli spettatori.

Ci saranno senza dubbio, su 8 partite, tutti i giorni degli spunti per attirare l’attenzione di ogni tipo di commentatore e visitatore. Non è che le patte spariranno, questo no, ma un maggior interesse della comunità internazionale sarà inevitabile. E questo, ripeto, dev’essere il primo obiettivo di un mondiale, perché non sarebbe un male se gli scacchi decuplicassero la loro diffusione nel mondo.

Altro punto a sostegno di un torneo come questo che propongo è che rappresenterebbe una garanzia pressoché assoluta contro i cedimenti nervosi come quello che ha avuto Nepomniachtchi a Dubai: a crollare di schianto in un torneo potrebbero essere due o tre giocatori, ma non tutti, e possiamo star certi di una lotta ben più aspra fra i primi in classifica fino alla fine del torneo.

Qualche giorno fa, inoltre, sulla pagina russa “RIA Novosti” si leggeva una intervista concessa da Anatoly Karpov a Sergey Pogrebnyak. L’ex campione mondiale sostiene che il possibile rifiuto di Magnus Carlsen di difendere il suo titolo (Carlsen ne ha già accennato dopo aver vinto la sfida con Nepo) potrebbe portare all’anarchia nel mondo degli scacchi. “Per regolamento il campione in carica non può rifiutarsi di difendere il titolo con uno sfidante ufficiale, altrimenti perde il titolo mondiale “, ha detto Karpov. Ecco pertanto un altro buon motivo per farla finita con il “sistema match”: ci si mette al riparo da eventuali capricci dei campioni in carica, non rari in passato come ben sappiamo.

Da ultimo, è ovvio che la formula di “torneo” (all’italiana o meno) semplifica sotto l’aspetto del calendario il compito degli organizzatori, essendo certo al 100% il giorno della conclusione del mondiale. Al contrario, nell’ultimo mondiale non è stato giocato oltre il 20% delle partite sulla carta previste.

Magnus Carlsen confermato Campione del Mondo (Foto di Niki Riga)

E poi, pensateci un momento, quale miglior occasione esiste, per affidare lo scettro mondiale, di un torneo che vede affrontarsi i migliori esponenti di ogni continente? E non è forse più giusto e più bello che siano 16 (e non appena 2) le persone che possono ogni anno fregiarsi di aver partecipato all’atto finale di un Campionato del Mondo? Se nel ciclismo sono circa 200, perché negli scacchi non possono essere almeno 16? Non rappresenterebbe ciò anche una spinta propagandistica di immediato e sicuro impatto? Il vincitore resterebbe senza dubbio, come in passato, qualcuno che avrà meritato di essersi guadagnato il titolo di “Campione del mondo”. E un mondiale come quello descritto sarebbe il punto più alto di ogni stagione agonistica, un appuntamento annuale imperdibile, perno centrale del calendario di una illuminata FIDE.

Non ho parlato della cadenza di gioco. Personalmente non ho mai amato Rapid e Blitz, pertanto ciò che posso auspicare su questo argomento è soltanto un più o meno moderato ridimensionamento dei tempi di riflessione, fino ad evitare che certe partite si protraggano per 6 o 7 ore di gioco.

Sopra accennavo al tennis e poi al ciclismo. In fin dei conti anche il calcio si sta avviando nella direzione da me qui auspicata, quella dell’ampliamento della fase finale del proprio Mondiale. La FIFA ha infatti stabilito che con l’edizione del Campionato del mondo del 2026 le squadre partecipanti alla fase finale non saranno più 32 bensì 48. Molto condivisibile. E nulla di strano ci sarebbe nel vedere, nelle finali di un mondiale, un Egitto o un Ecuador di fronte ad Inghilterra o Italia.

Forza, cari signori amanti degli scacchi e cari dirigenti della FIDE, muovetevi anche voi, abbandonate vecchi totem conformisti e abbiate un po’ di coraggio, non potete star fermi: i migliori cambiamenti vi attendono, sono a portata di mano e sarebbero l’inizio di una svolta fondamentale ai fini di un rilancio internazionale del gioco degli scacchi.

Non dovete essere come chiunque altro … esiste un’altra via” (Wayne Walter Dier)


Nella immagine sotto il titolo: “Tessa”, di Laura Sensi

(Riccardo Moneta per “UnoScacchista”) Copyright/tutti i diritti riservati

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9 thoughts on “Gli scacchi hanno bisogno di un mondiale ben diverso dagli ultimi tre

  1. Davvero complimenti, Riccardo!
    Il tuo post è pienamente condivisibile. Nello sport, (e gli scacchi ne rappresentano il culmine) oltre al confronto tecnico esiste il piacere di giocare, con una favorevole disposizione psicologica a dare il massimo, comunque vada…
    Ciò non può realizzarsi in un match a due, quando l’uno aspetta tranquillo lo sfidante mentre questi, esausto da un precedente torneo di qualificazione, deve misurarsi con un differente tipo di incontro: Napo era psicologicamente irriconoscibile!

    Plausibile l’idea di un torneo all’italiana giocato dai migliori, con più marcate differenze tra la vittoria e la patta e l’adozione di eventuali bonus. Il vero campione, saprebbe emergere comunque.
    Ho apprezzato molto, infine, che tu abbia lasciato “trasparire” il tuo appassionato sentimento per gli scacchi!

  2. -condivido pienamente quello che dice Riccardo, abbiamo bisogno che i media si interessino al nostro gioco, e per fare questo ci vogliono motivazioni molto più interessanti di qualche pareggio creato dalla teoria e dai computer quindi approvo il mondiale a 16 giocatori che sarebbe molto più spettacolare

    Sergio Mariotti

    1. MIchele, ti ringrazio per l’osservazione. In effetti la differenza fra 7-3-1 e 3-1-0 è solo di livello “estetico”, quindi semmai psicologico, mentre quella tra 7-3-1 e 5-2-0 (io non citavo 6-2-0) è reale. In ogni caso ho modificato il testo e ora dovrebbe andar meglio. Colgo l’occasione per ripetere: ben vengano, e ovunque, altri suggerimenti di ogni tipo.

      1. Io come al solito sono sintetico ed ermetico, ho citato 6-2-0 solo come passaggio aritmetico intermedio per mostrare che da 7-3-1 a 3-1-0 si passa con una trasformazione lineare (sottrarre uno e poi dividere per due) e pertanto i due sistemi non possono generare classifiche diverse. Grazie per gli ottimi spunti di riflessione e proposte sensatissime!

  3. Certo, Michele, il tuo commento era perfetto e chiarissimo. Ho solo voluto dirti che da parte mia avevo cercato di confrontare anche altri punteggi, ma senza ben approfondire come hai giustamente notato tu. Sei molto gentile e ti ringrazio per l’intervento, le precisazioni e gli apprezzamenti.

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