Uno Scacchista

Annotazioni, Spigolature, Punti di vista e altro da un appassionato di cose scacchistiche

Quali caratteristiche deve avere un forte giocatore di scacchi?

17 min read

(Riccardo M.)
Questa notte proviamo a fare un po’ di luce, con l’aiuto di due magnifici gatti (immancabilmente uno Nero e uno Bianco), intorno ad un tema che in verità non è mai stato dibattuto troppo nelle riviste scacchistiche e nei blog, e che difficilmente può trovare tutti gli scacchisti d’accordo su tutto.

Il maestro internazionale Roberto Messa, persona alla quale per diversi motivi gli appassionati italiani debbono essere grati, è stato tra i pochi da noi a dedicare un articolo a questo argomento (su “Messaggero Scacchi”). Roberto nella introduzione opportunamente ricordava come “… si tratta di argomenti ancora troppo poco studiati, quasi “rimossi” dalla letteratura scacchistica per motivi che sarebbe forse interessante analizzare. Ciò almeno per quel che riguarda i paesi occidentali, mentre in passato, nei paesi dell’Europa orientale, studi ed esperimenti sono stati sicuramente compiuti, su commissione delle varie federazioni scacchistiche nazionali, ma per ovvi motivi i risultati ed i loro possibili impieghi non sono stati quasi mai divulgati… Bisogna premettere che le teorie sugli scacchi formulate dagli psicologi sono molto distanti – per metodo, approccio e finalità – dalle classiche teorie di gioco riportate dai manuali, anche se in qualche caso ne confermano la validità dei principi. Infatti la pur vastissima letteratura scacchistica mondiale è fondata quasi esclusivamente sulle esperienze torneistiche, sulla capacità didattica e sul “buon senso” dei maestri che nei secoli hanno approfondito le conoscenze tecniche del gioco, non su esperimenti scientifici compiuti sui giocatori o su rigorose analisi statistiche”.

Ebbene, quali doti deve possedere una persona che ami gli scacchi e che ambisca a diventare almeno un maestro internazionale come Roberto, se non di più?

Provo a parlarne, ovviamente da un punto di vista abbastanza personale, lungi dal pretendere di essere esaustivo o condiviso da tutti e appoggiandomi naturalmente alle principali ricerche fin qui svolte da specialisti della materia, oltre che alle mie esperienze di giocatore (ormai lontane) e di frequentatore degli ambienti scacchistici.

L’ordine in cui cito tali doti è soltanto casuale o funzionale alla narrazione.

1.Intelligenza

L’intelligenza è incontrovertibilmente il minimo comune denominatore dei forti giocatori di scacchi. Questo ovviamente non significa né che una persona con ottimo Q.I. (quoziente d’intelligenza) sia giocoforza brava anche a scacchi, né che un ottimo giocatore di scacchi abbia necessariamente una cultura medio-alta o si sia affermato anche in altri ambiti.

Lo psicologo francese Alfred Edouard Louis Binet (1857-1911) fu il primo, nel lontano 1893, a sottoporre a dei test alcuni giocatori di scacchi (tra i quali Blackburne e Tarrasch) per verificare le loro attitudini. Binet, che è stato anche l’inventore del primo test pratico d’intelligenza (la cosiddetta scala Binet-Simon), ci parlò dei suoi esperimenti sugli scacchisti, prevalentemente realizzati a mezzo di questionari, in particolare su coloro che senza sforzo giocavano alla cieca o in simultanea, in “Psychologie des grands calcolatours et joueurs en echecs” (Parigi 1894).

Binet (che non giocava a scacchi) curiosamente teorizzò che i forti maestri godessero di una specie di “specchio interno” (“miroir interieur”) che consentiva loro di riflettere, mossa dopo mossa, ogni successiva configurazione dei pezzi sulla scacchiera. E proseguiva scrivendo che “il gioco alla cieca contiene tutto: potere di concentrazione, studio, memoria visiva, per non parlare del talento strategico, della pazienza, del coraggio e di molte altre facoltà. Se si potesse vedere cosa succede nella testa di un giocatore di scacchi, si troverebbe un panorama sempre mutevole degli stati di coscienza. In confronto a questi, le nostre descrizioni più attente non sono che schemi grossolanamente semplificati” (dal sito “Chessmaniac.com”, novembre 2014).

