Uno Scacchista

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Anime artificiali – Spunti a margine del caso Chess Terminator-Kristofer

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(Claudio Mori)
A margine della vicenda di cronaca che Unoscacchista ha esaurientemente trattato in “Kristofer e ‘Chess Terminator’: disavventura o dramma sfiorato?“, alcune mie considerazioni.

Chess Terminator è nato con un braccio in mezzo a un corpo come la gamba in mezzo al corpo di Long John Silver nell’Isola del tesoro di Stevenson. In un caldo pomeriggio moscovita di metà luglio, non lontano dalle colorate cupole a cipolla di San Basilio, il suo movimento rapido, senza tentennamenti, sulla scacchiera cattura con l’Alfiere nero la Regina bianca del promettente Kristofer, maglietta bianca, braccia appoggiate al tavolo e mani conserte (vedi la puntuale cronaca apparsa su Unoscacchista il 27 luglio 2022).

L’Automa (The Turk), pubblico dominio da wikipedia

L’automaton chess player incontrato a Londra da Richard Twiss nel 1783 si è evoluto. Non basta più il foglio descrittivo che lo scrittore inglese ricevette dal signor Kempelen, il costruttore del marchingegno, corredato di tre illustrazioni (R. Twiss, Chess, vol I, pag. 12). È diventato ancora più abile a nascondersi. Senza trucco e senza inganno, promette inutilmente, perché sia l’uno sia l’altro gli appartengono.

Chess Terminator si presenta affidabile, persino amichevole come può esserlo un pezzo di ferro che nasconde chip. Rispetta le regole. Nessuna indebita mossa o espressione a fuorviare l’avversario. Seducente, senz’altro, perché magia e scienza sono talvolta indistinguibili agli occhi non solo dei fanciulli ma anche degli adulti che non vogliono perdere il vizio di sognare. Proprio per quel braccio piantato in mezzo al corpo che afferra il pezzo catturato sulla scacchiera e lo porta non a fianco della scacchiera ma nella sua scatola.

Stemma di Innocenzo III, Palazzo del Commendatore, Roma, foto Almàrio de Metz

Quasi un messaggio metafisico e metaforico che Kristofer non può cogliere, forse un giorno se mai naufragherà sulle rive della fede. Quel tema escatologico della morte dei pezzi che rientrano nella loro sacca alla fine della partita. Come nella predica Quaedam moralitas de Scaccario, attribuita erroneamente a papa Innocenzo III che in ogni caso a scacchi giocava e che aveva inserito nel suo stemma araldico una scacchiera su cui poggia un’aquila:

La condizione di questo gioco è che un pezzo cattura l’altro; e non appena hanno completato la partita, come sono usciti da una sola sacca, così vi vengono nuovamente riposti. E non c’è differenza tra un re ed un povero pedone, perché il ricco ed il povero nello stesso tempo vanno ad unica destinazione.
E spesso accade che, quando la compagine della scacchiera è riposta nella sacca, il re finisce e si colloca più in basso; così quasi tutti i più grandi nel passaggio di questa vita mortale finiscono più in basso, cioè all’inferno, i poveri vengono trasportati nel seno di Abramo.

L’ennesima riedizione di polvere alla polvere in un’epoca di rigida configurazione sociale: l’autorità divina del Re e della sua consorte, la Chiesa, i Cavalieri per “riscuotere le tasse e imporre la giusta correzione in base al tipo di delitto, ma sulla terza casella deviano, quando estorcono ingiustamente tasse e balzelli ai sudditi “, le Torri che operano “tutto correttamente e che, in nessun caso, trascura la giustizia per effetto di atti di corruzione».

E, infine, i Pedoni, quei poveri diavoli che quando cercano “di ottenere qualcosa di mondano oppure onori, vanno obliquamente sempre con lo scopo di pigliare con falsi giuramenti, adulazioni o menzogne». Se ne stessero buoni al loro posto (Maurizio Farina, “Neither can bost the Conquest”: metafora morale e politica degli scacchi nella poesia minore del Rinascimento, Il Mulino, n.3, dicembre 2008, e Lucio Coco, La moralità degli scacchi, L’Osservatore Romano, 22 gennaio 2020).

Dylan Dog – Partita con la morte, N.66, 1992

Questa allegoria della morte impegnata in una partita a scacchi riporta a un caleidoscopio di immagini, a vetrate gotiche, a dipinti, ad Antonius Block nel Settimo sigillo di Bergman, alla Partita con la morte di Dylan Dog (n.66, 1992) dove un uomo dal destino segnato osa prendersi gioco della Grande mietitrice, accetta che a ogni pezzo perso una persona sia uccisa al solo scopo di vendicarsi di avversari e familiari. Guai ingannare la Nera Signora, che commina a quell’uomo la più spietata delle punizioni, finire nel nulla, nemmeno l’inferno. Ecco quello che succede a trovarsi dal lato sbagliato della storia.

Comunque a Chess Terminator non interessa passarsela bene nell’altro mondo, privo com’è della cosiddetta anima.

Mentre Kristofer, “portatore di Cristo”, bambino di 7 anni, con quel nome impegnativo sembra predestinato a tentare una missione impossibile, sconfiggere il mito, la meraviglia di un braccio in mezzo a un corpo che gioca come pensasse, senza dubbio creatura di stregoni. Come quei rumorosi robottini di latta dagli occhi lampeggianti che i genitori regalano per un compleanno o per una qualche festa comandata.

Pezzi degli Scacchi nello stile francese Régence nell’Encyclopédie di Diderot

Per poter assolvere al suo compito Kristofer mette tutto l’impegno di cui è capace. Ah! poter essere come Chess Terminator. Ma se ciò è fuori discussione, diventare almeno una memoria macchina, come la definisce Chevalier de Jaucourt (1704-1779) nell’Encyclopédie: “[…] Al contrario, altre persone, colpite da come il caso non abbia ruolo nel gioco, e come l’abilità da sola vinca, hanno considerato i buoni giocatori di scacchi come dotati di capacità superiori: ma se questo ragionamento fosse corretto, perché vediamo così tante mediocrità, e anche presso gli imbecilli, che in essa eccellono, mentre grandissimi geni di tutti gli ordini e di tutti i ceti non hanno potuto raggiungere neppure la mediocrità? Concludiamo che, qui come altrove, un’abitudine maturata in gioventù, una pratica continua limitata ad un solo fine, una memoria macchina per gli abbinamenti e la conduzione dei brani fortificata dall’esercizio, e in definitiva ciò che potremmo chiamare un talento per il gioco, sono la fonte dell’abilità negli scacchi e non indicano nello stesso uomo nessun altro talento o merito” (Échecs, vol. 5, pp. 244-248, 1755).

Alcuni secoli dopo, Karpov, a fine carriera, si chiederà: “[…] quanto ai giocatori umani: diventeranno loro stessi degli automi, rigurgitando mosse e idee mostrate loro dalle macchine? Il giocatore vincente sarà quello con il più forte computer casalingo? Ci sarà un’epidemia di truffatori assistiti dal computer? (vedi Massimo Adinolfi, Problemi magnifici – Gli scacchi, la vita e l’animo umano, Mondadori, 2022, pag. 75 e Uberto Delprato, Cheating or non cheating del 16/7/2019 sul blog  Unoscacchista).

Ardua impresa per Kristofer, adesso che la Regina bianca gli è stata presa dall’Alfiere nero ed è stata deposta nella scatola, dove non c’è differenza con il povero Pedone. Reagisce meccanicamente, senza attendere che l’orologio scandisca il suo tempo, il suo turno a muovere i pezzi, e cattura quell’Alfiere con la Torre. Chess Terminator, a sua volta, sembra avere una reazione così umana, così imperfetta, e afferra, senza pensare, per un dito la mano di Kristofer al posto della Torre, Per una frazione di secondo, sospesi nel tempo, i ruoli sembrano invertirsi.

Un gesto da pirata, da Long John Silver, quello di Chess Terminator. Ma non è una canaglia. È diabolico per come batte l’avversario umano a scacchi, è tutto quello che l’invidia ci sussurra, ma non è una canaglia. La sua è stata una mossa da pirata, d’accordo, ma solo se fosse un comune mortale, un pirata di mezza tacca per di più, non certo gamba di legno. Prendersela con un dito, insomma.

Davanti a un giudice potrebbe giustificarsi con voce metallica, sincopata, dicendo non-ero-padrone-di-me-stesso. Infatti appartiene a Konstantin Kosteniuk, il suo costruttore. A suo favore, inoltre, molte attenuanti: non era ubriaco, non era sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, non aveva mai dato segni di squilibrio. Un difetto di linguaggio, forse, ma a chi non capita? Senza contare il danno economico subito, signor Giudice, suggerisce l’avvocato difensore, come se Chess Terminator fosse un banchiere e non un giocatore di scacchi.

Non può nemmeno simulare ipocritamente rimorso, un cascame tipicamente umano. Il difetto nella programmazione non è suo. La sua intelligenza senza vita non gli permette di distinguere un dito da un pezzo degli scacchi. A conferma della tesi del Chevalier de Jaucourt e di tanti altri dell’epoca che l’eccellenza nel giocare a scacchi non contrasta con la più grossa ignoranza in altre cose. Solitamente esegue egregiamente il proprio compito né più né meno come chi l’ha preceduto, come la prima calcolatrice messa a punto nel 1623 dallo scienziato tedesco Wilhelm Schickard. Solitamente. Perché il dito offeso di Kristofer è lì, davanti a tutti, mentre porta a termine il torneo C dell’Open di Mosca (14-20 luglio 2022) con 5 punti su 9.

Noi sappiamo che Kristofer è un essere umano, vero?, tornato a immergersi nella realtà quotidiana, raramente magica, zeppa d’imprevisti, di avversità, di crudeltà. Ma se non lo sapessimo?

Non potrebbe essere anche lui una chess machine?


Claudio Mori, giornalista

1 thought on “Anime artificiali – Spunti a margine del caso Chess Terminator-Kristofer

  1. Un post godibilissimo, un gioiello da incorniciare. Nessun “Chess Terminator”, per quanto perfettamente programmato, potrà mai uguagliare la classe di Claudio Mori. Bravo!

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