Jonathan Levitt, Grande Maestro inglese, insegnante e scrittore di scacchi, ricorda in “Genius in Chess”, Batsford 1997, che le performance creative sono considerate all’incirca equivalenti in ogni ambito di attività umana allorché il Q.I. supera il livello di 120. Tuttavia, essendo stato riscontrato che invece, oltre i 120, per i matematici permane una correlazione marcata tra Q.I. più alti e performance più elevate, egli ritiene che la stessa cosa accada per gli scacchi, anche se ciò è difficilmente dimostrabile ed infatti fino ad oggi nessuno è stato in grado di dimostrarlo (o si è impegnato per dimostrarlo).

In ogni modo, aggiunge Levitt, se un discreto Q.I. aiuta a giocare benino a scacchi, non è vero il contrario: giocare a scacchi non muta affatto il livello del tuo Q.I., che è relativamente fisso. Levitt espresse persino una formula che, partendo dal proprio Q.I., poteva individuare un punteggio Elo raggiungibile. La formula fu nei fatti clamorosamente confutata da Garry Kasparov, il quale, col suo Q.I. di 135, non avrebbe potuto superare, a detta di Levitt, i 2350 punti Elo … Insomma, non dimentichiamoci mai che “Correlation is not causation”.

2.Studio e conoscenza

Come ci ricorda il nostro amico Giangiuseppe Pili (in “L’eterna battaglia della mente”, Le Due Torri 2014) “… il dominio della scacchiera passa sempre dalla conoscenza, come è stato sin dai tempi antichi, perché se non conosci te stesso e il nemico, ogni battaglia significherà per te la sconfitta”.

Tanto studio e tanto allenamento, quindi, fondamentali soprattutto in età giovanile. All’inizio i miglioramenti saranno enormi, poi via via sempre più marginali. Così pure è fondamentale, per acquisire rapidamente l’esperienza necessaria, avere un maestro come insegnante oppure avere l’opportunità di misurarsi continuamente contro giocatori più forti, in famiglia, al circolo oppure on-line. Da non dimenticare che la pratica di gioco è nettamente più decisiva e marcante rispetto allo studio sui libri; questo perché le idee che si riscontrano durante una partita si memorizzano meglio (e per sempre) di quelle che si leggono nei libri.

Un’indagine svolta dal M.I. svizzero Fernand Gobet (professore di psicologia all’università di Liverpool) su un campione di circa 100 giocatori di varie categorie dimostrò che per giungere oltre i 2200 punti Elo occorrono mediamente 11.000 ore di studio. Fate due conti …

Nonostante ciò, secondo alcuni non sarebbe necessario, per diventare un buon G.M., a patto che si abbiano le doti necessarie, abbracciare nella vita in esclusiva gli scacchi e abbandonare tutto il resto. Diceva Mikhail Botvinnik: “Non è difficile combinare la passione per gli scacchi con il lavoro o con lo studio. La mia personale esperienza vi sia di conferma: non solo gli scacchi non ostacolavano i miei studi al liceo e in seguito all’università, ma mi aiutarono a sviluppare un modo di pensare ‘logico’ “.

3.Fiducia in sé stessi

Determinatezza, motivazione, autostima e ambizione: voler essere il migliore, un leader, voler prevalere sulla mente dell’avversario, voler rafforzare il proprio ego di pari passo con il proprio Elo. Robert Fischer possedeva tutto ciò, lui vedeva una partita a scacchi come una guerra delle menti. Il suo “mi piace vederli dibattersi”, riferito agli avversari di turno, passò alla storia. Di certo una non sufficiente autostima non porta nessun beneficio alla carriera di un giocatore.

Diceva un più riflessivo Alexander Alekhine (in: A.Kotov “Pensa come un grande maestro”): “Esistono tre fattori essenziali per il successo. Prima di tutto, l’essere coscienti della propria forza e debolezza; quindi la comprensione della forza e della debolezza dei nostri avversari e, in ultimo, un fine più alto di un’effimera soddisfazione. Identifico questo scopo nel desiderio di raggiungere quei valori artistici e scientifici che pongono gli scacchi allo stesso livello delle altre arti”.

Fiducia è anche capacità di assorbire una sconfitta senza che vi siano ricadute emotive, ma nello stesso tempo è anche capacità di approfittare di ogni sconfitta per una costante e severa azione di autocritica (e non per lagnarsene, come fanno spesso i principianti, attraverso inutili e a volte ridicole scusanti).

4.Memoria

Lo psicologo e maestro di scacchi olandese Adriaan De Groot (1914-2006) studiò fin dal 1938 le abilità dei partecipanti ad un torneo, rifacendosi soprattutto alle esperienze di Binet, e si rese conto di come soltanto i maestri più forti ricordassero perfettamente a memoria una posizione loro mostrata anche per soli 5 secondi. Egli tuttavia individuò il vero fattore dirimente, per il diverso valore nei giocatori di scacchi, non tanto nella memoria o nei calcoli in sé (capacità comunque indispensabili), quanto nella rapidità di riconoscere i diversi schemi di scacchi (vedere punto 8) e quindi indirizzarsi velocemente verso i calcoli migliori e le conseguenti decisioni migliori (in: A. De Groot, “Thought and Choice in Chess”, 1965).

Da notare che degli studi hanno stabilito che la memoria umana è sviluppata al massimo intorno ai 20 – 22 anni di età, mentre alcune caratteristiche specifiche della memoria, come quella di assemblare dei puzzle (e qui qualche analogia col pensiero scacchistico si può ravvisare), pare sviluppino la loro massima potenzialità fino ai 40 – 45 anni.

A proposito, una raccomandazione per tutti, non soltanto agli scacchisti: assumete poco zucchero e poco alcool per evitare perdite di memoria (che sono irrecuperabili).

5.Capacità e profondità di calcolo

Diciamo anzitutto che diversi studi hanno stabilito che la capacità generica (al di là degli scacchi) di fare rapidamente dei calcoli giunge al top sui 35 anni e che rimane più o meno stabile fino ai 55.

Si è detto che gli esperimenti di De Groot sugli scacchisti pare abbiano dimostrato che non è tanto la profondità di calcolo a dividere giocatori forti e meno forti, quanto la capacità di eseguire calcoli con rapidità e di valutarne e fissarne nitidamente le conclusioni. Tuttavia ricerche successive (come ci ricorda il nostro Roberto nell’articolo sopra citato), tra le quali quelle condotte negli anni ‘90 da Neil Charness su un campione di giocatori molto più ampio rispetto a quello di de Groot e con una gamma più ampia di test e problemi, avrebbero affermato che la profondità massima nella ricerca delle mosse si riscontra nei giocatori più forti. Anche Dennis Holding e Robert Reynolds hanno trovato una significativa correlazione tra la categoria scacchistica e il numero di mosse viste (previste) in avanti.

Negli scacchi, alla fine del calcolo di ogni variante il giocatore deve fotografare ogni posizione calcolata e mettere da parte tutte le posizioni, esattamente come delle fotografie in un album, quindi riuscire a sfogliare mentalmente l’album … ed è questa la …

6.Immaginazione visivo-spaziale

E’ quella capacità che consente il confronto preciso, e pertanto la scelta più adeguata, fra 2, 3, 4 e più posizioni mentalmente fotografate. Quello della elaborazione visiva, della sua immediatezza e velocità e mantenimento in memoria è stato il campo di studio di altri due psicologi, William G. Chase ed Herbert A. Simon (vedere il capitolo “Perception in Chess” del volume “Cognitive Psychology”, 1973). I due si accorsero, tra l’altro, di come i giocatori più forti non memorizzassero un pezzo alla volta, ma li dividessero in blocchi (“chunks”), come se riuscissero a catalogare delle configurazioni comuni. In un lavoro del 1998, “Expert memory: a comparison of four theories”, Fernand Gobet sintetizzò le conclusioni cui erano giunti Chase, Simon ed altri.

Interessante è pure quanto scrive su questo punto Roberto Messa nell’articolo sopra citato: “Quale forma di rappresentazione interna delle posizioni sviluppano i giocatori? Non è sicuro che si tratti di una visualizzazione, poiché molti giocatori hanno negato di far uso di immagini visive ed anche Binet giunse a questa conclusione nelle sue indagini sui giocatori di scacchi ciechi. Alcuni giocatori parlano piuttosto di “linee di forza” o di altri costrutti simili, quindi di forme astratte di immaginazione e non di visualizzazioni reali della scacchiera. Qualcuno ha sottolineato che la scelta della mossa può essere certamente effettuata senza l’uso dell’immagine, poiché i computer eseguono questo compito senza alcuna rappresentazione visiva. Ancora non si sa, insomma, se il giocatore “vede” o “pensa” le mosse successive.”

E’ da tener presente, in ogni caso, che la memoria visiva tocca il suo massimo intorno ai 30 anni di età e che poi via via inizia a calare in quanto dopo i 30 anni di età iniziano a calare i neuroni. Avete mai provato voi a memorizzare contemporaneamente la posizione conclusiva di 3 o 4 o 5 o 6 diverse varianti? Anche piuttosto lunghe? Io sì, ma senza soddisfacenti risultati: mai le vedevo nitidamente tutte e mai pertanto ero in condizione di dare un giudizio sicuramente adeguato sulle posizioni risultanti. Per un G.M. vederle nitidamente può essere invece talmente normale che neppure si rende pienamente conto di questa sua capacità. E il non rendersi conto delle proprie inconsuete possibilità costituisce il potenziale limite principale di valutazione, da parte dei G.M. privi di una specifica preparazione scientifica, delle caratteristiche della categoria cui loro stessi appartengono.

Due parole ancora (e un’immagine) per il M.I. svizzero Fernand Gobet, che è stato autore, fra il 1993 e il 2019, di un significativo numero di scritti (articoli e libri) sugli scacchi ed è, relativamente al tema che oggi stiamo trattando, probabilmente tra i massimi esperti mondiali.

In “The Psychology of Chess”, la sua ultima opera, egli cerca anche di spiegare perché gli scacchi sono divenuti un po’ un sinonimo popolare di intelligenza e insieme di follia e perché gli uomini si comportano meglio delle donne nelle classifiche internazionali.

Il prof. Fernand Gobet

7.Capacità di immagazzinare correttamente i dati

Gli insegnamenti dei maestri, le esperienze dirette di gioco, lo studio di aperture e finali … nulla di tutto ciò è bastevole se non è accompagnato da una corretta capacità di archiviare tutti i dati, incasellarli, tenerli separati e distinti fra di loro da qualche parte nella nostra mente, ritrovarli subito all’occorrenza e saperne poi far uso corretto di fronte alle diverse situazioni di gioco. Ci dicono che il cervello umano ha una memoria che può raggiungere i 1.000 Terabyte (circa 10.000 GB). Il vero problema è estrarre da questo impressionante archivio, quando occorre, la informazione più giusta fra centinaia di migliaia di altre.

Robert J. Sternberg, in “Teorie dell’intelligenza” (Bompiani 1987) così afferma: “Secondo il mio punto di vista, il motivo per cui, di due persone che giocano molto a scacchi, una può diventare molto esperta e l’altra rimanere a livelli bassi, è che la prima è stata capace di utilizzare le informazioni in modo particolarmente efficace e l’altra no. Le maggiori conoscenze del giocatore esperto sono il risultato, non la causa, della sua bravura, che invece deriva dalla sua capacità di organizzare fruttuosamente l’informazione che ha accumulato in molte e molte ore di gioco“.

In ogni modo un buon immagazzinamento in un forte giocatore di scacchi è ciò che permette al momento opportuno un decisivo … 

8.Immediato riconoscimento di schemi

Un campione supporta la memoria, e va oltre la memoria, grazie alla conoscenza di schemi, di posizioni con caratteristiche ben precise, delle quali immediatamente egli comprende le potenzialità e le debolezze. Il riconoscimento di migliaia e migliaia di schemi, con le relative soluzioni tattiche e/o strategiche, deriva da anni di pratica e di studio e consente al G.M. di evitare analisi e calcoli nei quali s’immergono spesso, e invano o con gran perdite di tempo, in posizioni apparentemente complesse, giocatori di categorie inferiori.

Ai Grandi Maestri per solito non serve prendere in considerazione troppe mosse in quanto la selettività derivante dall’esperienza e dal riconoscimento di schemi agevola molto il loro compito. Anche quando non si riconoscono degli schemi, o nello stesso tempo, il campione di scacchi sa mettere in campo la sua …

9.Capacità di sintesi

Raul Capablanca, ad esempio, fu tra i primi a sostenere che i giocatori più bravi non esaminano tante possibilità di gioco, ma soltanto le migliori, in quanto automaticamente sono in grado di scartare tutte le altre. Capablanca affermava di sé stesso che durante il gioco le mosse gli arrivavano alla mente in modo quasi istantaneo e subconscio, spesso in pochi secondi. Questa capacità di sintesi proviene da quanto detto prima e da ulteriori doti strettamente personali quali …

10.Intuizione, visione e creatività

Sono quelle doti (che preferisco accomunare in una sola voce/paragrafo) che hanno consentito ad alcuni campioni di realizzare sulla scacchiera bellissime creazioni, a volte perfino in apparente contrasto con i canoni ufficiali della teoria del gioco. Sono doti speciali che, a parità di altri fattori e a parità di forma psicofisica, possono fare la differenza in un torneo o in una singola partita. Si pensi, ad esempio, ad alcune partite di Tal o di Fischer o di Kasparov.

Così si esprimeva il G.M. Alexei Suetin in “Typische Fehler” (Berlino 1982): “L’intuizione è la capacità di cogliere subito la verità, talvolta all’improvviso e senza l’apporto di deduzioni sviluppate logicamente … nelle decisioni intuitive è visibile solo il risultato concreto dell’operazione mentale, mentre resta in ombra il processo che porta al risultato stesso … Il pensiero intuitivo è indubbiamente sottoposto al controllo finale della logica, ma cerca di giungere agli stessi risultati con mezzi astratti. In questa chiave il processo creativo sarebbe inimmaginabile senza l’intuizione, che ne costituisce una delle più importanti basi”. Tuttavia, aggiunge Suetin che il risultato della decisione intuitiva si basa sempre sull’insieme di conoscenze già acquisite. Ecco quindi spiegato come le diverse qualità di un giocatore di scacchi interagiscano tra di loro affinché si possano superare, finché possibile, determinati limiti.

11.Saldezza di nervi

Un soggetto particolarmente nervoso è influenzato dalla ipersensibilità agli stimoli che derivano dall’ambiente circostante. Basta osservare in una sala torneo i comportamenti e le movenze solitamente misurate di grandi maestri e poi in altra sala o altro torneo quelli di giocatori di categorie inferiori, per rendersi conto della rilevanza di questo aspetto. E’ stato anche accertato che tale ipersensibilità aumenta di solito con l’età, e questo è un altro dei limiti che può trovare lo scacchista progredendo negli anni. La tensione nervosa è un handicap grave, al punto da aver allontanato parecchie persone dagli scacchi anche in età giovanile.

Ivano E. Pollini, nel suo “Il ruolo della psicologia negli scacchi”, ci ricorda come “… il successo o il fallimento (di un giocatore) non dipende solo dalle conoscenze scacchistiche ed esperienza del giocatore, ma anche dal suo “self-control”, dalla sua perseveranza e da altre qualità personali”. Le partite blitz aiutano senz’altro a migliorare il proprio autocontrollo.

12.Armonia

Meravigliati? No. Una partita-capolavoro dev’essere come una sinfonia, e il giocatore è il suo direttore d’orchestra: al posto degli strumenti ci sono i pezzi e il campione deve saperli manovrare come se fossero un unico strumento impegnato in una sola azione corale. Pochi sono i campioni a saper toccare alla perfezione le corde dell’armonia. Anche qui è, all’osservatore o commentatore attento, riscontrabile la differenza di azione fra un campione e un mediocre giocatore: quest’ultimo trascura (senza accorgersene) alcuni suoi pezzi, il campione gioca con tutti. Armoniosamente.

13.Attenzione

I principianti rivolgono quasi sempre la loro attenzione agli aspetti principali di una posizione, fino a fossilizzarsi intorno ad un’idea, trascurando dei particolari più o meno nascosti che potrebbero essere a volte determinanti. L’occhio del forte maestro è assai più attento e difficilmente a lui sfuggono certi particolari. Cosa diversa, ma parallela all’attenzione, è la …

14.Concentrazione

Cito di nuovo Alexander Alekhine: ‘Un tratto più di ogni altro determina la propria forza negli scacchi: la concentrazione incrollabile, che deve isolare completamente un giocatore dal mondo esterno.’  I cali della concentrazione sono un fattore quasi ineliminabile durante le 4 o 5 ore di gioco di una partita su tempi regolari. Il campione sa ricondurli ai minimi termini e sa evitarli nei momenti più critici della partita, restando al massimo lucido e rilassato dalla prima all’ultima mossa.

15.Resistenza mentale

Oltre alla concentrazione è importante che resti alta per l’intera partita e per un intero torneo la lucidità mentale, la qual cosa è ad esempio difficilmente riscontrabile in età avanzata verso la fine di una lunga ed estenuante partita o negli ultimi turni di una gara. Diceva Robert Fischer: “i tuoi scacchi si deteriorano col tuo corpo”.

I complicati viaggi, il dormire o mangiare male, le preoccupazioni familiari, la salute non perfetta, sono altri fattori che incrinano la lucidità dei ragionamenti e la prontezza dei riflessi. Il campione è anche colui che sa come fare, alla stregua di un vero atleta, per mantenere il suo fisico e la sua mente all’altezza delle prove che deve affrontare.

Alfred Binet (Photogravure by Synnberg Photo-gravure Co., 1898. Wellcome Collection. Public Domain)

Nell’elencare qui queste 15 qualità ho citato nomi di psicologi e studiosi (quasi tutti occidentali), alcuni dei quali sono anche stati buoni giocatori di scacchi. Anche altri  Grandi Maestri hanno affrontato il tema in qualche loro opera, ma a volte lo hanno fatto, a mio parere, da un punto di vista troppo generale.

Prendiamo il caso del G.M. e allenatore russo Mark Dvoretsky (1947-2016). Egli (che era laureato in matematica) scrisse varie opere sugli scacchi, molte delle quali tradotte e pubblicate anche in Italia, concentrandosi soprattutto sul ‘pensiero’ dei giocatori. Tra l’altro uno dei suoi lavori è proprio intitolato “Manovrare con armonia”. Alla fine però Mark identifica 4 fattori che determinerebbero il potenziale del giocatore di scacchi, ovvero: 1) talento naturale; 2) salute e riserve di energia; 3) determinazione, forza di volontà e doti sportive; 4) preparazione scacchistica speciale.

Nel 2002, a Sochi, Mark parla di questo con Evgenij Sveshnikov, il quale gli obietta che aveva dimenticato un quinto e prioritario fattore, cioè l’amore per gli scacchi.

Mark rispose” -spiegò poi quest’ultimo- “che aveva semplicemente riportato il pensiero di Botvinnik e che era d’accordo con me in generale, ma nelle sue pubblicazioni successive non ha detto una parola su questo”. Aggiungeva Sveshnikov: “Desidero correggere sia Botvinnik sia Dvoretsky, e penso che gli amanti degli scacchi apprezzeranno la mia correzione. Di solito, quando parlo con allenatori e allievi, dico loro che se un giocatore non ama molto gli scacchi, allora dovrebbe evitare la strada dello scacchista professionista e rimanere un dilettante!”

Cosa osservare al riguardo? Probabilmente che i Grandi Maestri sono a volte le persone meno indicate per parlare delle doti di un Grande Maestro! La semplificazione di Dvoretsky e Sveshnikov mi appare un pochino “scaccocentrica”. E forse il fatto che Mark diede apparentemente ragione ad Evgenij per poi non scriverne più potrebbe proprio essere dovuto ad una raggiunta successiva consapevolezza da parte di Mark. Quale? E’ evidente! Quelle quattro doti che lui, sulla scia di Botvinnik, indicò possono appartenere ad un campione di scacchi esattamente come ad un campione di scherma o di sci o di biliardo. Ed invece noi dobbiamo accettare l’idea che nella mente di un campione di scacchi alberghino delle caratteristiche ben determinate e ben diverse da quelle di un campione di sci e che pertanto non possono essere ricondotte in quelle così generiche categorie citate da Dvoretsky/Botvinnik, e tantomeno in quella suggerita da Sveshnikov.

Lascia perplessi “l’amore per gli scacchi” di Evgenij, in quanto se non ami il tuo sport, qualsiasi sport o gioco, è inutile che lo pratichi e mai sarai un campione, è evidente. Non serve dare una misura a questo amore. Botvinnik è stato la dimostrazione vivente della corretta suddivisione presentata da Reuben Fine (in “La psicologia del giocatore di scacchi”) in “eroi” (per i quali gli scacchi sono la vita, vedere Fischer o Mecking) e “antieroi” (Botvinnik, appunto, o lo stesso Mariotti). Abbiamo avuto campioni appartenenti sia all’una sia all’altra categoria.

Altrettanto lascia non convinti l’espressione “talento naturale”. Ma cos’è in fondo questo ‘talento naturale’? Qualcuno (e non aveva tutti i torti …) ha detto che il talento naturale è solo una comoda nostra credenza consolatoria per non provare invidia e risentimento verso chi ci è superiore. Possiamo insomma parlare di predisposizioni, sì, ma di talento non so … più che altro io mi focalizzerei su quelle caratteristiche della mente umana cui sopra ho accennato e che, spaziando tra intuito, visione e creatività, avvicinano alcuni campioni di scacchi agli artisti. In realtà se tu hai un grande talento per la pittura o per il pianoforte vuol dire che nella tua mente e nelle tue mani esistono delle particolarissime caratteristiche che ti consentono di (o ti aiutano ad) essere un genio della pittura o del pianoforte: fra queste caratteristiche non ci può essere il talento stesso, che non è altro che una propensione generica verso una determinata attività creata e favorita da diversi, concomitanti, fortunati e specifici fattori (a volte forse anche genetici).

È la convergenza fortuita di inclinazioni individuali altamente specifiche con una specifica ricettività ambientale a consentire negli scacchi l’emergere di un bambino prodigio“, così scrive lo psicologo David Feldman in “Nature’s Gambit: Child Prodigies and the Development of Human Potential” (2016).

E qui concludo, augurandomi che queste mie riflessioni ne alimentino altre, ovunque si voglia, da parte di lettori e di esperti in scacchi e psicologia. Credo che il tema sia affascinante, come lo è infatti la mente umana (che ‘non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere’) e come lo sono, e sempre lo saranno, i nostri amati scacchi.

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3 thoughts on “Quali caratteristiche deve avere un forte giocatore di scacchi?

  1. Interessante notare, a proposito del punto 12, come molti scacchisti sono anche musicisti, o almeno musicofili, a partire da Philidor e arrivare (perché no?) a Ennio Morricone… passando per Prokofiev, Taimanov e altri.
    Argomento già trattato da te circa quattro anni fa, e da Mario Spadaro l’anno scorso!
    Per quanto mi riguarda, be’… sono diplomato in pianoforte e CM negli scacchi: non sono il mio mestiere (sono un medico – però ho anche insegnato Educazione Musicale negli anni dell’Università! – ), ma le mie due grandi passioni!

      1. Piercarlo, grazie per i tuoi interventi e per essere da anni un nostro abituale lettore! Ciao.

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